giovedì 24 dicembre 2020

Adelio Fusé ”Le direzioni dell’attesa” (Manni Editori, 2020)

 

                                                        


“Fino a prova contraria, un profumo non può modificare un aspetto, tuttavia può dislocare altrove”. Luoghi, dunque, in stati che sono dell’animo come una temperatura misurabile per gradi, riflessi, estensioni icastiche. Seduzioni espresse da Adelio Fusé nel suo “Le direzioni dell’attesa”, testo di narrativa viandante che mette in scena, in una formula cara all’autore, due figure giovanili, una maschile e una femminile, Walter potenziale scrittore e Alina attrice imprevedibile, che mettono in atto una vasta danza di movimenti caratterizzati dal continuo perdersi e ritrovarsi nell’arco temporale di due decenni e in luoghi lontani tra loro che assumono i contorni della rivelazione. Chi scrive questa nota sente una particolare familiarità autoriale con la tematica specifica espressa dal rapporto con i luoghi, dal tema del viaggio come ricerca di significati. Nel passaggio dalla terza persona alla prima, l’overture è su Parigi; la Ville Lumière acconsente ad ospitare la passione fisica che coinvolge occasionalmente i due profili nella formula di un ancoraggio teso a restituire il credito mancato. E’ percepibile l’azione dell’autore che dispone sulla pagina la traccia per compensare l’estenuante disillusione degli attesi accadimenti che solo nella proiezione e nella trasfigurazione delle cose possono assimilare e poi filtrare le cedevoli attenuanti della corrosione artistica. Il vissuto è già troppo orientato se non si compie quel prodigio d’intervallo che rinomina le cose; quasi le salva in una rivisitazione esegetica, sempre ardua quando il proposito narrativo intende farsi conforto alla dinamica sofferta dei dissidi. Non a caso la prima parentesi parigina si conclude nella solitaria presenza del protagonista che assorbe la volontaria sparizione della figura femminile. L’assenza è tema di prova del processo estensivo adottato dalla prosa di Fusé che intende avvalersi di una misurazione costante, di modalità lineari nella conferma forse voluta di cenni allusivi alla prevedibilità compatibile con una tradizionale strategia espressiva. Nella scrittura dell’autore la ricerca dell’altro è sempre ricerca di sé, non nel senso solipsistico del termine ma nella necessità di evolvere verso una comprensione che solo se avviata può farsi diradamento atto a far percepire gli impulsi più profondi nella loro autenticità. L’effettiva incapacità di concretizzare la creazione letteraria porta Walter, il protagonista maschile, ad una sorta di deriva prossima al vagabondaggio, alla fuga; non un desiderio di distruggersi ma di perdersi, forse per poi essere ritrovato, in qualche modo. Così, dopo anni attraverso l’Europa, avviene infatti nella ricomparsa improvvisa di Alina. I nuovi incontri riaccendono una passione sostanzialmente anarchica e infantile; quasi colpi di scena di un teatro instabile, incapace di determinare fondamenta. E proprio così si avvicendano gli episodi della vita teatrale a Edimburgo o la nuova sosta di relazione a Lisbona. Sul piano stilistico, tanto è articolata, preziosa e complessa la poesia di Fusé quanto è assolutamente immediata la sua prosa, totalmente narrativa. Non sussiste però un’esigenza di trama propriamente detta; l’obiettivo è individuato nel complesso tentativo di far emergere dai luoghi effetti di riflessione. Ma qui sembra che i luoghi abbiano, in realtà, più una valenza da sfondo scenico. Forse tra le righe prevale il desiderio di quell’auspicato incontro mai del tutto raggiunto, il bisogno di una stabilità emotiva difficilmente attuabile. La necessità esplicativa porta quindi a moltiplicare il succedersi delle pagine, documentando l’estensione dicibile nel proposito comunicante che non esclude anche tratti di rimando a considerazioni civili. Lungo il percorso, la scrittura tende a concedersi momenti maggiormente focalizzati sulle distinzioni quando l’osservazione intercetta “le progressioni della luce”, metafora di aspettative, come avviene nel passaggio del protagonista per le città del Marocco. Il ripetuto perdersi dei personaggi compone lo spartito dei rimandi e le attese conseguenti premiate dal destino. Nuovi intermezzi si determinano anche in ulteriori luoghi d’Europa, come una parentesi di relazione con altra donna a Berlino, fino all’ultima tappa narrata che si distende nel sole della Grecia e incontra il mare dell’isola di Nìsyros. E lì, tra una luce intensa e grappoli di nuvole, fra un cielo simile a un vigneto e un accapigliarsi di onde, ricompare Alina e nuovamente si riavvia una danza di sguardi, di membra arrese ai venti. Adelio Fusé lascia scorrere la sua narrazione nella consapevolezza di quanto siano necessarie le molteplici direzioni di una qualunque intima attesa.

