Giorgio Bonacini, poeta di particolare qualità e consistenza
stilistica, propone questo esito “I segni e la polvere” nella definizione di un
sottotitolo che allude a percorsi ritmati in 52 poesie “distrattamente felici”.
Qui, il verso breve, limpido, essenziale, nella connotazione visibile del
sintagma, nel verticalismo strutturale, nella lieve fonetica dell’assonanza
così come nell’osare della rima, imprime alla pagina una espressività icastica
che rimanda ad una conseguente attenzione riflessiva. L’immediata sensazione è
di trovarsi di fronte ad un intreccio di prospettive che sorprendono
nell’accostamento rapido e profondo, denso nella sostanza effusiva contemplata
nei particolari esigenti; ben sapendo che “non è la distanza/ né il muoversi/
troppo che assorbe/ nel ritmo/ un tamburo di guerra/ ma ninnoli e note/ nel
canto alla terra”. Sono attese di risposte nelle peculiarità delle piccole
incisioni, nelle ferite, nei prospetti cromatici accesi dagli accostamenti di
una sinestesia armonica: “i tuoi mille profumi/ li vedo giallissimi”. Un verso
breve che nella veloce successione scava ogni volta una profondità evocativa.
E’ trovare traccia di un assenso interpretante il valore della mitezza quando
essa sa osservare contemplando, interrogare esprimendo. L’elemento naturale si
ritrova lungo il percorso degli accostamenti in un sorvegliare liricamente le
genesi e le mutazioni, così come gli esiti, in una volontaria ermeneutica dei
dati materici accuditi e rivisitati. Giorgio Bonacini sa dosare la limatura del
verso con estrema perizia, lasciando volutamente un aere sospeso, dove lo
spazio della pagina sembra costituire ampiezze ulteriori, margini di accenni
non detti ma intuibili. E sono, a succedersi, segni di neve e chiarori, sabbie
e pietraie, venti e smanie, ma anche impreviste farfalle incuranti, tracce di
una gradazione di risorse a volte diafane, altre incise, che corrispondono a
passi rivelanti la tersa complessità del sentire oltre l’immediato. L’autore
coniuga l’attesa con l’intuizione accorta “in fumogeni d’arte/ o di lingua/ e
in fittizia clausura/ nei versi aggrottati...” quasi un esperire il senso
autentico di un’ estetica che si è sempre più rivelata una valutazione del
sensibile, in un suo definibile equilibrio. Gli accostamenti dicibili
avvicinano esperienze sensitive diverse e inattese che esortano a pensieri
capaci di riformulare le visibilità in considerazioni curanti una genesi
partecipativa, evolvente, scandita in atti che comportano processi analogici.
E’ quasi un contenersi sulla pagina per innestare propositi di accostamenti che
richiedono una esegesi al di là delle fratture e delle scomposizioni. Poi
diventa necessario porsi una domanda sull’oltre e sul senso, che sorge
spontanea, inalienabile, dopo la sintesi di un’osservazione durante la quale
“si mastica l’acqua/ per giorni e per notti/ si guarda all’insù/ con la mente/
racchiusa in un cielo”. La rievocazione è subitanea affiorando alle foci dei
calori avvertibili, nella impossibilità di determinare gli eventi, ove sono i
ritmi spesso chiusi che disperdono i segnali riproducibili e le contaminazioni
collocabili in aree altre rispetto alle nostre stesse percezioni. Le assonanze
evocano ritmi allusivi e pertinenti dissolvenze, attraverso le funzioni
caratterizzanti la dinamica della stessa attenzione. Emerge la possibilità di
cogliere il proprio limite nell’ancoraggio a segni devianti il mirare, dopo
collocazioni inagibili e restie a decifrare i tumulti del cuore, così come la
scansione riprodotta dalle sillabe nell’ora della vulnerabilità, della
riduzione dei passaggi. Giorgio Bonacini vede il nostro procedere “in
solitudine/ all’interno/ di un calvario minimale/ o di abitudine”. Vi sono
misteri quotidiani da decifrare, allusivi ritorni all’incedere franto; come, a
volte, è inevitabile accorgersi di percezioni fertili in mitezze d’aurore e
smarrimenti d’esilio.
Andrea Rompianesi