venerdì 3 febbraio 2023

Gianfranco Galante, Il nobile ricco e il povero nobile, Macchione editore, Varese, 2022


 

La nuova fatica di Galante disvela le sue attitudini narrative e le intenzioni etiche cui sottopone i suoi testi. La sua capacità di raccontare storie viene infatti in soccorso al desiderio di sottolineare una coscienza critica atta a far riflettere il lettore su ciò che è bene e ciò che è male. All’interno di questo messaggio abbiamo la trasposizione iconica dell’attrazione musicale come forma sublime di arte e soprattutto di ascolto. Che significa trasmissione di valori concreti in un mondo che spesso dimentica il rispetto dell’altro racchiudendosi in prospettive meramente egoistiche che allontanano e segregano il diverso.

Nonostante il titolo che potrebbe far riferimento, ad un primo e superficiale approccio, ad una fiaba per adulti (Il nobile ricco e il povero nobile), il nucleo centrale del romanzo si concentra su fatti e personaggi immersi in una realtà storica, sociale ed economica che si sviluppa al termine della seconda guerra mondiale. Ed è proprio il conflitto appena concluso che innesca una serie di interrogativi attorno agli attori del romanzo che appaiono in toto nella loro scarna, ma motivata, esistenza in cui si intravedono contraddizioni, ripensamenti, salti nel vuoto, sogni e desideri, nonché soluzioni a volte felici e a volte incomplete, comunque sempre inerenti al proprio sentire ora sincero, ora menzognero.

La vicenda si colloca nella Baviera, ancor oggi locomotiva tedesca se non europea, ai tempi principalmente agricola e immersa in tradizioni ancestrali che stratificavano i rapporti sociali in cui le barriere erano ben definite e immobili. In tale immobilità ecco che si innestano ladrocini culminanti in un delitto. Ed allora la scrittura di Galante prende le redini dell’investigazione, si dipana in tanti rivoli indagatori: di fatti e di animi. Così il quadro che ne scaturisce è una visione a trecentosessanta gradi che incuriosisce il lettore e lo trascina in luoghi e avvenimenti come fosse seduto in una sala cinematografica a goderne le varie riprese. E si tratta di pellicole scandite in un sottofondo musicale che ne accentua il fascino e l’interesse.

Eccone un esempio.

“L’alba della fine di maggio fu foriera di tepore d’aria. La rugiada dei campi del sud della Germania irrorava, certo, ma altresì evaporava rapidamente formando una nebbiolina leggera. Tra i boschi, le colline e i castelli della Baviera un’aura di mistero avvolgeva tutto. E man mano che diradava il fumello nebbioso, splendente appariva la terra tutta avvolta d’un verde imperante. Bella, rigogliosa, vitale. E dopo le prime luci i raggi lunghi del sole poggiarono anche sulle guglie della Hellen Landhaus. La sua piccola popolazione cominciava ad essere operosa, tanto dentro la villa quanto fuori; nei campi, nei fienili e tra i cavalli. Anche il barone, quindi, e tutti gli altri si prepararono ad affrontare il nuovo giorno.”

Si noti, en passant, come, di primo acchito, dopo una descrizione oggettiva dell’alba, l’aver posto, a metà del capoverso, il predicato (appariva) prima del soggetto (la terra), dona alla frase un non so che di poetico che sottolinea l’atmosfera del mattino e scandisce, con un periodo nominale e con tre aggettivi delucidativi, il clima ed il paesaggio bavarese.

Allo stesso modo l’aver inserito, non solo nei dialoghi bensì nel racconto, alcune frasi o vocaboli tedeschi avvicina il lettore ai personaggi del romanzo e aiuta a convalidare, se ce ne fosse bisogno, l’attenzione di Galante per il particolare, nonché il suo studio teso a rendere nel miglior modo possibile il ritratto di un’ambientazione lontana da noi, certo, nel tempo e nei caratteri. Il tutto, comunque, in quella bilancia straordinaria che sa soppesare e ordinare il bene e il male, il corretto e lo scorretto, la bellezza e la mediocrità.

Così la narrazione finale raggiunge lo scopo prefissato. Ed ecco che, come in una sinfonia viene racchiusa nelle battute finali l’intera opera, Galante conclude a coronamento del romanzo il suo apporto etico nel termine più sublime – ed attuale – che possa esserci: pace.

“La Baviera fu culla di questa storia (…) Grazie ai nuovi cambiamenti geopolitici del dopoguerra, il barone abbracciò parte delle politiche nazionali come, ad esempio, incoraggiare lavoratori immigrati e volonterosi (soprattutto italiani e turchi) offrendo loro stipendio onorevole, aiuto per trovare alloggi, aiuti per la crescita dei figli, per la scolarizzazione e in qualunque cosa fosse possibile. (…) Rivolse le sue attenzioni anche al mercato estero e conquistò grandi parti di commercio in tutta Europa, ridonando così fiato alle casse della bella Hellen Landhaus, all’economia della stupenda Baviera e della Germania tutta; coltivando tempi di pace”.

 

Enea Biumi

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