Il tempo è l’elemento che unisce e racchiude gli episodi di questi due pregevoli volumetti di racconti. Ma non il tempo tradizionale, come lo intendiamo noi principalmente (un prima, un adesso e un dopo), bensì un tempo del tutto soggettivo e intimo. A ben vedere si tratta di un cammino interiore orchestrato su situazioni esterne al limite del doloroso, della ricerca del meglio o dell’indifferenza sostanzialmente priva di una qualsiasi meta. Ciò che ne risulta è uno schizzo di concreta umanità trasmessa attraverso l’esperienza personale e diretta dell’autore, il quale ama però celarsi quasi sempre dietro un volto, un nome, un avvenimento. I vari riferimenti diventano quindi il teatro che investe il lettore e lo conduce come dietro le quinte alla visione di uno spettacolo in fieri facendolo spesso sentire partecipe e attore lui stesso su quel palcoscenico che è la vita.
In tal modo prendono vita e si distinguono i vari racconti in una specie di eidophor in cui si avvicendano i personaggi o, per meglio dire, i diversi tipi con una loro intrinseca peculiarità. I tanti quadri che si dipano, non in successioni strettamente temporali, appaiono simili a commensali che discutono e dissertano acronicamente in un eterogeneo simposium, ubbidendo solo al caso o per meglio dire alla fantasia e alla penna dell’autore che ne traccia i profili.
Non dobbiamo meravigliarci quindi se, in questo modus vivendi e operandi, sussiste sempre un adynaton che si spiega solo se si è compiuto quel passo, ci si è attenuti a quel tale desiderio, si è espressa quella parola o quel giudizio. Da lì non si può più retrocedere. È il fato, o chi per esso, che lo vuole perché ormai le scelte sono state fatte e non si può scappare.
I due volumetti parlano appunto di una data fondamentale. “È proprio quel giorno in cui abbiamo preso una decisione, o abbiamo ascoltato qualcosa, quando siamo rimasti folgorati, quando abbiamo scelto consapevolmente o meno se andare a destra o a sinistra, quel momento in cui ci siamo ritrovati vestiti in un altro modo e incamminati in un percorso che ha cambiato la nostra esistenza.”
Significativo, a questo proposito, è anche il passo tratto da Enrico V di William Shakespeare che recita: “chi non morirà oggi e vivrà sino alla vecchiaia, ogni anno, la vigilia, conviterà i vicini (...) Felici noi, noi pochi, schiera di fratelli.” Il che evidenzia e giustifica, rafforzato da un punto di vista letterario, il coinvolgimento in un possibile e ideale banchetto di amici e lettori.
La struttura dei due volumetti offre quindi una chiave di lettura asimmetrica: da una parte, in un crogiuolo di avvenimenti che seguono e inseguono la coscienza, ci stanno e vivono e amano e muoiono i personaggi, dall’altra in un arco di tempo ben delineato si innestano le storie dei protagonisti. Già questa esposizione, a double face, si potrebbe dire, racconta che la realtà fattuale va introiettata e analizzata per segmenti, mai accettata per così com’è o come potrebbe apparire.
Ecco allora uscire come da un magico cilindro figure esemplari quali Freda, Peppino, Francesco, Anna, Oksana, Deo, Edoardo e via dicendo: tutti personaggi nati dall’esperienza di Forni e maturati in una specie di quaderno diaristico attento e scrupoloso. Lo stanno a dimostrare le varie date che l’autore inserisce all’inizio del racconto, nonché le note e le sottolineature in corso d’opera, che motivano la curiosità del lettore. Così inquadrate in una sorta di autoreferenzialità, le vicende dei protagonisti creano il substrato e l’humus che sono la ricchezza dei racconti.
In queste pagine siamo quindi portati a cogliere, insieme con gli attori principali, momenti di una vita problematica che si interroga sul proprio essere: momenti che sono al tempo stesso testimonianza e segno etico, ovvero schizzi di una umanità che si racconta attraverso un’esperienza propria e imprescindibile. Ascoltiamo vicissitudini che si intrecciano in volti rintracciabili nella quotidianità: una grande partitura diretta e progettata dall’esperienza dell’autore, nel desiderio di trasmetterci momenti atti a renderci più sensibili e attenti, più riflessivi e savi, perché “chiusa una porta si apre un portone”.
Orgogliosamente Maurizio Adelfo Forni sottolinea che si tratta del suo nono libro. Romanticamente possiamo definirlo il suo nono figlio: una successione che non smentisce le sue capacità di scrittura, anzi le esalta e le affina. Lo scopo – sembra alla fine suggerire l’autore – almeno in questo scorcio di tempo, sicuramente non brillante né consolante, è quello di risorgere più “impreziositi”, insieme e in grazie dei racconti, secondo quell’arte che i giapponesi chiamano “kintsugi”, vale a dire abilità nel rimettere a posto i pezzi che possono essersi rotti o rovinati e farli rinascere a nuova e miglior vita.
Enea Biumi
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