Ancora una
volta Gianfranco Galante si rivolge verso una tematica sensibile e attuale:
l’emigrazione. La sua ottica è uno sguardo a tutto tondo che insiste su di una
umanità emarginata, ma niente affatto marginale. Anzi. È proprio questa umanità
che ha bisogno di essere osservata, seguita e coadiuvata.
Tratto da
una storia vera, parzialmente modificata, il romanzo parla di un viaggio
compiuto da due fratelli africani per raggiungere l’eden europeo. I due
protagonisti abitavano in un villaggio della Tanzania. Poco sapevano del mondo
che stava al di là della loro tribù. Avevano però fatto una promessa: dovevano
raggiungere l’agognata Europa, meta presumibile di benessere, ricchezza e
felicità. Ma prima ancora di raggiungere la terra promessa si sono scontrati
con guerre, torture, paure, fame, maltrattamenti e soprattutto dignità
oltraggiata, rispetto ferito e personalità vilipesa.
Dalla
Tanzania passano attraverso lo Zambia, il Congo, la Repubblica Centrafricana, il
Ciad, la Libia per raggiungere, dopo la perigliosa traversata del Mediterraneo,
l’Italia. Il destino dei due fratelli si complica perché vengono divisi:
infatti uno troverà rifugio in Sicilia che diverrà la sua stabile dimora,
mentre l’altro continuerà il viaggio verso il Nord, e lì troverà stabilità. Si
reincontreranno dopo anni e diventerà difficile, sembra un assurdo, pure la
loro comunicazione, visto che uno parla italiano e l’altro il dialetto
siciliano.
L’autore si
cala nei due personaggi, diventa la loro anima, il loro pensiero, subisce il
loro dolore, il loro timore e trasmette al lettore le loro sensazioni e le loro
aspirazioni.
Non sto qui
a svolgere il riassunto delle loro vicissitudini, simili a quelle di tanti
altri migranti verso la speranza. Ciò che tuttavia mi preme sottolineare è
l’attenzione di Galante verso gli ultimi, i vilipesi, gli emarginati. Il loro
dramma è la vergogna di una cosiddetta civiltà evoluta. Evoluta verso il
benessere di pochi. Involuta nella comprensione dei più deboli.
Purtroppo la
storia si ripete. Sembra che non riusciamo ad apprendere nulla dalla storia. O
forse la storia è una maestra inascoltata. Eppure un racconto come questo è
necessario, serve a denunziare simili situazioni disumane. E non bisogna essere
dei santi o dei profeti per capire come la disumanizzazione diventi foriera di
ulteriori ingiustizie e di inevitabili ribellioni.
Wakìky e
Mbele sono il simbolo di una stortura umanitaria, di una società irrazionale ed
egoista, di un mondo che divide e non unisce. Il Nord che ha sfruttato negli
ultimi secoli il cosiddetto terzo mondo, che ha costretto gli abitanti del
terzo mondo ad abbandonare la propria terra e le proprie radici derubate in
continuazione delle proprie risorse, chiude gli occhi davanti ad una
emigrazione che ritiene ingiustamente pericolosa, non accetta il diverso, per
struttura fisica, per religione, per cultura. E Gianfranco Galante con questo
romanzo di una umanità sincera, sensibile e trasparente ci rende coscienti del
disastro umanitario e culturale che il Nord sta commettendo.
Il viaggio
verso il domani è la narrazione di una speranza raggiunta, dietro la quale però
si cela la sconfitta di molti che non riescono a realizzare i propri sogni, ma
anche la sconfitta di quel mondo che si ritiene superiore e che rifiuta il
confronto con chi quei sogni vuole concretare.
Enea Biumi
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