                                                                                      Andrea Rompianesi


giovedì 3 dicembre 2020

Giacomo Giannone, Come un romanzo, Genesi Editrice, Torino, € 12.00

 

“Come un romanzo” è una silloge di poesie che offre la visione di un viaggio da percorrere, o ripercorrere, attraverso luoghi, persone, accadimenti. Un reisebilder  a tutto tondo in cui traspare fin dall’inizio il senso della vita con i suoi misteri, intoppi, piacevolezze, felicità e tristezze; in cui le volontà di conoscenza e accoglienza di nuove esperienze rimuovono le difficoltà e le afflizioni che nel corso dell’esistenza possono intralciare il cammino. “Ancora un viaggio / ancora miraggi / tu vicina tu lontana / e il pensiero va / folle ossessivo, / mentre la mia voce / muta rimaneva”. Il segno del tempo e del viaggio viene dettato fin dalla lirica iniziale “Pula”, una specie di richiamo testamentale dove, affermando il valore del vivere quotidiano, con tutto ciò ovviamente che comporta, si passano in rassegna affetti, amori, incontri, problematiche e soddisfazioni.  “Prima di morire/ barolo nebbiolo / barbera // E la terra mi accoglierà / fragrante / festante // (…) Scorre il Bisagno/ di sangue / irrorato (…)”  Le liriche che seguono costituiscono un flashback attraversato a volte da desideri che si avverano, a volte da malinconiche considerazioni su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, a volte da scontri con un destino che sembra accanirsi proprio quando divieni più arrendevole e consapevole. “Povero Vittorio, mio Capitano, / perché il tuo letto ora è vuoto?” “Un giorno di Maggio / scivolò e in deliquio cadde / sulle piante di lavanda / in Provenza / tanto sole / tanti odori / tanti colori // (…) Non sa non dice / Lada non è più / la mia Lada”. Significativi sono i ritratti delle persone. Ribadisco persone, non personaggi che come spesso accade sono semplicemente delle maschere teatrali. Le persone infatti mantengono intatta la loro identità reale perché appartenenti allo stesso mondo del poeta e alla sua storia. “Gli occhi ha mirabolanti / occhi lucidi, verdi, cangianti / occhi con gocce di rugiada / sulle ciglia e voce fantasma / a ripetere (…)” Le medesime persone assumono una propria dimensione attraverso lo scambio con il paesaggio o i paesaggi che Giannone ha affrontato e interiorizzato. In tal modo gli ambienti diventano un tutt’uno con la vita, la storia si esprime nel rapporto con i luoghi visitati, amati, desiderati. Dai luoghi di sofferenza per eccellenza come il sanatorio di Villa Trezza presso Domegliara (Verona), dove potersi abbandonare in toto per guarire immergendosi nel sapore sereno della natura e degli uomini, ai luoghi di lavoro, come Bologna, in cui si rammenta l’esperienza da presidente d’esame, “Loquaci i colleghi / simpatici i ragazzi / ti guardano curiosi / sorridono / mi dico, spero che siano / tutti promossi”;  o ai luoghi di felicità matrimoniale dove prevalgono manifestazioni d’affetto “In un cinema di periferia / due mani si strinsero fortemente / come mai prima / e il timore di rompere l’incantesimo / mi vietò di sfiorarti con le labbra”. Insomma, il romanzo evocato dal titolo si traduce in una personale passerella che induce in profonde riflessioni sull’esistenza, propria ed altrui: momenti, infine, che non vanno sprecati ma affrontati con raziocinio e ardore, dove il sentimento fa da tramite ineludibile al film della vita stessa. “E’ stato un tempo lontano, sempre / in luoghi reconditi i ricordi scavano / per emergere furenti impietosi, / ritornano per rivedere un volto, / un ciocco di capelli carezzare, / per ascoltare una voce una parola, / ripercorrere una via un ponte, / un bacio implorare, non dimenticare”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Enea Biumi