Davvero interessante e, oserei dire, originale questa raccolta che accomuna parole a oggetti fatti di carta, dando vita ad una ecfrasi che non ha necessità di ulteriori spiegazioni se non l’accompagnamento dell’occhio e della voce recitante. Spesso parola e figura si intrecciano dialogando spontaneamente e amalgamandosi in modo naturale e semplice. Attenzione: semplice, non semplicistico. Il richiamo iniziale all’arte giapponese del kintsugi suggerisce che le rotture si possono riparare con abilità e intelligenza. Ma dove sono le rotture? Sicuramente nella vita quotidiana fatta di successi e insuccessi, di promesse e delusioni, di sogni e di cocente realtà. Come ben sottolinea Floriana Porta nell’introduzione la sua ispirazione, che segue parallelamente quella iconografica di Anna Maria Scocozza, è dettata dal “tempo, dalla metamorfosi, dalla forza, dalla debolezza, dal kintsugi, dall’acqua, dalle radici e dalla luce. Se la missione di Anna Maria è dare forma e corpo alla carta, la mia è di darle voce e respiro.” Sotto questo aspetto allora si tratta di allontanare la superficialità delle cose per procedere alla ricerca dell’intensità dei rapporti umani. Il fiume eracliteo che passa e scorre sempre nuovo e fresco non dà tregua, ma se ci si ferma a riflettere riusciamo a scorgere in questo suo incessante andare gli aspetti più interessanti e “nostri”, tali da farcene una ragione consapevole di ciò che la vita comporta.
Cucio e riparo tutti
gli echi / che orbitano dentro me. //
Piaghe, ferite, / cicatrici e lacerazioni / nel loro concatenarsi, / si faranno
portatrici di luce / nell’orizzonte della poesia.
Come un elemento
apotropaico la poesia diventa di per sé vivificante, rigenerante e
tutto sommato anestetizzante. La
metamorfosi è appunto dettata dalla poesia e in essa si fa corpo e anima,
ispiratrice di gesta, nemesi del male, palingenesi finale.
Nella sinuosità del
verso / appari tu, donna // come un
roseto di gemme / ti frammenti e ti sveli
/ad ogni sua carezza / Infuocata d’amore // ma lui non si fa scrupoli /
ti deride, ti schiaffeggia / e poi ti uccide (…)
“Siamo fatte di carta”
diventa così un progetto ambizioso di riscatto e di denuncia. Tutto comunque
nel nome e per conto della poesia e dell’arte costruita su pezzi di carta che
parlano essi stessi di poesia.
Enea Biumi
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