mercoledì 31 marzo 2021

Luciano Nota “Destinatario di assenze” (Arcipelago itaca Edizioni, 2020)


 

L’assenza scava, esprime un’arte del levare, una essenzialità espressiva che determina l’accensione della necessità. Si fa altra; compie l’ineludibile proposito di solidificare lo spazio della pagina da abitare e cogliere visivamente nella tracciabilità versificata, nelle sue assonanze. Il verso breve connota la peculiarità della poesia di Luciano Nota,in questo suo “Destinatario di assenze”. Il bianco da cui emerge il tratto concede l’attenta partecipazione all’esito d’equilibrio e sostanza. Gli elementi naturali si fanno tessere eroganti l’accenno nominale, come destino che protegge il succedersi emblematico delle giornate: “Il tramonto che ti cade dalla bocca/ porta con sé una promessa d’aria”. I corsi d’acqua sono luogo d’incontro, episodi epifanici di una danza silenziosa, riflessi di bellezza nei dettagli. “L’acqua smuove il corpo./ Sale l’alba/ e il delta del tronco freme” scrive Luciano Nota, incidendo puliture e tessiture alla luce dei rimandi effusi poi sciolti in una partecipazione tersa che accoglie la liceità delle domande che non sfuggono; la musica delle cose che riabilita il percorso, lo libera dalle contaminazioni dei grovigli costretti. L’autore non insiste sulla volontà di una determinazione impositiva ma domanda lieve l’accostamento, il possibile avvicinarsi dei dati nelle densità del richiamo, di un suono articolato negli squarci rinsaldati. Oltre i tremori fallaci, le pensose rivisitazioni, le conduzioni sensitive; al di là di un corpo reinterpretabile da chi custodisce il nucleo dell’intesa. Ed è moto di acque appunto, sangue e terre; elementi dicibili nella limpida determinazione del verso a condursi quasi distillati entro i rivoli di un’attenzione calibrata e rigorosa, di un sentire che denota tratti di svelamento in tenore materno o nell’accenno alla terra lucana d’origine. Accostamenti imprevisti rilasciano accessi a volubili passaggi che ammettono svolte replicanti umori e accezioni direttamente assimilabili. C’è, in alcuni testi, un senso di domanda che appare tra le righe di una volontà atta quasi a provocare la fissità delle cose, a reclamare l’ipotesi del bivio. D’altra parte molto concede la ricezione perché anche la strada si fa straccio “ed è su quello straccio/ al dileguarsi dei lampioni/ che cavalco l’ombra” scrive l’autore, componendo così un ascolto interrogante l’ignoto cosparso di quei segni capaci di materiche rivelazioni quando “in ogni punto o nuvola/ il sangue è grano”.

 

                                                                                               Andrea Rompianesi