Questo poemetto di Gianfranco Galante ha il sapore dei ricordi dell’infanzia. Tutte le estati l’autore ritornava ai luoghi natii, attraversando da nord a sud l’Italia, in un viaggio complicato ma allo stesso tempo leggero. Complicato perché i treni in quei tempi non procedevano a 300 all’ora come avviene oggi, e leggero perché c’era la speranza di un incontro con gli amati nonni.
E in quel tragitto ne avvenivano di cose! Si
presentavano, infatti, mano a mano sul treno tanti e tali personaggi di varia
natura che, a ben osservarli, partorivano graziosi e simpatici aneddoti.
Il libro è scorrevole come il viaggio che viene
raccontato e descritto, colmo di emozioni
ed episodi unici nel loro genere. Si tratta in fondo di una specie di reisebilder
che narra l’ansia dell’arrivo e l’appagamento di un ritorno felice. Naturalmente
il percorso non è totalmente privo di piccole traversie che rivelano l’amore
per la terra che lo ha visto nascere e crescere in quel turbinio di esistenza
fanciullesca ed adolescenziale.
Si rimembrano luoghi, profumi, rumori, umori, sentimenti, sguardi
e aspettative raccolti in versi teneri e gioiosi nell’attesa di incontri con vecchi
amici e nella speranza di nuove e intense emozioni.
A volte il linguaggio è forse un po’ troppo aulico, o per meglio dire poco attuale e meno vicino alla parlata comune, ma si tratta comunque di una peculiarità di Galante, già nota in altre poesie, e che non stona affatto nel complesso dell’opera, anzi la vivacizza, così come è vivace il ritmo impresso, pagina dopo pagina.
I versi, in tal modo arieggiati, appaiono,
alla fine, la metafora del viaggio, nonché di un ritorno all’infanzia
spensierata e felice di un tempo ormai passato e che si vorrebbe recuperare,
per lo meno nella memoria.
Enea Biumi
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