Andrea Rompianesi
Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
domenica 5 maggio 2024
Tommaso Giartosio “Autobiogrammatica” (Edizioni Minimum Fax, 2024)
venerdì 3 maggio 2024
Enea Biumi, Visighéri da vùus (Confusioni di voci), Genesi Editrice, Torino, 2024
Dalla Prefazione di "Visighéri da vùus" (Confusione di voci) di Sandro Gros-Pietro
Forse, potrebbe essere rivelativo risalire a Charles Bukowski e alla sua sempre citata formula essenziale da seguire non solo per fare poesia, ma anche per capire qualsiasi significato rivelatore della vita e dei suoi enigmi, “La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità”. Tuttavia, è anche vero che la semplicità è complessa, e non è una contraddizione, ma è un ossimoro, nel senso che non si può avere una semplicità senza avere la totalità, perché la semplicità parziale sarebbe un tromp l’oeil, sarebbe una sorta di inganno da madonnaro, cioè una falsificazione. Il semplice deve anche essere tuttoquelchecè. Per capire la semplicità delle cose, bisogna avere il coraggio di affrontare la confusione. Bisogna tuffarsi dentro, come il delfino nel vasto mare: nuotare con gioia nell’elemento che totalmente ci possiede.
La confusione delle voci è da sempre considerata come La Voce per antonomasia, perché già per i latini valeva il proverbio vox populi, vox dei. La confusione delle voci è per definizione il concetto popolare di tuttoquelchecè, che già diviene una contaminazione escatologica con l’idea semplice, quasi alla mano, dell’universalità. Visighéri da vùus è l’espressione in dialetto varesotto in tutto corrispondente a vucciria in dialetto palermitano, cioè la confusione, che poi altro non è che uno dei due più importanti mercati della capitale siciliana, insieme a Ballarò. Sono mercati piazzati in strade cittadine del centro storico, strette e contorte quasi come vicoli, dove si avanza in uno struscio continuativo, tra bancarelle, rivenditori urlanti, richiami di madri, pianti di figli, risate e schiamazzi, osservazioni petulanti o spiritose, motorette spernacchianti, carrettini ingombranti, tutt’intorno a una pandemia mercatistica composta da tuttoquelchecè, cioè una confusione incredibile di articoli da mangiare per pranzo, per cena, per il passeggio in strada, insieme a materiali del vivere quotidiano, per la casa, per i viaggi, per il diporto, che rappresentano la cosa più semplice di questo mondo, perché ogni roba si capisce al volo, intuitivamente: la grande confusione parla senza inganni e in totale semplicità.
L’operazione letteraria di Enea Biumi rappresenta per lo meno una Trimurti di valori, perché tocca le tre grandi aree della cultura. In primo luogo, il linguaggio, nelle sue due splendide versioni proponibili da un bravo poeta italiano: cioè, il dialetto e la lingua nazionale. Va detto che ogni regione italiana possiede questa doppia profondità di visione interpretativa e descrittiva della realtà: la visione dialettale, tutta basata sull’intelligenza emotiva, musicale e spaziale, e la visione letteraria, elaborata, invece, nella dimensione intellettiva logica e matematica, come è illustrato da Howard Gardner e dai suoi seguaci in psicologia, che oggi vanno per la maggiore. Precisamente, Enea Biumi mette a confronto le due versioni poetiche. Se vogliamo essere pignoli, non si tratta di traduzioni, ma appunto di versioni, cioè due modi e due mondi diversi di espressione poetica, perché il dialetto punta tutto sull’emotività, sulla musicalità e sulla spazialità dell’espressione, mentre la lingua nazionale punta tutto sulla ricostruzione astratta e logica dell’espressione verbale, in modo scientifico e matematico.
In secondo luogo, l’altra divinità della Trimurti rappresentata da Biumi è il senso del tempo, questo Dio umano troppo umano, congegnato nelle famose Tre Età, dipinte dai maggiori pittori del Rinascimento e del Barocco, ma anche dopo, fino ad arrivare a tutto il Novecento, tanto per citare Gustav Klimt e i suoi contemporanei e per arrivare fino a Botero. Muovendosi tra Est ed Ovest: il Tempo è l’enigma più affascinante rappresentativo della vita e della morte che è stato totalmente inventato dall’uomo, ma che non esiste nel progetto creativo dell’universo, quest’ultimo è misurabile solo per spazio e per energia, ma non certo per il tempo, a meno che si voglia concepire l’eternità come una grandezza umanamente definibile. Invece, ecco che ogni dimensione umana, descritta o, meglio, interpretata da Biumi passa attraverso lo scorrere delle stagioni di Vivaldi – quest’ultimo anche apertamente occhieggiato nei versi del Poeta – l’adolescenza, la gioventù e l’anzianità sempre si riconoscono negli intrecci poetici bene calibrati e fanno capolino nelle vicende umane.
