“Fino a prova contraria, un profumo non può modificare un
aspetto, tuttavia può dislocare altrove”. Luoghi, dunque, in stati che sono
dell’animo come una temperatura misurabile per gradi, riflessi, estensioni
icastiche. Seduzioni espresse da Adelio Fusé nel suo “Le direzioni
dell’attesa”, testo di narrativa viandante che mette in scena, in una formula
cara all’autore, due figure giovanili, una maschile e una femminile, Walter
potenziale scrittore e Alina attrice imprevedibile, che mettono in atto una
vasta danza di movimenti caratterizzati dal continuo perdersi e ritrovarsi
nell’arco temporale di due decenni e in luoghi lontani tra loro che assumono i
contorni della rivelazione. Chi scrive questa nota sente una particolare
familiarità autoriale con la tematica specifica espressa dal rapporto con i
luoghi, dal tema del viaggio come ricerca di significati. Nel passaggio dalla
terza persona alla prima, l’overture è su Parigi; la Ville Lumière acconsente
ad ospitare la passione fisica che coinvolge occasionalmente i due profili
nella formula di un ancoraggio teso a restituire il credito mancato. E’
percepibile l’azione dell’autore che dispone sulla pagina la traccia per
compensare l’estenuante disillusione degli attesi accadimenti che solo nella
proiezione e nella trasfigurazione delle cose possono assimilare e poi filtrare
le cedevoli attenuanti della corrosione artistica. Il vissuto è già troppo
orientato se non si compie quel prodigio d’intervallo che rinomina le cose;
quasi le salva in una rivisitazione esegetica, sempre ardua quando il proposito
narrativo intende farsi conforto alla dinamica sofferta dei dissidi. Non a caso
la prima parentesi parigina si conclude nella solitaria presenza del
protagonista che assorbe la volontaria sparizione della figura femminile.
L’assenza è tema di prova del processo estensivo adottato dalla prosa di Fusé
che intende avvalersi di una misurazione costante, di modalità lineari nella
conferma forse voluta di cenni allusivi alla prevedibilità compatibile con una
tradizionale strategia espressiva. Nella scrittura dell’autore la ricerca
dell’altro è sempre ricerca di sé, non nel senso solipsistico del termine ma
nella necessità di evolvere verso una comprensione che solo se avviata può
farsi diradamento atto a far percepire gli impulsi più profondi nella loro
autenticità. L’effettiva incapacità di concretizzare la creazione letteraria
porta Walter, il protagonista maschile, ad una sorta di deriva prossima al
vagabondaggio, alla fuga; non un desiderio di distruggersi ma di perdersi, forse
per poi essere ritrovato, in qualche modo. Così, dopo anni attraverso l’Europa,
avviene infatti nella ricomparsa improvvisa di Alina. I nuovi incontri
riaccendono una passione sostanzialmente anarchica e infantile; quasi colpi di
scena di un teatro instabile, incapace di determinare fondamenta. E proprio
così si avvicendano gli episodi della vita teatrale a Edimburgo o la nuova
sosta di relazione a Lisbona. Sul piano stilistico, tanto è articolata,
preziosa e complessa la poesia di Fusé quanto è assolutamente immediata la sua
prosa, totalmente narrativa. Non sussiste però un’esigenza di trama
propriamente detta; l’obiettivo è individuato nel complesso tentativo di far
emergere dai luoghi effetti di riflessione. Ma qui sembra che i luoghi abbiano,
in realtà, più una valenza da sfondo scenico. Forse tra le righe prevale il
desiderio di quell’auspicato incontro mai del tutto raggiunto, il bisogno di
una stabilità emotiva difficilmente attuabile. La necessità esplicativa porta
quindi a moltiplicare il succedersi delle pagine, documentando l’estensione
dicibile nel proposito comunicante che non esclude anche tratti di rimando a
considerazioni civili. Lungo il percorso, la scrittura tende a concedersi
momenti maggiormente focalizzati sulle distinzioni quando l’osservazione
intercetta “le progressioni della luce”, metafora di aspettative, come avviene
nel passaggio del protagonista per le città del Marocco. Il ripetuto perdersi
dei personaggi compone lo spartito dei rimandi e le attese conseguenti premiate
dal destino. Nuovi intermezzi si determinano anche in ulteriori luoghi
d’Europa, come una parentesi di relazione con altra donna a Berlino, fino
all’ultima tappa narrata che si distende nel sole della Grecia e incontra il
mare dell’isola di Nìsyros. E lì, tra una luce intensa e grappoli di nuvole,
fra un cielo simile a un vigneto e un accapigliarsi di onde, ricompare Alina e
nuovamente si riavvia una danza di sguardi, di membra arrese ai venti. Adelio
Fusé lascia scorrere la sua narrazione nella consapevolezza di quanto siano
necessarie le molteplici direzioni di una qualunque intima attesa.
Andrea Rompianesi
Nessun commento:
Posta un commento