domenica 31 marzo 2024

Alessandro Assiri “Abitarmi stanca” (Puntoacapo Editrice, 2023)

 

                   


 “Una volta mi bastava poco, spostavo/ quattro mobili e credevo di aver compiuto una/ rivoluzione”; così si avvia la prima strofa, seguita poi da una seconda parte che si struttura formalmente quasi fosse un poemetto in prosa (in realtà tale ad una prosa poetica), di “Abitarmi stanca”, libro di Alessandro Assiri, “poeta di cose” come definito da Ivan Fedeli nella prefazione. Il senso effettivo della mobilità esausta, di una certa tensione alla rinuncia riscattata dalla immaginazione volitiva, comporta una visiva “occupazione della pagina” che rende molto stimolante lo sviluppo di una versificazione ibrida. Il verso che allunga il passo nella discorsività ritmica coniuga assonanza mite, ponderata, nella consapevole attenzione rivolta ai filtraggi di luce, ai chiaroscuri espressivi insediati nella tracciabilità delle imposte socchiuse, in una scolpita asimmetria dicibile perché pensata attraverso il rigore pervasivo dell’interpretazione capace di “significare” gli oggetti emersi. La quotidianità è altra e sospesa; di più, levigata nell’incisione scritturale, testata dalla modulazione pregnante dei termini nella loro solidità trattenuta, “da questa finestra che non si apre”. E’ certo esigibile l’oberato lavoro di spoliazione tra passi inseguiti e sensi di colpa accorpati in una vigilanza estrema, controllata, perché inerente al desiderio proposto di sollievo. Il “tu” è altro con diversa assenza; emerge una raffigurazione d’interni con gli elementi stessi posti a rievocare un vissuto, un pensato, in alterno susseguirsi dove le vicende sono granuli dispersi. Assiri contiene con una modulare esattezza l’involucro testuale in anticipo sul precluso, disposto agli accolti tratti levigati in spazi, in pause cognitive a dirsi opzioni per rielaborare il correlativo, l’attesa ciclica dell’ente fatto voce, condotto nella visibilità fruibile ma non esauribile. Azzarderei nel tracciato poetico una evocativa ontosofia laica diradata nelle flessioni di una quotidianità in frammenti dove l’episodio si fissa nella caratteristica percezione che si fa, appunto, sapienza delle cose. “Il mio azzurro ha una voce cruda non ha onde, è/ un reticolato/ un suono senza pace” scrive Alessandro Assiri “ E’ l’azzardo di uno scarto/ la terapia a scalare da un mezzo a un quarto”. Anche il verso lungo percepisce un richiamo prosastico ma, allo stesso tempo, si fa intriso di sospensioni a sua volta, non ammette prevedibilità di scansione. Il “tu” rivive negli enti, nei pensosi ancoraggi alla solidità esigua delle condizioni, negli anfratti percepiti e misurati dove, in diversi casi, scatta l’effetto sonoro della rima, sempre equilibrata. Poetare adulto, quello di Assiri, nella responsabilità del dire e del cogliere le fattezze misurabili di un esilio terreno. A volte l’intervento si fa estremamente contingente, quotidiano, volutamente concreto: “E’ così che tutto termina domenica come i divani/ senza nessuna certezza di esserci domani”. Certo la poesia va vista direttamente nello spazio della pagina per coglierne la sua natura anche grafica e visiva, il suo abitare attraverso lo specifico uso degli spazi, l’architettura dell’impianto testuale. Allora lo sviluppo porta davvero ad una dimora linguistica tangibile e dicibile, nell’acuta osservazione delle parti, nel retroscena attento del pensiero; comprendendo che il tentativo del poeta è di costruire, nell’evidenza dei particolari, un’autobiografia collettiva; così scrive : “Segno il tempo che manca in grovigli come nostalgie il corpo stanco di sbadigli dove davanti alle cose belle// ci si prende per mano”.

 

               Andrea Rompianesi

 

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