La terra in cui si nasce è come una madre. Ce lo insegna
il Foscolo in quel prezioso sonetto che inizia con “né più mai toccherò le
sacre sponde”. Ed oltre ad essere
madre è anche sacra. Questi due termini di maternità e sacralità ben si
addicono al volume “Lucanità saracena” di Prospero Antonio Cascini e
Prospero Valerio Cascini. Non si tratta, notate bene, di una semplice e scontata
linea encomiastica, come di solito avviene nella descrizione e rievocazione di
un passato felice in un luogo idilliaco, soprattutto là dove si innesca il
vernacolo o il vissuto in città lontane da quella natia. Si tratta bensì di un
ritratto, amorevole certo ma non sdolcinato, in fotografie e poesie di
Castelsaraceno. La responsabilità dell’impresa è dovuta a due cugini, Prospero
Antonio Cascini e Prospero Valerio Cascini che si sono impegnati a raffigurare
una civiltà antica proiettata nel futuro, una civiltà fatta di bellezza e
tradizione, di passione e di memoria, di realtà e poesia. D’altra parte i due
autori non sono nuovi ad operazioni di tal genere. L’uno, Prospero Antonio, ha
nel proprio curriculum volumi e premi di poesia, l’altro, Valerio Prospero,
vanta raccolte in vernacolo premiate e celebrate. Entrambi i poeti hanno la capacità
di saper intrattenere il lettore e condurlo ad emozioni e riflessioni
attraverso una versificazione che non si avvale di orpelli retorici ma
si aiuta di icasticità e sensibilità. Un piccolo esempio è la lirica “La
lucanità saracena” di Prospero Antonio. Notate il suo incipit accattivante:
“Dormirci sopra
in un anfratto innevato
tra un cirro argentato
e un bucaneve imbalsamato”
La lirica poi prosegue nell’evocazione amorevole e
sincera del suo Paese dove “pendono nelle toppe le grosse chiavi / dei
palazzi antichi”, dove “è il sogno di ognuno / che lascia il segno… /
sul proprio selciato”.
Non meno incisiva è la lirica di Valerio Prospero, tutta
legata ai suoni dialettali che sono un segno di ancestralità e di passione e
che rievocano momenti topici della vita a Castelsaraceno (dalle feste
religiose, come il Natale, ai gesti quotidiani come la compra vendita al
mercato, o a figure tipiche del posto come commà ‘Ndumeta o Filice u Sinisaro).
Nulla, come in precedenza sottolineato, di regionalismo encomiastico, ma
momenti di vera ed autentica poesia esaltati dalla musicalità di un patois
lucano saraceno, come ben delineato in questa lirica dal titolo “Puhisia”
(Poesia)
“Fammila na puhisia e ch’ t’ costa.
Parole ‘mbastate ca parole a bella posta.
Ca nu sbendano a l’aria pi fa sputa,
ch’arrivano d’rett’ addun’ so’ binut’.
Rammila na puhisia
a voglio tene ‘ndu portafoglio
cum’ fosse a zita.
Parole ‘mbastate cu parole
pi tutt’ a vita.”
(Fammela una poesia e cosa ti costa. / Parole
impastate con parole a bella posta, / che non siano insulse tanto per parlare /
ma che arrivino dritto al cuore che le fece andare. / Dammela una poesia, / la
voglio tenere nel portafogli / come una sposa. / Parole impastate con parole /
per tutta la vita.)
Enea Biumi