C’è, in quest’ultima silloge poetica di
Gianfranco Galante “Il pensiero soffia
ancora”, una forza consapevole ed integra, accompagnata da una autorevole
originale vitalità, che si dipana nell’armoniosità dei versi, tale da entrare
immediatamente ed empaticamente in sintonia con il poeta stesso. La pienezza
del pensiero fa sì che il lettore si renda partecipe di quel soffio che sprona l’autore alla
scrittura e ne dilata il contenuto non più còlto in un ambito personale, unico
e solo, bensì promotore d’un dialogo e interlocutore di un “altro”.
per avere chi cammini
Il sentimento si eleva e si ravviva. Traspare
e fluisce con un vocabolario classico ed elegante, nel quale si intravedono
rime e ritmi scientemente travasati in ricchezza di stile e contenuto. Potrebbe
sembrare bizzarro – ma già altri l’hanno utilizzato (non ultima la Patrizia Valduga) – il condurre la poesia attraverso un attento e preciso rimario,
apparentemente rifiutato nel novecento, ma è proprio da questa scelta che si
sviluppano e si integrano significato e significante.
Plasmare la lingua
levigare con penna
perché sembri vero.(…)
E’ marmo che tiene,
resiste scalfito,
l’opera emerge
d’un blocco a granito.
Il linguaggio così esposto ci conduce ad
una dimensione di immagini sobrie ed efficaci afferenti in modo particolare il
tema dell’amore.
sfioran la pelle;
inebrio al profumo
e sento un vibrar di stelle.
Ma non solo amore. In effetti, Galante osserva la vita in tutte le sue fasi ed evoluzioni. Dove naturalmente l’amore prevale su tutto.
Siamo ombra, siamo niente,
siamo sempre solo gente.
La ritmica - e la poesia deve essere musicale, altrimenti non la chiameremmo lirica - giocata in massima parte su quinari, senari e settenari, facilita sulla pagina ciò che nella vita appare meno scontato
e più duro, dilatando nel tempo e nello spazio elementi empirici e realistici
estranei alla narrazione poetica in sé, così che descrizioni paesaggistiche e
riflessioni personali diventano un tutt’uno, sulla scorta della lezione poetica
tradizionale. Alla stregua di un idillio.
Dimmi, luna,
se lo sai, luna, dimmi tu.
Non altrimenti potrebbero leggersi queste
quartine:
Spicchio di luna
che sorgi dal monte
la notte vicina.
Tornan le barche
accolte giù al molo
dov’offre rifugio
il suo porticciolo.
Queste strofe sono costruite su quinari che fanno scivolare il pensiero rapido e leggero al verso finale, contenente in nuce il senso della poesia stessa: “il cuor qui si lascia”. Vale a dire: il mio cuore, che è al centro di me stesso ma anche al centro della mia scrittura, si trova qui, e qui si installa: deciso a non abbandonare niente e nessuno. Alla fine, il pessimismo della ragione, che ci perseguita dai secoli del razionalismo, si tramuta in senso religioso, in imprescindibile pragmatismo morale, che non è moralismo, ma capacità d’essere hic et nunc uomini eticamente corretti.
Il bene a fondo, sotto pelle,
mai non nuoce e dà calore;
ci ricorda sol che in vita
ciò che sempre ci conduce
non è chiasso e gran clamore,
ma profondo e caldo amore.
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