“Margit e un prato con fiori e farfalle dipinto a Terezìn” è lo struggente esito poetico di Silvia Comoglio, voce particolarmente significativa della sua generazione, che prende spunto da un disegno di Margit Koretzovà, fanciulla ebrea, realizzato nel campo di concentramento di Terezìn e attualmente conservato, insieme ad altri, presso il Museo Ebraico di Praga. Le poesie sono proposte nella versione italiana e in traduzione inglese per opera di Giorgio Mobili. I versi brevi, empatici, di Silvia Comoglio tendono a porsi quali voci, agnizioni a traccia solcante il molto spazio della pagina, il flusso nel limpido passaggio che si configura in segno e nota con apporto di corsivo e parentesi, nel tratto grafico di voce indicante dizione: “- sia, il vento, un serto-/ a filo di cuore/ (...soffio a cui tenerti/ traslucido di cielo,/ per esserti più alta/ del lume del tuo corpo...”. Tutto il gorgo abissale della sofferenza e del tragico epilogo, incide quel tratteggio lasciato ai margini, facendo emergere al centro la discorsività dei dati naturali, comunque insistentemente curati dall’osservazione aurorale ma già densa, acuta, profonda nella stessa leggerezza apparente dei toni, dei nitori, umori, terra, rose, cuori ancora proponibili, nonostante tutto. L’iterazione composta detiene il privilegio della rapida fluidità ritmica dell’essenziale udibile ombra che sovrasta il piccolo moto che si fa urlo intimo: “- ma, chi lo seda allora il cuore-/ dove tu mi gridi, questa, notte sacra?”; così la fronte è margine e ferita, disciolto avvento nella drammaticità sospesa e raggelata per la definizione di ciò che in appunto è altro, è dimora di una sospensione quieta, quasi fosse possibile il diramare assolto dei tremori, l’occasione rivedibile nell’ascolto notturno, nella predominanza sorda dell’inascoltato che orienta lo sguardo verso il punto di fuga, così le mani “poggiano a respiro/ dove è incedere di pieno/ mondo a precipizio”. Silvia Comoglio fa irrompere magistralmente l’alba in un contesto dove parrebbe assente ogni prospettiva riconoscibile; regala con versi incisivi e calibrati la visibilità dell’altrove. Nel disegno iniziale, fonte d’ispirazione, e nel testo autoriale si moltiplicano le ali, le risonanze, i possibili colori che vorrebbero ridisegnare un destino, il volto raggiunto dell’angelo. Una testimonianza, questa, che accende le lettere stesse e conduce a collegare Memoria e Vita, Vita e Eticità al Tempo, affinché il Tempo sia Umanità.
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