Andrea Rompianesi
Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
Andrea Rompianesi
Si potrebbe definire lo scritto di
questo testo “Ti racconto perché” come un poema d’amore e sull’amore.
Infatti, a mezzo tra una serie di racconti, di poesie e di saggio, ci stanno
una riflessione importante ed un invito. La riflessione è appunto quella
riguardante l’amore in ogni sua forma e dimensione, l’invito riporta il lettore
ad un esame di coscienza su di sé e sul mondo che lo circonda.
Ora, i racconti si potrebbero
paragonare a degli exempla(1) che supportano considerazioni e
valutazioni dell’autore, mentre le poesie traducono in sintesi le più svariate
emozioni dovute a storie e accadimenti inerenti l’amore stesso.
Variegate sono le situazioni, ma una
sola è la soluzione. Essa si traduce nella consapevolezza che l’uomo è un
animale pensante, cosciente, dotato di una propria volontà e di un libero
arbitrio che lo distinguono e lo fanno unico al mondo. Per questo ontologicamente
si rende necessaria un’educazione all’altro, alla sua comprensione ed
accettazione, e per questo basta una parola semplice che tutto racchiuda:
amore. E non è la prima volta in cui Galante ci dà lezione, attraverso le sue
opere, di moralità, civiltà e buon costume. Attenzione: moralità e non
moralismo.
Si tratta allora di un trattato
sull’amore? Certamente, ma non in senso filosofico sebbene poetico. Come ebbe a
sottolineare Kant in un famoso detto: il cielo stellato sopra di me, la
legge morale dentro di me.
Alcune riflessioni qui inserite erano
già presenti nel De amore di Andrea Cappellano, come ad
esempio: Nei piaceri d’amore non sopraffare la volontà
dell’amante, oppure Conserva la castità per l’amante, ed
anche Nel dare e nel ricevere piaceri d’amore mai deve mancare il senso
del pudore. Ma Cappellano fu un autore medievale, con tutti i limiti che
noi sappiamo e che non starò a sottolineare.
A tal proposito mi sovviene
l’episodio dantesco di Paolo e Francesca, condannati non perché si amano ma per
il fatto di essersi lasciati trascinare dall’irrazionalità della passione. Ed è
una testimonianza, che l’amore è un elemento principale della condotta umana:
da lì parte il tutto. Come lo dimostrano anche le parole di Cristo, o di
Agostino d’Ippona che sostenne: “Ama e poi fa’ quello che vuoi”, perché
era sicuro che l’amore conducesse solo al bene.
Dante attraverso quell’episodio del V
Canto della Commedia condannava i romanzi cosiddetti d’amore che conducevano i
lettori ad una pedissequa imitazione dei protagonisti.(2) Oggi non è più
così. E non so quanti leggano ancora romanzi rosa, appassionanti e appassionati
(lontane sono Liala, Delly, Mura, Guido da Verona, Pittigrilli). Oggi è la
stagione degli influencer: questi sì, imitabili ed imitati e forse
pericolosi, su alcuni aspetti, come lo fu, secondo l’Alighieri, Chrétien de
Troyes con i suoi Lancillotto e Ginevra. Di per sé lo svenimento alla fine del
Canto del Poeta dimostra come l’equilibrio amore-passione e
razionale-irrazionale sia labile e il loro confine indefinito e indecifrabile,
cui nemmeno Dante, soprattutto in età giovanile, poté sottrarsi(3).
Ma esistono purtroppo anche
comportamenti inaccettabili tra amanti, meglio tra marito e moglie, ben
sottolineati dall’autore e del tutto condivisibili. Non so se Galante abbia
visto il film della Cortellesi “C’è ancora domani”, tanto giustamente celebrato.
Di sicuro, però, il modo in cui in questo racconto-saggio viene descritto il
rapporto uomo-donna è una chiara esaltazione di una unicità di legame
paritario, attraverso la gentilezza, la comprensione, la non sopraffazione
dell’uno sull’altra.
Nella seconda parte del testo,
l’autore si sofferma sulla valorizzazione di altre culture, di altri saperi, di
altri costumi. Ecco allora che da una prospettiva del singolo la visione
offerta da Galante ci riconduce alla collettività. Un tempo, sostiene, gli
emigranti eravamo noi italiani. Oggi noi siamo terra di immigrazione. Per
questo dobbiamo saper accettare il diverso da noi.
