Il poeta Andrea Rompianesi continua, anche in questa sua
ultima opera, a scandagliare in una ricerca costante e minuziosa il rapporto esistente
tra realtà e metarealtà. Sembra non accontentarsi del hinc et nunc, non
gli è sufficiente uno sguardo semplicemente indagatore. Vuole penetrare l’apparenza
per comprenderne la sostanza. Come suggerisce nel risvolto di quarta copertina:
“l’essenza sta alla potenza come l’esistenza all’atto”, o nella citazione di
Novalis che introduce la quarta sezione: “La poesia è il reale, veramente
assoluto. Quanto più poetico, tanto più vero.” Le liriche suddivise in quattro
sezioni, pur avendo avuto una datazione differente (le prime tre appartengono
al 2007, l’ultima è del 2023) hanno un medesimo indirizzo ed una medesima
intonazione: la ricerca dell’unicum esistenziale, che si traduce in una
indagine materia-spirito delle cose, della natura, degli oggetti riflettenti l’umano
nel suo percorso affluente di domande irrisolte. In effetti, le prime tre
sezioni, lontane sì circa un ventennio, ma nel concreto riposte in un’atmosfera
atemporale, hanno l’appiglio veloce ed istintivo che segnano il desiderio
giovanile del sapere, mentre l’ultima parte svolge il compito del riassunto sinottico
in un clima di meditativo sentire. Tuttavia, se non ce lo avesse suggerito il
poeta stesso, forse non ci saremmo avveduti di questa pur minima differenza, perché
alla fine i versi rimangono sempre dettati da pennellate fulminee, a volte
accecanti, del tutto intrinseche a ciò che è il fine della poetica di
Rompianesi. Ritorna anche in questa silloge quello che avevo chiamato in altre
occasioni l’elemento filosofico che intende disvelare attraverso gli oggetti la
natura costitutiva della realtà. Lo dimostrano, se ce ne fosse bisogno, le
citazioni che appaiono nelle varie sezioni e che non sono messe lì a caso, ma
con uno scopo ben preciso: come fossero tante intonazioni per dare il “la” alla
sinfonia che sta per iniziare. Così per quanto riguarda la prima sezione l’aver
messo in rilievo i versi di Sereni che sottolineano la presenza-assenza delle
stagioni, in particolare dell’estate, contribuisce a crea il climax che
evidenzia una presa diretta sull’evolversi della natura in rapporto ai
manufatti dell’uomo. Risulta allora sincronico il passaggio tra “sedie garitte
operose fameliche” e il “connubio su cieli estivi simposi”, dove si
intravede un rimando, quasi un colloquio, gestito in termini sintattici nominali,
atto a suscitare una visione frammentata della realtà, che nel frammento tuttavia
ricerca l’unità. La citazione di Fortini che anticipa il secondo riquadro
aggiunge all’elemento stagione l’elemento del mese. Il lettore viene
indirizzato a cogliere il senso di ciò che è la caratteristica di questo periodo
attraverso inquadrature precise, colte nel momento di maggiore intensità (“insenature
o golfi / saliscendi vegetali / anemoni segugi”; “aspro limone acefalo / buccia
contorta ibrida / gialla mutata sfida / lucida rotonda danza”). Proseguendo
nella lettura la terza sezione ci offre una particolarità stilistica esaltando
un differente modello di scrittura poetica. I versi hanno infatti una sola
linea orizzontale, quasi a dettarci visivamente l’orizzonte ampio del mare (nonché
del tempo) e quindi del nostro stesso esistere in rapporto all’oggi, finito e
contingente. I versi sono introdotti da una quartina di Mario Novaro (fratello
del più famoso Angiolo Silvio) che affronta, in maniera non certo semplicistica,
il libeccio dando in tal modo il via a una serie di immagini che si avvitano
attorno a emozioni e sensazioni di una realtà circostante che si avvale di
citazioni in metacromotipia restituendo al lettore la visibilità propria della
natura (“per aranceti in polpe e scorze morigerate implose o di palmeti”; “el culto a la vida esorbitante
ammanco o dicerie silvestri”). Siamo così giunti all’ultima sezione che,
come anticipato, ha la peculiarità di evidenziare il lato riflessivo (meglio
filosofico) della poetica di Rompianesi. In un gioco di specchi la maggiore descrittività
presente in queste pagine ci racconta che la realtà poetica supera il
contingente. L’ontico non può raggiungere, se non in poesia, l’ontologico, cioè
l’essenza dell’esistenza. In “Riviere” Andrea Rompianesi ha voluto
scalare questa vetta, scavando il più possibile nella realtà per carpirne il
nascosto, l’assoluto, l’ulteriore.
Enea Biumi