In terzo luogo, l’ultima divinità della Trimurti culturale è l’erranza, consistente sia nel compiere l’itinerario odisseico sia anche nel commettere l’errore, lo sviamento, la dispersione e la perdita. Biumi ha in sé qualcosa di Georges Moustaki. C’è in lui un concetto di meticciato, qualche elemento dello straniero, che si abbevera ad ogni fonte, ma lo fa con molta eleganza, perché cita il Capitano d’Alto Mare Pierre Loti, divenuto accademico di Francia per i suoi romanzi d’avventura. Idealmente, il Poeta sale a bordo dell’Orient Express, in felice intesa letteraria con Agatha Christie e compie il viaggio con destinazione Istanbul, per poi proiettarsi al di fuori della citazione resa in omaggio alla regina del racconto in giallo, ovviamente di illustrissima fattura, e continuare l’avventura all’interno di un’esperienza autobiografica fino nell’isola per metà greca e per meta turca di Cipro, nell’unica città al mondo, Nicosia, ancora divisa in due stati contrapposti che si osservano in cagnesco, come un tempo fu di Berlino Est ed Ovest. Il segno dei tempi e delle ostilità guerresche, che costituiscono la pazzia del primo quarto del nuovo secolo, aggalla apertamente nei testi poetici, che divengono anche una documentazione storica.
Visigéhri da vùus è un’opera della maturità più splendente di ingegno e di cultura di Enea Biumi, che mette a segno una poesia composta con le intelligenze multiple esplorate da Howard Gardner, in un ponte d’arcobaleno che sottende le aree della documentazione storica, dell’interpretazione emotiva e della descrizione spaziale, nella duplice dimensione di una parola che si osserva allo specchio, nella sua dimensione popolare e in quella del rigore letterario, esempio di una complessità ideativa, che non è mai complicanza, ma, al contrario, è il valore coeso della semplicità.
giovedì 2 maggio 2024
PRESENTATA a POTENZA IL 30 APRILE L’UNICITÀ DELLA LUCANIA…. Di PROSPERO E VALERIO CASCINI
PRESENTATA a LAGONEGRO IL 29 APRILE L’UNICITÀ DELLA LUCANIA…. Di PROSPERO E VALERIO CASCINI
Presentata a Lagonegro il 29 Aprile -presso il liceo scientifico- la silloge L’UNICITA’ DELLA LUCANIA: un approccio fotografico e poetico dei cugini CASCINI.
Il dirigente
emerito ALDO CALZA, che doveva coordinare i lavori, impossibilitato ad essere
presente, ha fatto pervenire una nota letta da CASCINI nella quale evidenzia Un
ricordo particolare: il primo giorno di scuola nel lontano 1960, io tornavo da
docente in quella scuola dove avevo fatto le medie e PROSPERO lasciava
CASTELSARACECENO per iniziare gli studi più complessi. UNA POESIA PIACE O NON
PIACE, TERZIUM NON DATUR! E le poesie di Valerio e PROSPERO MI PIACCIONO. GLI
AUTORI DANNO VOCE a tutto quello che vive accanto a loro, ABSO, MILLE LIRE, LUCANITÀ
SERAFICA……….. Il SINDACO FALABELLA, nel portare il saluto dell’amministrazione
comunale, ha espresso totale identificazione con la poesia Lagonegro .. nostra
città studi come espressione di NOSTALGIA e DI IMPEGNO SCOLASTICO. Il dirigente
scolastico ROBERTO SANTARSIERE ha ringraziato PROSPERO per la disponibilità
offerta in questa occasione di cultura poetica partecipata. IDA IANNELLA,
presidente dell’associazione culturale PLANULA di Castelsaraceno, ha portato il
saluto personale e degli iscritti, ricordando i comuni scolastici trascorsi con
Prospero e dichiarando, ancora una volta, la disponibilità a creare nel
territorio iniziative culturali che parlino di LUCANITÀ. L’ editore-scrittore
Monetti ha ricordato il percorso di questo testo poetico e fotografico
dichiarando che ormai l’UNICITÀ DELLA LUCANIA….. ha coinvolto tanti lucani
nelle nostre città del Nord ed anche associazioni di LUCANI nel Mondo. Prospero
Cascini, nel trarre le conclusioni ha ribadito, ancora una volta, la scelta di
portare l’opera nella scuola, perché la poesia LIBERA LA MENTE E IL CUORE. Ha
ringraziato tutti gli intervenuti, il prof ROBERTO BRIGANTE per il contributo
organizzativo offerto, gli alunni che hanno letto le poesie in lingua e
Antonietta Pugliese che ha declamato LE POESIE in vernacolo.
