sabato 20 luglio 2024

Massimo Morasso “Frammenti di nobili cose” (Passigli Editore, 2023)

 





Curiosa l’affermazione nel risvolto di copertina di questo libro di Massimo Morasso “Frammenti di nobili cose” dove si dice che si potrebbe parlare di poesia metafisica se non fosse per la fervida adesione a una realtà insieme materiale e spirituale che caratterizza il dettato dell’autore. Ma la metafisica, nel suo senso più proprio, come riflessione sull’essere delle cose, e anche delle cose ultime, è propriamente un orizzonte che comprende gli aspetti più concreti del reale e, nello stesso tempo, l’ente più alto e trascendente, “oggetto” della teologia razionale. Qui, nello specifico titolo di Morasso, sembra aprirsi una inquietudine vissuta però con la capacità di farsi riflessione, attesa del sentire, possibilità di ritrovati conforti che apparivano sbiaditi... “Nel mio messaggio, l’anima si affina,/ cerca le vie per crescere, si tempra/ sfociando nell’immagine sorgiva/ di un puro, interminabile fluire” scrive il poeta. Spiritualità è combinazione di elementi che vivono interpretazioni nuove, feconde, articolate in lucori serali dipinti con parole evocanti i suoni delle metafore. E’ incessante la domanda che conduce attraverso i passi, le apparenze, le trappole, per riemergere da continenze bellicose che a volte cedono i confini ed eruttano in un privato opporsi tra le guglie della codificazione; oltre il verticale apporto quando qualcosa si evidenzia nella sua pluralità: “In principio fu la Parola/ e, per sua grazia, i mondi generati:/ la realtà.// Ma il tempo passa, e tutto si dimentica.” Massimo Morasso ama i silenzi, anzi “la duplice natura del silenzio” perché l’abitare implica opzioni che responsabilizzano nel quotidiano la nostra libertà relativa. Allora diventa possibile cogliere quel niente di speciale che però l’autore vede come “il bene di vivere”, l’incauto assolvere la trepidazione di una natura contestuale che apporta tempi e moti, riposi e orditi, mestieri e passaggi, rimbalzi e cadute, sentimenti e distanze. Poi la constatazione di una evidenza: “C’è in questa materia/ che geme e stride/ un vuoto un’attesa/ un dipendere da Dio”; così è il ritrovare i punti del tempo da collegare restituiti agli spasmi, ai giochi di luce, ai venti, ai pensieri evoluti che tratteggiano nostalgie assorte. A volte il passo poetico sembra quasi trovare gradini d’inciampo, interruzioni di flusso con iati irregolari infissi in una tramatura divelta e feriale. “Idee tempo e artificio/ e il paesaggio è un paese di pinnacoli”, quasi forme che costringono a soste e variazioni direzionali dove subentra l’alienazione: “I social. L’a vanvera si parla/ e rotola sull’oggi, e gonfia il vuoto dello smisurato/ desiderio d’esserci, di dire”. Il libro di Massimo Morasso si conclude con un omaggio a Caproni e con il poemetto “Spine”, scritto in occasione di una mostra dell’artista Roberto Pietrosanti nella quale il poeta vede “Risolta in cosa da un cannello di fuoco,/ questa lastra d’ottone, questa lastra-bozzato/ scavata a forza, abrasa, violentata”. Massimo Morasso nel suo testo ribadisce così la convinzione “che la bellezza del cammino è nel cammino”.

Andrea Rompianesi

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