Il percorso poetico di Umberto Belardinelli viaggia sui
binari di una sobrietà lessicale, elegante e sicura, che dona alla sua
scrittura un non so che di nobiltà virtuosa e appagante. Nell’ultima silloge da
lui proposta “L’albero del tempo” si legge una architettura ricca di
rimandi personali che sanno cogliere ciò che è essenziale non solo per se
stesso ma per l’uomo in generale. La sua poesia esce dall’io, pur esistente,
per incontrarsi con un noi/voi/loro, nel richiamo assolutamente gentile e
genuino della verità, attraverso alcune osservazioni, quasi una personale
confessione, di carattere filosofico.
La lirica iniziale, che dà il titolo della raccolta, sembra
un esergo e fa da simbolo dando il la alle pagine che si susseguono e
che trasportano il lettore a riflessioni per nulla scontate. Non c’è ridondanza
nei suoi versi ma semplicità (non semplicismo) che accoglie e aiuta, trasferendoci
al di là del semplice dato materico nella amplificazione dei dettagli, per
altro esistenti, divenendo ipso facto momento altamente spirituale e
spiritualizzante.
Non v’è dubbio che la poesia di Belardinelli è poesia
religiosa. In ossequio all’espressione dei Vangeli vedo questa silloge come una
fiaccola sotto il moggio (mi perdoni D’Annunzio se l’ho posticipato alle
scritture), ma una fiaccola che non deve nascondersi bensì illuminare nonché
valorizzare. Del resto, a ben leggere, tutta la sua produzione, anche quando
parla d’altro – di amore, di luoghi, di accadimenti – è una produzione
religiosa. Si veda l’altra raccolta poetica dedicata a Santa Faustina Kowalska
(Stella del mare). C’è in effetti in lui un cristianesimo integrale, di
sostanza, che è il contrario di integralismo concentrato solo su simboli
esteriori. Del resto è Belardinelli
stesso che ci rivela in una nota questa sua spiritualità quasi assoluta. “Molte
volte la fede mi ha aiutato a superare momenti difficili, la fede ha sempre
esercitato su di me il suo fascino misterioso e spesso mi ha condotto verso
lunghe ed inquiete riflessioni”
Il cristianesimo è la religione dell’antifrasi perché ha
fatto della suprema delle sconfitte, dell’ignominia della morte in croce,
quella riservata ai condannati senza scampo, il simbolo stesso della vittoria.
Vittoria sul tempo. Vittoria sulla morte. Anche il dolore allora diventa solo
un passaggio – spiacevole, drammatico passaggio – ma necessario. Tuttavia la
speranza non viene meno. Tra difficoltà, cadute, risalite, ecco di nuovo
avanzare il dialogo col tempo valorizzato dalla fede che si fa quasi visibile nel
sogno del domani.
E ritorniamo alla valorizzazione del tempo, spesso scritto
con l’iniziale maiuscola per darne rilievo e importanza come fosse un assoluto
(non certo Dio) di cui tener conto e pregio. Così il tempo nella mente
dell’uomo ha la facoltà di superare le barriere dell’hinc et nunc.
Diventa spirito. Si dilata nell’ieri e prosegue nel domani per riapparire
nell’oggi. È impercettibile, intoccabile, sfuggente. Appunto come quell’albero
che dà il titolo alla raccolta e al quale il poeta parla, si può dire senza
esagerare, dall’inizio alla fine. Sempre presente, sempre invocante, sempre
autorevolmente giudicante, sia quando si parla d’amore, sia quando si ricordano
siti, situazioni, dubbi, speranze, sogni.
L’amore poi è il primo elemento che il poeta mette in
evidenza, amore sentimentale per l’altra metà, amore affettivo verso i propri
figli, amore spirituale verso Dio. L’amore diventa così un canto rivelando
tutto lo stupore per la fragile bellezza della vita, fragile perché il tempo
vola e spesso è un ricordo o un’attesa prolungata che si protende nel futuro. “Vivrai
il mio tempo spento ed altri accesi / io mi dissolverò nel tuo ricordo / tu
incontrerai altre stagioni / corre nelle parole e nel silenzio / la dissonanza
delle nostre ore”
I suoi versi, ovvero la sua poiesi, allora, sembrano
danzare in una elaborazione creativa, propositiva, esprimendo una
consapevolezza equilibrata e razionale di un pensiero alto e maturo, atto al
coinvolgimento spirituale del lettore, come un anacoreta che nel silenzio e
nella solitudine della propria cella dialoga paradossalmente col mondo intero. Infatti
i valori intrinsechi al pensiero di Belardinelli appartengono ad aspetti
esistenziali che ci dettano le ore del tempo. Le sue poesie colmano l’animo del
lettore per gli aspetti che in esse si rivelano verità e sembrano quasi un
miracolo venuto sulla terra e in un mondo che ai miracoli più non crede. “Temo
che il vento dell’inganno / trascini i suoi alfabeti frantumati / sulle pareti
di un sinedrio / eclissato dal tempo”.
È necessaria allora
la presenza del poeta per ridare dignità all’esistenza. Una dignità che Belardinelli
va ad esaminare in un’indagine introspettiva del proprio stato d’animo in
rapporto al variare del tempo, al suo andare nel tempo, ai suoi affetti nel
tempo – persone a lui vicine, care, luoghi visitati ed amati, momenti di
serenità e di dolore, di presunta spensieratezza o di amara costatazione. “Non
vi ho dimenticati luoghi del tempo / non vi ho lasciati mai senza memoria / e
vivo e respiro dentro gli orizzonti / cercando di seguire la vostra traccia”
E alla fine ancora il tempo. Riordinato, scandito, evocato
come un mantra. Il tutto introiettato in momenti di religioso pensamento. Il
tempo dell’ultimo respiro. Atteso.
Temuto. Profetizzato. Tanto è vero che “Un giorno ci ritroveremo
albero amico / nella stagione in cui la fiamma spegne / imprigionati nella
cenere del dopo”.
Enea Biumi