giovedì 10 ottobre 2024

UNICITÀ DELLA LUCANIA Recensione del Filosofo Vincenzo Capodiferro, 2 ottobre 2024

 


Contravvenendo all’estetica crociana per cui l’autore si dissolve nell’opera d’arte, noi vogliamo valorizzare le persone che stanno dietro l’arte. L’arte è fatta di mani e piedi non è qualcosa di disincantato e disincarnato. 

PROSPERO ANTONIO CASCINI


Prospero Antonio Cascini, dirigente scolastico in pensione da settembre 2016, dopo sessant’anni dalla sua primina (1956), laureato in psicologia, inizia la sua carriera come preside a Oppido Mamertina (RC), successivamente in Basilicata matura esperienze di direzione in vari ordini di scuole. La primina del 1956, anno della nevicata straordinaria. Tutto iniziò tra botole, scale, bauli zollette di zucchero come viatico e tanto affetto. Si rammenta l’amore che tutto accoglie, abbinato alla dolcezza dello zucchero e al sacramentum. Operatore ed animatore culturale, ha organizzato varie iniziative, tra cui “La giornata del trekking”, le “Saraceniadi”, “Il concerto di Natale”. Tra l’altro in collaborazione con la Scuola Media “Ciro Fontana”, ha curato la mostra e l’annesso opuscolo su “Giovanni Iacovino. Tra pittura e fotografia”, ed. della Cometa, Roma 1996. Ha pubblicato con Monetti, di Battipaglia, “Il Girotondo. Tra primina e buona scuola in Basilicata”; “Lucanità saracena tra poesia e fotografia” nel 2022. Ha ricevuto vari riconoscimenti in Premi e Concorsi culturali.

IL PRESIDE PIU’ GIOVANE D’ITALIA.

Oggi è Maria Luisa D’Onofrio, campana, di trent’anni. Allora eri tu, ma io intendevo che sei giovane nell’anima. Quant’è bella la giovinezza… Lorenzo. Ada Negri. Mia giovinezza. Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo all’essere. Sei tu, ma un’altra sei: senza fronda nè fior, senza il lucente riso che avevi al tempo che non torna, senza quel canto. Un’altra sei, più bella.

VALERIO CASCINI

Valerio Cascini, avvocato, ha lasciato il suo paese d’origine, Castelsaraceno, per trasferirsi a Torino per motivi di lavoro. È autore di diverse sillogi poetiche. Ha ricevuto vari riconoscimenti in Premi e Concorsi culturali, anche in vernacolo, linguaggio che di solito l’autore utilizza nella sua versificazione. Opere: “ U’ pruf’ssore” (2009); “Ereva curaggio” (2010); “Mangiaparole” (2012); “Ti racconterò. Filastrocche per una crescita felice” (2023). U prufssore, Amedeo Megale, un grande docente, insieme alla signorina Angelina che avevo io, il prof. Leandro, Senatro, la Signora Giuseppa, la Signora Corrado, la signora Lardo, don Gaetano Pittella. Fino a Teresa, Ida e tutti gli altri. Albino Pierro. ‘A terra d’u ricorde S’i campéne di Paske su’ paròue di Criste ca hé fatte nghiùre ‘a morte, mò sta parlèta frisca di paìse jèttete u bbànne e dìcete: “Vinèse a qué, v’àgghie grapute i porte.”
Questo senso della poesia lo ritroviamo in Valerio: Fammila na puhisia e ch’ t’ costa?/ Parole mbastate cu parole a bella posta./ Ca nu sbendano a l’aria pi fa sputa,/ ch’arrivano d’rett’addun’ so’binut’. Fare poesia rimanda al “poiein” originario, alla creazione divina. Ogni poeta, come diceva Turoldo è profeta. L’homo faber umanistico è colui che fa arte. Fare poesia è impastare: rimanda all’evangelico lievito del Verbum. SALVATORE MONETTI Editore-scrittore- fotografo (sue le foto che accompagnano il testo). Salvatore Monetti è nato nel 1960. È un Uomo del Sud. Vive nel Sud dell’Italia, in provincia di Salerno. Ha iniziato a scrivere quando gli amici, i confratelli, i teologi, le persone a lui care, lo hanno coscientemente circondato con una terra di nessuno fatta di silenzio. Essa gli ha consentito di pensare, studiare, scrivere, lavorare in pace e di dialogare con tanti, sicché spera di continuare a godere di un tale trattamento, senza dover perdere il poco tempo che gli resta a rispondere al mordi e fuggi che in genere caratterizza le critiche e i sorrisi dei maîtres à penser. Autore e editore: Parla se hai parole più forti del silenzio, o conserva il silenzio. (Euripide). Vox clamatis in daeserto.

