mercoledì 8 settembre 2021

Alberto Mori “In Fra” (Fara Editore, 2021)

 

                                                    

“In questa altezza”, “Fra questa altezza” esprimono l’input decifrabile del titolo “In Fra”, dove la poesia sperimenta il limite, superandolo nella istituzione dialogica che impone anche varietà di caratteri tipografici poiché si fa visiva oltre che fonetica. “Lo sgoccio rastrema ritmo/ con battito umido”; certo il noto è soltanto applicabile, quasi unguento medicamentoso affinabile e proiettato all’insaputa dei mirabili tratti. “Quando tutto manca/ nessun pensiero resta presente”. Distinguono gesti acrobatici e peculiarità anatomiche i versi di Alberto Mori, così come estensioni mentali. Ma se “In” affiora, “Fra” coordina la partecipazione liminare che contende al dato l’esecuzione delle lontananze. Accende in atto quando “Trasmette mittenza condivisa/ il gesto comunicato dal movimento”, ben sapendo di quanta attualità si carichi l’antico concetto di “moto” inteso anche come “mutamento”. L’intermittenza è nella veglia aurorale, nel dialogare perenne, nella opacità di tempi, nella temporalità dei segni. La contraddizione si fa evasiva, postula una modalità esperita, l’attribuibile icasticità dei frammenti. Sarebbe applicabile un diuturno passaggio ad accostamenti tracciati in linee; inoltre comprendere esordi imprevisti di acque marine. Intervengono squarci d’aperture capaci di ridefinire il quadro percepibile in estremi oppositivi: “La linea pluviale gronda addentro/ Il piccolo viaggio del rivolo discende/ Scolma fessurato nel tombino”. Le immagini pretendono comunque d’imporsi nella forza policroma delle effusioni, quando è lo sguardo che incontra “le scaglie rosso violette imbevute”. Al di là di una impressione primaria, qui la forma nettamente s’impone sulla materia, l’anima sul corpo, l’atto sulla potenza. Ci sono erranze, decisioni, distinzioni, ricezioni, pensieri, estensioni emergenti da correlativi traducibili in esperienze. L’iterazione del cielo è appunto “segno”, quindi simbolo d’altro, “aria senza luogo” perché oltre il luogo. Poi giunge il cammino al suo naturale esporsi, quando la luce testimonia l’evento, l’accadente. Alberto Mori sembra annotare la spazialità luminosa come occasione di percezione fertile, inesausta, riprodotta dalla tellurica effervescenza dei passaggi. Qualcosa è davvero accaduto e molto avviene poi di significativo e, allo stesso tempo, indecifrabile mentre, ci dice il poeta”, “Questa nota silenziosa interroga”.

 

                               Andrea Rompianesi


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