Dalla “comprensione” empatica verso
l’altro al discorso sulla guerra il passo è breve e naturale. La pace in fondo
è un problema d’amore.
Così il libro diventa un vade
mecum importante se non necessario da sistemare sul proprio comodino e
sfogliare prima di addormentarsi, per un confronto con se stessi o per puro
piacere intellettuale nella lettura di poesie e racconti come fossero favole o
parabole divertenti oltre che esplicative e didascaliche.
----------
1)
Exemplum: racconto veridico a scopo
didattico-religioso tipico della letteratura medievale, in cui il protagonista
alla fine raggiunge la salvezza dell’anima. Nel corso dei secoli assunse un
aspetto sempre più letterario, sino a confluire nella novella.
2)
“Quando leggemmo il disïato riso / esser basciato da
cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, // la bocca mi basciò
tutto tremante. / Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non
vi leggemmo avante”.
3)
Si veda a tal proposito “La vita nova” in cui
Dante tende a superare l’aspetto dolcestilnovista dell’amore cortese, portando
l’amore a più elevata essenza e facendo della donna il tramite per raggiungere
Dio.
Enea Biumi
Croupier a vita inserito nelle interiezioni (intese come originate dal “gettare in mezzo”) estranianti per passaggi focalizzati in piani narrativi che si alternano e si intrecciano attraverso salti temporali e cromatismi linguistici imprevisti. Assalti di personaggi estromessi da una finalità determinata per condurre inestricabili mutamenti al suono di luoghi e tentazioni ludiche o carnali, nella ricorrente sonorità dei rimandi a quella letterarietà che sviluppa una vera e propria prosa creativa. E’ “Live dealer” di Lamberto Garzia, testo-mondo forse postmoderno ma per lo più pagine gravitanti intorno a luoghi distanti e quindi comparabili nell’accezione dell’apporto, come la Liguria e il Messico. Terre di confine alla evanescente possibilità di determinare ogni spazialità tracciabile in multilinguismo a preziosa conduzione letteraria, quale garanzia ricevuta nel ricorrente riferirsi a spunti di rigore stilistico come quello espresso da Tommaso Landolfi. L’avventura di Garzia è nel corsivo delle incursioni tipografiche stesse; nelle proponibili infatuazioni dei gesti autoriali, nello stesso Lamberto che si pone autore e personaggio innestato nella non trama, come espediente ciclico nel vissuto occhieggiare generi impavidi e sottolineature erotiche apertamente provocatorie, senza escludere rigori critici quando è ferita l’incisione di un muro che divide un confine, che preclude l’orientamento libero. E di libertà l’autore avvolge le pagine dove il linguaggio perturbante e intertestuale coniuga celati rimandi ed estensioni liminari, digressioni fruttuose e proposizioni filmiche. L’intreccio delle arti suona dal fervore ammiccante di uno Sterne all’encomio latinoamericano di un Puig o di un Bolano. Un infrascritto che si azzarda, nell’azzardo stesso del giocatore, a pretendere l’emanazione del “mutuus dissensus” perché il contratto di lettura accolga possibilità di ricezione anarchica ed eversiva. Ogni singolo passo del testo è tutto il testo e, nello stesso tempo, non è se non frammento di tessitura dirompente, certo astutamente ludica. Misura di inconciliabile pregnanza sollevata dal contesto di una marcatura ambivalente, a inneggiare l’eclatante alternarsi dei toni stilistici determinanti la costruzione del possibile, quasi inteso come opzione e dicitura di una lettura del mondo nella sua più estesa realtà interrogante. L’espressione già tratteggiata di Lamberto Garzia in questo testo personalizza il sé ma non intende forse mai richiamare l’asserzione riconoscibile, piuttosto alludere ad una incisione nelle pieghe del tessuto vivibile, comunque empirico, di una opzione sempre accertabile, se non del nostro limitato fare, almeno in una coincidenza dove vita e scrittura possano coniugare la peculiarità creativa dell’avventura e dove la scrittura stessa interceda a sorreggere l’inesausta apprensione del nostro desiderio, così costante stimolo e reiterata pena.