GIANNI BERGAMIN PITTORE ha trasferito su tela ………………, le emozioni della LU C A N IA! Nato ad Adria (Ro) nel 1958 Vive e lavora a Torino. Ha esposto in varie rassegne artistiche. Attualmente è artista nel Museo a cielo aperto di Camo (CN). Fa parte della collezione della biblioteca civica “A. Arduino” di Moncalieri (To) L’artista, amico di Valerio da tanti anni, ha preso spunto dalla civiltà contadina di Carlo Levi. “Io sono veneto, ma ho avuto molte relazioni in Lucania”. Ci accomuna la “Terra”. I Veneti erano i terroni del Nord. Levi: “Nel mondo dei contadini non si entra se non con una chiave di magia”. Sempre nuova è l’alba di Rocco Scotellaro. Non gridatemi più dentro, non soffiatemi in cuore i vostri fiati caldi, contadini. Beviamoci insieme una tazza colma di vino! che all’ilare tempo della sera s’acquieti il nostro vento disperato. UNICITA’ DELLA LUCANIA “L’unicità della Lucania: un approccio fotografico e poetico”. Come la precedente “Lucanità Saracena”, questa silloge ci offre un condensato di forti momenti emotivi, che si intrecciano in immagini che colgono attimi inattuali, ma eterni, intensi versi in vernacolo, che sgorgano dalla sublime penna di Valerio e in italiano, locus in cui il Preside riporta ai nostri giorni i vivi sentimenti che ci legano a questa terra ancestrale, la Lucania. Come sottolinea il Presidente Carmine Cicala: «Gli autori hanno il merito di identificare il territorio col suo linguaggio, alternando, non a caso, italiano e vernacolo… una identità che può essere espressa sulla base del patrimonio culturale che come istituzioni, siamo tenuti a custodire e a valorizzare». Il percorso della Lucanità è stato scandito, anche nell’impaginazione del testo, in quattro momenti di Lucanità: Lucanità in formazione, Lucanità intimista, Lucanità levigata e Lucanità radicale. Ferdinand De Saussure: La parola è sempre un’esecuzione linguistica individuale: è un effettivo proferimento di un insieme di fonemi che costituisce una parola. La langue, invece, non è mai individuale, ma è della collettività, è sociale, è astratta. Solo le parole sono dotate di significato, ma lo assumono solo nel contesto di una langue. Fonema e fenomeno hanno molto in comune. Luce e suono sono i due pilastri del reale. Così la fotografia si intreccia con il linguaggio. Photos e Phonos sono legati come lampo e suono. La langue, cioè, è espressione di ciò che Gustav Jung definiva l’Inconscio collettivo, coi suoi archetipi. L’inconscio collettivo, secondo Jung, rappresenta un
contenitore psichico universale, vale a dire quella parte dell’inconscio umano che è comune a quello di tutti gli altri esseri umani. Esso contiene gli archetipi, cioè le forme o i simboli che si manifestano in tutti i popoli di tutte le culture. Ai primi tramonti le parole sono pietre. Nella quotidianità assolata i cuori sono pietra. Il profeta Ezechiele annunzia: “Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne”. La poesia è in filo diretto col cuore, oltre che con la mente. Il cuore è il luogo del pascoliano fanciullino. La poesia diviene luogo dell’infanzia. Infanzia deriva da infans, che significa muto, che non può parlare. Ha un significato negativo: cioè, ciò che non si può dire intorno all’essere e si può esprimere solo in altri termini, artistici. L’arte, la poesia è dimora entis (Heidegger). Aletheia, la verità è ciò che si svela nell’intuizione. C’è un’intuizione nella poesia che si chiama ispirazione. I cugini Cascini ci riportano sempre in un tuffo nella loro infanzia, nella Basilicata degli anni Cinquanta. Ogni poeta reca in sé invariabilmente quello che Giovanni Pascoli chiamava il “fanciullino”. È il fanciullino, l’Es di Freud, che parla nella poesia, nell’arte, col suo linguaggio speciale, unico. La tipicità della Lucania si ravvisa soprattutto nelle tradizioni popolari, nelle tracce indelebili dei costumi, della religiosità, ma in maniera sublime e raffinata nel linguaggio, quel linguaggio ricco di cultura orale, che oggi