venerdì 22 febbraio 2019

Alberto Mori “Minimi Vitali” (Fara Editore, 2018)




“Nei vetri ripuliti dallo straccio/ scorrono scenari sovraimpressi”. Il distico rivela un passaggio, accenna un’eco d’evento, un’attenzione non passiva in cui siglare l’esito dell’approccio che toglie residui indesiderati e permette lo scorrimento di un flusso aperto al progetto. E’ “Minimi Vitali”, esito poetico di Alberto Mori, autore, performer e artista da lungo tempo attivo nella ricerca di una interazione fra i linguaggi; dalla poesia sonora a quella visiva, dall’installazione al video. Qui la trasparenza veicola contributi che compongono un insieme di parti sostenute da suoni e gesti, movimenti (forse mutamenti), ombre e luci, persone. La logica definisce mereologia quella disciplina che studia il rapporto dell’insieme con le parti, quando in gioco è il senso dell’identità. Ma qui, l’operare di Mori si concentra sul singolo fatto che accade; sul come l’accadimento stesso sia applicazione d’esegesi quotidiana e minima. Sembra che i sintagmi siano frutti ritmici colti dall’autore in perenne ascolto e osservazione viandante. Ci sono sedimenti di urbanità (tema fondamentale per Mori che ci riporta ad un suo testo pubblicato nel 2001, “Urbanità” appunto, evidenziato dalle erranze segnaletiche) dove le applicabili attenzioni sensoriali divengono testimoni di un processo che unisce spontaneità e artificio. L’atto umanizza poiché registra; raccogliendo salva, oltre le inagibili provvisorietà delle incomprensioni. Il minimo comune determina la traccia riconoscibile e, per lo più, percorribile “Del gradino e della strada/ Pausa ed affaccio/ Nell’affluenza trafficata/ Trascelta per termine d’attesa”. I gesti poi sono quelli che concedono geometrie esemplari, riconoscibili referenti geografici: “Big Ben controcielo/ La tracolla sospende London Bridge”. Alberto Mori disegna profili che contengono l’essenziale gravità densa di un minimo vitale idoneo ad “evoluzionare” gli spunti verso figurazioni future colte nel loro momento aurorale. Dopo, l’imprevisto si farà destino, come ricezione civile e partecipe “verso notte ancora indetta”, senza escludere l’attenzione ai marginali e il miracolo delle variabili che disegnano le interpretazioni abilitate a vocare.

                                                                     Andrea Rompianesi

Da "Leggere:tutti" (gen-feb. 2019)




É l'ultimo avvincente romanzo di Giuliano Mangano, professore di Lettere presso vari Istituti Superiori, ma anche poeta, scrittore, regista ed attore varesino, noto con lo pseudonimo di Enea Biumi. Il suo è un intrigante giallo di fantasia noto per aver ottenuto il riconoscimento della Dignità di Stampa, con l'unanimità dei voti della Giuria, all'ultima edizione del concorso "I Murazzi 2018", indetto dall'Associazione Elogio della Poesia. L'opera nasce da un sapiente incrocio di ispirazioni che mostra la familiarità dell'autore con i vari colori della lingua italiana, insieme all'indiscussa capacità di presentarci un mondo periferico di provincia, pieno di luci, ma soprattutto di ombre. A fare da sfondo al racconto sono realtà diverse e variegate: dal mondo tradizionale cattolico, a quello degli inquirenti delle forze di polizia, spazi nei quali si muove un ceto medio borghese, spesso vittima di raccapriccianti violenze. La vicenda, ambientata nella provincia lombarda di Varese, si svolge intorno alla sparizione della ragazza più bella del luogo: Terry, la figlia del sacrestano. Le indagini, condotte da un maresciallo siciliano, si indirizzano verso più sospettati: Il fidanzato ex seminarista, il maestro del coro e l'organista. Un testo che si presta ad una lettura molto fluida, soprattutto in ragione dell'attenta e ricercata costruzione dei dialoghi estremamente realistici, dai quali emerge tutta la passione dello scrittore per le varie inflessioni dialettali, varesine e non. (Chiara Campanella)

Aurelio Prudenzio Clemente “Dittochaeon” – Doppio Nutrimento (Book Editore, 2018)





