Contravvenendo all’estetica crociana per cui l’autore si dissolve
nell’opera d’arte, noi vogliamo valorizzare le persone che stanno dietro
l’arte. L’arte è fatta di mani e piedi non è qualcosa di disincantato e
disincarnato.
PROSPERO ANTONIO CASCINI
Prospero Antonio
Cascini, dirigente scolastico in pensione da settembre 2016, dopo sessant’anni
dalla sua primina (1956), laureato in psicologia, inizia la sua carriera come
preside a Oppido Mamertina (RC), successivamente in Basilicata matura
esperienze di direzione in vari ordini di scuole. La primina del 1956, anno
della nevicata straordinaria. Tutto iniziò tra botole, scale, bauli zollette di
zucchero come viatico e tanto affetto. Si rammenta l’amore che tutto accoglie,
abbinato alla dolcezza dello zucchero e al sacramentum. Operatore ed animatore
culturale, ha organizzato varie iniziative, tra cui “La giornata del trekking”,
le “Saraceniadi”, “Il concerto di Natale”. Tra l’altro in collaborazione con la
Scuola Media “Ciro Fontana”, ha curato la mostra e l’annesso opuscolo su
“Giovanni Iacovino. Tra pittura e fotografia”, ed. della Cometa, Roma 1996. Ha
pubblicato con Monetti, di Battipaglia, “Il Girotondo. Tra primina e buona
scuola in Basilicata”; “Lucanità saracena tra poesia e fotografia” nel 2022. Ha
ricevuto vari riconoscimenti in Premi e Concorsi culturali.
IL PRESIDE PIU’
GIOVANE D’ITALIA.
Oggi è Maria Luisa
D’Onofrio, campana, di trent’anni. Allora eri tu, ma io intendevo che sei
giovane nell’anima. Quant’è bella la giovinezza… Lorenzo. Ada Negri. Mia
giovinezza. Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo all’essere. Sei tu, ma
un’altra sei: senza fronda nè fior, senza il lucente riso che avevi al tempo
che non torna, senza quel canto. Un’altra sei, più bella.
VALERIO CASCINI
Valerio Cascini,
avvocato, ha lasciato il suo paese d’origine, Castelsaraceno, per trasferirsi a
Torino per motivi di lavoro. È autore di diverse sillogi poetiche. Ha ricevuto
vari riconoscimenti in Premi e Concorsi culturali, anche in vernacolo, linguaggio
che di solito l’autore utilizza nella sua versificazione. Opere: “ U’
pruf’ssore” (2009); “Ereva curaggio” (2010); “Mangiaparole” (2012); “Ti
racconterò. Filastrocche per una crescita felice” (2023). U prufssore, Amedeo
Megale, un grande docente, insieme alla signorina Angelina che avevo io, il
prof. Leandro, Senatro, la Signora Giuseppa, la Signora Corrado, la signora
Lardo, don Gaetano Pittella. Fino a Teresa, Ida e tutti gli altri. Albino
Pierro. ‘A terra d’u ricorde S’i campéne di Paske su’ paròue di Criste ca hé
fatte nghiùre ‘a morte, mò sta parlèta frisca di paìse jèttete u bbànne e
dìcete: “Vinèse a qué, v’àgghie grapute i porte.”
Questo senso della poesia lo ritroviamo in Valerio: Fammila na puhisia e ch’ t’
costa?/ Parole mbastate cu parole a bella posta./ Ca nu sbendano a l’aria pi fa
sputa,/ ch’arrivano d’rett’addun’ so’binut’. Fare poesia rimanda al “poiein”
originario, alla creazione divina. Ogni poeta, come diceva Turoldo è profeta.
L’homo faber umanistico è colui che fa arte. Fare poesia è impastare: rimanda
all’evangelico lievito del Verbum. SALVATORE MONETTI Editore-scrittore-
fotografo (sue le foto che accompagnano il testo). Salvatore Monetti è nato nel
1960. È un Uomo del Sud. Vive nel Sud dell’Italia, in provincia di Salerno. Ha
iniziato a scrivere quando gli amici, i confratelli, i teologi, le persone a
lui care, lo hanno coscientemente circondato con una terra di nessuno fatta di
silenzio. Essa gli ha consentito di pensare, studiare, scrivere, lavorare in
pace e di dialogare con tanti, sicché spera di continuare a godere di un tale
trattamento, senza dover perdere il poco tempo che gli resta a rispondere al
mordi e fuggi che in genere caratterizza le critiche e i sorrisi dei maîtres à
penser. Autore e editore: Parla se hai parole più forti del silenzio, o
conserva il silenzio. (Euripide). Vox clamatis in daeserto.
