L’assenza scava, esprime un’arte del levare, una
essenzialità espressiva che determina l’accensione della necessità. Si fa
altra; compie l’ineludibile proposito di solidificare lo spazio della pagina da
abitare e cogliere visivamente nella tracciabilità versificata, nelle sue
assonanze. Il verso breve connota la peculiarità della poesia di Luciano
Nota,in questo suo “Destinatario di assenze”. Il bianco da cui emerge il tratto
concede l’attenta partecipazione all’esito d’equilibrio e sostanza. Gli
elementi naturali si fanno tessere eroganti l’accenno nominale, come destino
che protegge il succedersi emblematico delle giornate: “Il tramonto che ti cade
dalla bocca/ porta con sé una promessa d’aria”. I corsi d’acqua sono luogo
d’incontro, episodi epifanici di una danza silenziosa, riflessi di bellezza nei
dettagli. “L’acqua smuove il corpo./ Sale l’alba/ e il delta del tronco freme”
scrive Luciano Nota, incidendo puliture e tessiture alla luce dei rimandi
effusi poi sciolti in una partecipazione tersa che accoglie la liceità delle
domande che non sfuggono; la musica delle cose che riabilita il percorso, lo
libera dalle contaminazioni dei grovigli costretti. L’autore non insiste sulla
volontà di una determinazione impositiva ma domanda lieve l’accostamento, il possibile
avvicinarsi dei dati nelle densità del richiamo, di un suono articolato negli
squarci rinsaldati. Oltre i tremori fallaci, le pensose rivisitazioni, le
conduzioni sensitive; al di là di un corpo reinterpretabile da chi custodisce
il nucleo dell’intesa. Ed è moto di acque appunto, sangue e terre; elementi
dicibili nella limpida determinazione del verso a condursi quasi distillati
entro i rivoli di un’attenzione calibrata e rigorosa, di un sentire che denota
tratti di svelamento in tenore materno o nell’accenno alla terra lucana
d’origine. Accostamenti imprevisti rilasciano accessi a volubili passaggi che
ammettono svolte replicanti umori e accezioni direttamente assimilabili. C’è,
in alcuni testi, un senso di domanda che appare tra le righe di una volontà
atta quasi a provocare la fissità delle cose, a reclamare l’ipotesi del bivio.
D’altra parte molto concede la ricezione perché anche la strada si fa straccio
“ed è su quello straccio/ al dileguarsi dei lampioni/ che cavalco l’ombra”
scrive l’autore, componendo così un ascolto interrogante l’ignoto cosparso di
quei segni capaci di materiche rivelazioni quando “in ogni punto o nuvola/ il
sangue è grano”.
Andrea Rompianesi