purtroppo si sta man mano perdendo. Ogni paese ha un dialetto diverso, tradizioni diverse. Che ricchezza! Nei paesi del Nord, ove tutto è omologato, non esiste più il dialetto, lo parlano solo gli anziani, che noia! Che tristezza! E poi ogni paese era un teatro a cielo aperto, come la Napoli dei De Filippo e di Totò. C’erano personaggi unici, speciali, anche se analfabeti, genuini, che solo nel dialetto potevano esprimere tutta una ricchezza di espressioni, di risus festaiolo collettivo. Ricordiamo il “De Risu” di Aristotele, cui Eco fa eco in “Il nome della rosa”. Vico designa con l’espressione logica poetica il modo con cui gli uomini dell’età eroica interpretarono il mondo, perché la loro conoscenza (logica) non fu razionale, compiuta cioè con l’intelletto, bensì fantastica perché attuata con l’immaginazione (poetica). Dice Enea Biumi: La terra in cui si nasce è come una madre. Ce lo insegna il Foscolo in quel prezioso sonetto che inizia con “né più mai toccherò le sacre sponde”. Ed oltre ad essere madre è anche sacra. Questi due termini di maternità e sacralità ben si addicono al volume “l’unicità della Lucania: un approccio fotografico e poetico” Heidegger: La terra è il luogo da cui ha origine l’esistenza umana, la materia nella quale siamo radicati e che spesso ci sfugge perché distratti dai problemi quotidiani. La terra è la radice e la fondazione, mentre il mondo è il contesto e il luogo dell’esistenza umana. Come se fosse possibile, all’Alba Lucana non annunciare il nuovo giorno. È come “Sempre nuova è l’alba” di Rocco Scotellaro. In Lucanità serafica: Svegliarsi senza chiedersi … del dì transumante. C’è il ricordo della transumanza: il tempo ultra-essente, trascendente per eccellenza. La Basilicata è una regione ancestrale e sconosciuta, che affascinò Levi, antropologi, come De Martino, scrittori, poeti e registi, da Pasolini a Gibson, viaggiatori di ogni tempo. Come ha sottolineato Monetti: “è stato un susseguirsi di emozioni, un intensificarsi di rapporti umani, affettivi e di studio”. I poeti hanno evidenziato che questo è stato un sogno, ma soprattutto un omaggio alla loro terra, con le sue tradizioni popolari, i riti arborei, il dialetto, le espressioni linguistiche e fotografiche.
Il “familismo amorale” di Edward Banfield non rende merito dell’immensa ricchezza spirituale legata al valore della famiglia nella nostra Lucania. In tempi in cui si considerava il nostro mondo arretrato, dovuto anche alla visione leviana (“Cristo si è fermato ad Eboli”), qui si sperimentava già la famiglia “liquida”, come la società liquida baumaniana, una famiglia allargata, che inglobava vecchi e giovani, cugini, parenti. La famiglia è tutto. Eppure, Levi è voluto tornare ad Aliano. Come mai? A Potenza ancora so usa l’espressione “mi fra”, per indicare i parenti. Basti ricordare “Il mito della Lucania sconosciuta” di Tanino Fierro; Giovanni Caserta, in “Viaggiatori stranieri in terra di Basilicata” (Strutt, Lear, Du Camp, Lenormand) scrive: «è noto che non pochi viaggiatori, prima di addentrarsi nelle terre pericolose della Lucania e della Basilicata, usavano fare testamento… si fornivano di lettere di raccomandazione, con cui si presentavano a personaggi e autorità delle terre visitate, quale forma di accreditamento. Del resto, essendo quelle terre prive, come si direbbe oggi, di strutture ricettive, un viaggiatore, per lo più, faceva affidamento sulla ospitalità, che diventava così una necessità ed un dovere. Di qui la tradizione e forse anche il mito, di una ospitalità lucana, e meridionale in genere, che si faceva risalire la mondo greco… si parlava di sacralità dell’ospite». L’hospes è un termina ambivalente: è nemico e amico, è ospite e il cospiratore. Vorrei ricordare a proposito anche “La Basilicata di Luchino Visconti” di Teresa Megale. L’unicità della Lucania è una poetica “Basilicata coast tou coast” come quella di Papaleo.

  Vincenzo Capodiferro






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