GIANNI BERGAMIN
PITTORE ha trasferito su tela ………………, le emozioni della LU C A N IA! Nato
ad Adria (Ro) nel 1958 Vive e lavora a Torino. Ha esposto in varie rassegne
artistiche. Attualmente è artista nel Museo a cielo aperto di Camo (CN). Fa
parte della collezione della biblioteca civica “A. Arduino” di Moncalieri (To)
L’artista, amico di Valerio da tanti anni, ha preso spunto dalla civiltà
contadina di Carlo Levi. “Io sono veneto, ma ho avuto molte relazioni in
Lucania”. Ci accomuna la “Terra”. I Veneti erano i terroni del Nord. Levi: “Nel
mondo dei contadini non si entra se non con una chiave di magia”. Sempre nuova
è l’alba di Rocco Scotellaro. Non gridatemi più dentro, non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini. Beviamoci insieme una tazza colma di vino! che
all’ilare tempo della sera s’acquieti il nostro vento disperato. UNICITA’ DELLA
LUCANIA “L’unicità della Lucania: un approccio fotografico e poetico”. Come la
precedente “Lucanità Saracena”, questa silloge ci offre un condensato di forti
momenti emotivi, che si intrecciano in immagini che colgono attimi inattuali,
ma eterni, intensi versi in vernacolo, che sgorgano dalla sublime penna di
Valerio e in italiano, locus in cui il Preside riporta ai nostri giorni i vivi
sentimenti che ci legano a questa terra ancestrale, la Lucania. Come sottolinea
il Presidente Carmine Cicala: «Gli autori hanno il merito di identificare il
territorio col suo linguaggio, alternando, non a caso, italiano e vernacolo…
una identità che può essere espressa sulla base del patrimonio culturale che
come istituzioni, siamo tenuti a custodire e a valorizzare». Il percorso della
Lucanità è stato scandito, anche nell’impaginazione del testo, in quattro
momenti di Lucanità: Lucanità in formazione, Lucanità intimista, Lucanità
levigata e Lucanità radicale. Ferdinand De Saussure: La parola è sempre
un’esecuzione linguistica individuale: è un effettivo proferimento di un
insieme di fonemi che costituisce una parola. La langue, invece, non è mai
individuale, ma è della collettività, è sociale, è astratta. Solo le parole
sono dotate di significato, ma lo assumono solo nel contesto di una langue.
Fonema e fenomeno hanno molto in comune. Luce e suono sono i due pilastri del
reale. Così la fotografia si intreccia con il linguaggio. Photos e Phonos sono
legati come lampo e suono. La langue, cioè, è espressione di ciò che Gustav
Jung definiva l’Inconscio collettivo, coi suoi archetipi. L’inconscio
collettivo, secondo Jung, rappresenta un
contenitore psichico universale, vale a dire quella parte dell’inconscio umano
che è comune a quello di tutti gli altri esseri umani. Esso contiene gli
archetipi, cioè le forme o i simboli che si manifestano in tutti i popoli di
tutte le culture. Ai primi tramonti le parole sono pietre. Nella quotidianità
assolata i cuori sono pietra. Il profeta Ezechiele annunzia: “Vi darò un cuore
nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il
cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne”. La poesia è in filo diretto col
cuore, oltre che con la mente. Il cuore è il luogo del pascoliano fanciullino.
La poesia diviene luogo dell’infanzia. Infanzia deriva da infans, che significa
muto, che non può parlare. Ha un significato negativo: cioè, ciò che non si può
dire intorno all’essere e si può esprimere solo in altri termini, artistici.