La Book Editore di Massimo Scrignòli da molto tempo ci ha abituato alla proposta di numerose eccellenze editoriali nell’ambito della poesia e della prosa contemporanee. In questo caso l’attenzione è rivolta ad un autore dell’antichità: Aurelio Prudenzio Clemente, importante poeta latino cristiano, nato in Spagna, nel 348. L’opera, “Dittochaeon” (Doppio Nutrimento), è in quartine di esametri e affronta temi dell’Antico e del Nuovo Testamento. I testi sono poi tradotti, in una formula interpretativa che non si esita a definire geniale, da Nina Nasilli, poetessa di spessore a sua volta e artista che, in questa sede, pone a fronte di ogni componimento, in origine già nato con l’intenzione di commentare immagini dipinte o musive, suoi disegni per una esegesi evocativa. Ma, al di là di una specifica valutazione filologica all’origine dell’audace compito che bene sottolinea l’afflusso di suggestioni del periodo classico virgiliano, oraziano, ovidiano (senza dimenticare Lucrezio e Seneca), nel dettato stilistico di Prudenzio, quello che stupisce, considerando l’estrema difficoltà di rendere compatibili sistemi metrici profondamente diversi, è il risultato della versione italiana che Nasilli concentra in un privilegio raffinato concesso ad assonanze, consonanze ed allitterazioni con un criterio di apertura affidato all’endecasillabo. Non essendo però esso sufficiente ad esaurire l’esametro, viene allora chiuso da un semi-verso, quasi sempre un settenario o novenario, raramente un quinario o un metro più corto. Tale resa permette una lettura ondulata, sapientemente evocativa e suadente nella sonorità percepibile. Per certi aspetti, e qui si pone il problema cardine sulla traducibilità poetica, è come assistere alla genesi di altri testi contemporanei in lingua italiana, scaturiti dalla versione originale latina quale fonte semantica. Il respiro sintattico, precisa Nasilli, vuole offrire un sapore classicheggiante. Personalmente ritengo che lo sforzo della traduzione o meglio, in questo caso, della felice riscrittura abbia oltrepassato lo schematismo rischioso di una partitura fossilizzata alla fedeltà filologica in una trasposizione temporale così marcata, approdando ad una formula in lingua italiana dalla struttura preziosa e raffinata, di tale corposità ritmica da rappresentare una nuova autenticità interpretativa tipica, nel valore musicale, del vero virtuoso. “Foedera coniugii celebrabant auspice coetu/ forte Galilei; iam derant vina ministris”: “Eran nozze che stavan celebrando/ con folla d’invitati in festa/ un giorno i Galilei; ed ormai il vino/ veniva a mancare ai coppieri”. Ondoso davvero il moto dei versi disegna e raffigura gli episodi biblici, in calibratura anche visiva affinché la poesia abiti la pagina. L’affascinante seduzione  del testo incontra efficacemente la profondità dei contenuti espressi dalla Sacra Scrittura, in una sintesi esegetica e appunto icastica che tocca un tono sapienziale e concilia potentemente l’ermeneutica dei dettagli con l’afflato della preghiera.

     Andrea Rompianesi

venerdì 8 febbraio 2019

Presentazione del romanzo "Rosa fresca aulentissima" di Enea Biumi

Luvinate: Sala Polivalente, ore 18,00, 
21 febbraio 2019

MUSICA E PAROLE IN BIBLIOTECA

Presentazione del romanzo 
"Rosa fresca aulentissima" di Enea Biumi
con il critico Gianfranco Gavianu
Leggeranno alcuni brani Laura Lampugnani 
e Adele Boari

Momento musicale con
EINE  KLEINE  ENSEMBLE

venerdì 1 febbraio 2019

Maria Pia Quintavalla “Quinta vez” (Stampa 2009, 2018)


Il percorso apre una soluzione al tu/madre nella composizione tipica del poemetto in prosa. Un luogo d’accoglienza intima, pensato e riproposto attraverso l’attenzione figurativa suscitante un’aspettativa dialogica. Così inizia “Quinta vez”, opera di Maria Pia Quintavalla, tra le voci poetiche più interessanti della generazione nata negli anni Cinquanta del Novecento. C’è un’accensione verbale in stile amplificante che denota la figurazione spirituale che s’irradia dagli spunti di una biografia passata e si traduce in considerazioni postume. La tessitura espansiva incoraggia una prosa determinata e poetica nella cadenza ritmica che vuole superare l’insidioso ossimoro insito nella stessa formula del poemetto in prosa. Allungando il passo lessicale nella trasformazione sensitiva dei vocaboli condensanti l’umore intimo e fertile della gestazione. La paura riconoscibile e antica può forse arretrare al caleidoscopico affiorare della musica, di quell’essere armonia di relazioni rivisitate alla luce di un congedo che si vuole limite valicabile attraverso un vibrare quieto, una gestualità avviata. La seconda sezione del libro imposta una versificazione asimmetrica concentrata nella evocazione dei passaggi generazionali; l’identità della figlia che compone la raffigurata estendibilità del percepire le delicate e, nello stesso tempo, forti tensioni modulate al femminile, quando poi “al commento/ che mi chiude in un grido a mezzanotte” risponde la trafittura colposa, l’intermittenza degli aloni. Il riscatto può coinvolgere storie quali quella di China, madre fanciulla rinata in Castiglia, come testimone di una volontarietà capace di amorosa espansione in una condotta di suggestioni aromatiche e speziate, quali i segni di terre ibride e canti nomadi. Il corso esorta vicissitudini di ancoraggio storico e mitico allo stesso tempo, in un travolgere le insidie diramate dagli accenni presunti che comportano la consistenza terrosa degli spasmi, gli aneliti emozionali condivisi mentre “la macchina da guerra già suonava/ antiche glorie di tenzoni,/ e di battaglie che perdute, sfumavano/ la linea di orizzonte di una persa notte”. L’ultima sezione dell’opera pone sulla pagina la vivacità pensosa di un dialogo teatrale, “le sorelle”, dove il patire intimo e sofferto dei più viscerali rapporti famigliari si fa scenario di affondo psicologico, nella volontà di richiamare l’attenzione verso le complessità spesso indicibili delle trame affettive.
                                                                                                                          Andrea Rompianesi