Gli Stati Uniti d’America come luogo a cui rapportarsi
dall’Italia, nelle articolate vicende di emigrazione che hanno caratterizzato
la nostra storia. Luciano Cecchinel, in questo suo esito di poesia “Da sponda a
sponda”, rivisita il dialettico rapporto con il paese che ha dato ospitalità a
parte della famiglia materna e dove è nata e ha trascorso l’infanzia la madre.
L’esperienza, in seguito avvenuta, di visita delle terre statunitensi da parte
del poeta, concede uno spettro di emozioni che sviluppano sentimenti alterni;
da una iniziale componente nostalgica ad una successiva disillusione e relativo
distacco. Cecchinel esprime efficacemente il riaffiorare delle immagini
registrate e interpretate nella calibratura dei versi: “Muskingum River/ acqua
pigra e melmosa/ la ruota del battello/ le pale sbrodolanti/ bocca mostruosa di
ingordigia”. Qui il sogno americano è trascinato a terra, nella polvere e nella
sofferenza vissuta dai migranti; da chi in quei luoghi cercava uno spazio di
sopravvivenza, di riscatto, lungo i territori dell’Ohio, del Midwest, come a
New York o nel New Jersey. La successione delle strade abita il quadro
riprodotto di uno sviluppo dei segnali che determinano il tracciato della mappa
nella rivisitazione aperta oltre l’iterazione del profilo di riferimento anche
quando il verso trova nel suo sviluppo orizzontale l’estensione narrante: “le
farms che corrono lungo una collina e ai piedi della collina sterpi/ e poi
colline a perdizione boschi radure cespugli quasi un paradiso”. Sembra un
lamento antico in odore di tono biblico, evocante esodi ma anche un “melting
pot”, un crogiolo di culture che spesso si ritrovano a convivere nella
difficoltà dei rapporti. Si susseguono spunti tratti dalle vastità raccolte e
determinate dagli influssi di una ricezione che evoca la partitura di un
Whitman; tende a ridisegnare le durezze abbinate agli strati rocciosi, alle
vibrazioni operose che conducono attraverso le successioni innescate dalle voci
disperse. Nella seconda parte del libro lo scenario si sposta presso
Revine-Lago, paese in provincia di Treviso, luogo di nascita dell’autore. Qui è
analizzato anche il senso di sofferenza espresso dalla madre Annie che, nata e
cresciuta in terra americana, aveva poi dolorosamente dovuto lasciarla per
rientrare in Italia. Il rapporto con le proprie radici comporta quindi
differenze e stati d’animo relativi alle personali, mai ripetibili, sensazioni
accelerate dalle vicissitudini subite e riaffiorate nella visitazione intima,
come tratto indicante l’evidenza del percorso collegato alla esegesi dei
luoghi. Anche il ricordo di soldati americani di stanza presso una base veneta
e poi inviati a combattere nella guerra del Vietnam, conduce Cecchinel ad
esprimere strofe che si rispecchiano in segnali traccianti le contaminazioni
culturali che diventano riconoscimento di sentimenti comuni. I segni
topografici racchiudono segnali di memorie, dove il testo è profondamente
innestato nelle vicende familiari del poeta. L’asperità dei recuperi dilata
travagli, gli spessori inesausti dove arde la domanda primaria frammentata e
dispersa fra le proponenti attese dimentiche della possibilità di un conforto.
L’ora insinua l’attenzione alle relazioni, alle opportunità mancate, oltre
l’evidenza dei tributi offerti alla storia personale calcata nella contingente
faticosa immanenza. Il luogo diviene quindi correlativo fonetico, concreto
nella sua leggibilità visiva. Un’ermeneutica del bisogno infrange ogni
proposizione asettica e nutre invece la carnalità delle emozioni così come
l’acuta critica disincantata e amara. La terza parte del volume sviluppa una
poesia a tutta pagina, una forma di lungo “talking blues” dove un intreccio
linguistico di italiano/inglese evoca molti spunti e riferimenti alla cultura
americana nella tonalità musicale che rimanda al tono country, così come allo
slang italoamericano, ai ritmi dello spiritual e alle espressioni del blues,
jazz e delle voci di una componente tipica del folk singer. Ma anche spunti
drammatici che si soffermano sulle atrocità del conflitto in Vietnam o sulle
ingiustizie delle discriminazioni razziali. La corporatura compatta delle
strofe si trasforma in successione di poemetti dove il tema dei rapporti
famigliari, le sofferenze della lontananza si intrecciano con le tonalità amare
delle solitudini, profonde anche nello scenario variegato della cosiddetta
terra delle libertà: “perché sommesse hanno ansimato per le loro foglie di
nuovi alberi/ tristezze di spossatezza e nostalgia e sussurrato ossessi uccelli
le/ cantilene di nazioni straniere non più devono piangere quegli/ occhi di una
perduta età”. Davvero allora, nella complessità policroma di un sundown medley
(letteralmente miscuglio del tramonto) Luciano Cecchinel si chiede “ quale quale il senso? vero
falso celato?” attraverso la
vasta proporzione di un affresco che include lunghe citazioni e non elude mai i
contrasti e le contraddizioni su di uno sfondo disegnato da “la terra sassosa
gialla rossa bruciata along the Navajo Trail il filo d’acqua/ sul fondo del
canyon baracche con le cisterne per la pioggia...”.
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