L’arte, la poesia è dimora entis (Heidegger). Aletheia, la verità è ciò che si
svela nell’intuizione. C’è un’intuizione nella poesia che si chiama
ispirazione. I cugini Cascini ci riportano sempre in un tuffo nella loro
infanzia, nella Basilicata degli anni Cinquanta. Ogni poeta reca in sé
invariabilmente quello che Giovanni Pascoli chiamava il “fanciullino”. È il
fanciullino, l’Es di Freud, che parla nella poesia, nell’arte, col suo
linguaggio speciale, unico. La tipicità della Lucania si ravvisa soprattutto
nelle tradizioni popolari, nelle tracce indelebili dei costumi, della
religiosità, ma in maniera sublime e raffinata nel linguaggio, quel linguaggio
ricco di cultura orale, che oggi purtroppo si sta man mano perdendo. Ogni paese
ha un dialetto diverso, tradizioni diverse. Che ricchezza! Nei paesi del Nord,
ove tutto è omologato, non esiste più il dialetto, lo parlano solo gli anziani,
che noia! Che tristezza! E poi ogni paese era un teatro a cielo aperto, come la
Napoli dei De Filippo e di Totò. C’erano personaggi unici, speciali, anche se
analfabeti, genuini, che solo nel dialetto potevano esprimere tutta una
ricchezza di espressioni, di risus festaiolo collettivo. Ricordiamo il “De
Risu” di Aristotele, cui Eco fa eco in “Il nome della rosa”. Vico designa con
l’espressione logica poetica il modo con cui gli uomini dell’età eroica
interpretarono il mondo, perché la loro conoscenza (logica) non fu razionale,
compiuta cioè con l’intelletto, bensì fantastica perché attuata con
l’immaginazione (poetica). Dice Enea Biumi: La terra in cui si nasce è come una
madre. Ce lo insegna il Foscolo in quel prezioso sonetto che inizia con “né più
mai toccherò le sacre sponde”. Ed oltre ad essere madre è anche sacra. Questi
due termini di maternità e sacralità ben si addicono al volume “l’unicità della
Lucania: un approccio fotografico e poetico” Heidegger: La terra è il luogo da
cui ha origine l’esistenza umana, la materia nella quale siamo radicati e che
spesso ci sfugge perché distratti dai problemi quotidiani. La terra è la radice
e la fondazione, mentre il mondo è il contesto e il luogo dell’esistenza umana.
Come se fosse possibile, all’Alba Lucana non annunciare il nuovo giorno. È come
“Sempre nuova è l’alba” di Rocco Scotellaro. In Lucanità serafica: Svegliarsi
senza chiedersi … del dì transumante. C’è il ricordo della transumanza: il
tempo ultra-essente, trascendente per eccellenza. La Basilicata è una regione
ancestrale e sconosciuta, che affascinò Levi, antropologi, come De Martino,
scrittori, poeti e registi, da Pasolini a Gibson, viaggiatori di ogni tempo.
Come ha sottolineato Monetti: “è stato un susseguirsi di emozioni, un
intensificarsi di rapporti umani, affettivi e di studio”. I poeti hanno
evidenziato che questo è stato un sogno, ma soprattutto un omaggio alla loro
terra, con le sue tradizioni popolari, i riti arborei, il dialetto, le
espressioni linguistiche e fotografiche.
Il “familismo amorale” di Edward Banfield non rende merito dell’immensa
ricchezza spirituale legata al valore della famiglia nella nostra Lucania. In
tempi in cui si considerava il nostro mondo arretrato, dovuto anche alla
visione leviana (“Cristo si è fermato ad Eboli”), qui si sperimentava già la
famiglia “liquida”, come la società liquida baumaniana, una famiglia allargata,
che inglobava vecchi e giovani, cugini, parenti. La famiglia è tutto. Eppure,
Levi è voluto tornare ad Aliano. Come mai? A Potenza ancora so usa
l’espressione “mi fra”, per indicare i parenti. Basti ricordare “Il mito della
Lucania sconosciuta” di Tanino Fierro; Giovanni Caserta, in “Viaggiatori
stranieri in terra di Basilicata” (Strutt, Lear, Du Camp, Lenormand) scrive: «è
noto che non pochi viaggiatori, prima di addentrarsi nelle terre pericolose
della Lucania e della Basilicata, usavano fare testamento… si fornivano di
lettere di raccomandazione, con cui si presentavano a personaggi e autorità
delle terre visitate, quale forma di accreditamento. Del resto, essendo quelle
terre prive, come si direbbe oggi, di strutture ricettive, un viaggiatore, per
lo più, faceva affidamento sulla ospitalità, che diventava così una necessità
ed un dovere. Di qui la tradizione e forse anche il mito, di una ospitalità
lucana, e meridionale in genere, che si faceva risalire la mondo greco… si
parlava di sacralità dell’ospite». L’hospes è un termina ambivalente: è nemico
e amico, è ospite e il cospiratore. Vorrei ricordare a proposito anche “La
Basilicata di Luchino Visconti” di Teresa Megale. L’unicità della Lucania è una
poetica “Basilicata coast tou coast” come quella di Papaleo.
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