mercoledì 24 aprile 2024
Michele Prenna, Le parole cercate, Macchione editore, Varese, 2005
È con vero plaisir che ho letto questa silloge di poesie regalatami dall’amico Michele. Veri e propri ritratti di vita cittadina descritti in un flash fotografico di parole e sentimenti. Devo dare merito a Prenna di aver saputo coniugare ritratti di persone e di luoghi in modo davvero autentico. In fondo lo stesso titolo del libro offre una prospettiva di lettura e indirizza il lettore sul senso stesso delle parole. Attenzione: parole cercate, non ricercate. Perché è proprio la semplicità, la naturalezza espressiva, la spontaneità che traluce dai suoi versi. Sfogliare queste pagine è immergersi in un panorama filmico che zooma attorno a sé e che coinvolge sentimenti e figure, così che ne cogli tutta la bellezza intrinseca alla Natura stessa. Si registra anche l'amore che il poeta possiede per le foto perché le pagine del libro sono altrettanti momenti o ritratti fotografici (riassunti e riprodotti in parole) di quello che Michele Prenna vede e sente, in maniera autentica e senza fronzoli.
Davvero
un bel regalo questo libro di “parole” che diventano immagini accattivanti e
carezzevoli.
Ho conosciuto Michele Prenna nel lontano 2010 (o giù di lì).
In un pomeriggio di luglio (se non ricordo male) abbiamo presentato i nostri
lavori a un piccolo gruppo di persone interessate alla poesia (ma quando mai la
poesia raduna folle oceaniche?) Michele presentava me, io lui. Poi ci siamo
persi. Un po’ per il mio solipsismo, un po’ per distanze geografiche. Ma se il
marasma della vita ci ha condotto verso porti inaspettati e lontani, ora ci
siamo reincontrati e riavvicinati. Bene. Cercheremo di non disperderci ulteriormente,
ma, se dovesse succedere, inseguiamoci e ritroviamoci. Ovunque e nonostante
tutto. La poesia a questo ci conduce, sia che siano giornate di sole, di vento,
di nebbia o di pioggia.
Enea Biumi, 15 aprile 2024
Nel vasto panorama dei poeti varesini, un posto di rilievo lo occupa Michele Prenna. Con l’uscita del suo libro “Le parole cercate – chiaroscuri di sole, di luna, di cenere e di fuoco” (Macchione Editore, pagg. 103. costo 12 euro) Prenna tende ulteriormente ad elevarsi grazie ad una raccolta di ben 102 liriche, anche in versione squisitamente dialettale che evidenziano una sensibilità d’animo straordinaria. Il giovane poeta (classe 1946) residente a Varese, con un immaginario binocolo tratteggia con i suoi “canti", paesaggi, situazioni, stati d’animo più o meno sereni. Chiaroscuri, come detto nel “poetare”: par facile far versi ed il rimar banale di posseder se credi un estro originale. Il poetar davvero ti scava nel profondo fino a scoprir che in ogni tempo e luogo gioie e dolor, di nostre vite sale, muovon le menti e i cuori fa vibrare”. Sempre dall’ampia raccolta, tra rime con fior di campo, felicità, bagliori di luna, sbocciar della primavera, Prenna passeggia silenzioso: “Portici di città sono graditi al passeggiar curioso di vetrine, di novità pettegole su amici, lieti per giovinezza e per salute, fide compagne d’ogni amata impresa”. E che dire delle liriche in dialetto? La poesia “Danè” recita un verbo sacrosanto: “A spend danè di alter sa fa mia fadiga. Al san ben da gran temp tucc quii ca cuntan su, ca ‘l fan par ‘l to ben e inscì s’ingrassan tucc e ti te restet ciòd”.
Lamberto Ruffini, La Prealpina, 25 aprile 2008
L'unicità della Lucania, di Prospero e Valerio Cascini, a Lagonegro, Potenza e al Salone del Libro di Torino
Prima ci saranno due incontri in Basilicata: al Liceo scientifico di Lagonegro il 29 aprile e al Liceo musicale di Potenza il 30 aprile.
Al Liceo di Lagonegro i lavori saranno coordinati dal dirigente scolastico emerito Aldo Calza, già docente di latino alle medie di Prospero Cascini. Il Sindaco Salvatore Falabella porterà il suo saluto istituzionale. Interverranno: Ida Iannella presidente associazione culturale Planula di Castelsaraceno, il dirigente scolastico Roberto Santarsiere. Le conclusioni sono state affidate all'editore Monetti e all'autore della silloge Prospero Cascini. Gli alunni del Liceo declameranno le poesie in italiano, quelle in vernacolo saranno declamate da Antonietta Pugliese - Associazione culturale Planula.
lunedì 22 aprile 2024
Annitta Di Mineo, Del tempo disumano, Montabone Editore, Milano, 2023
Sandro Gros-Pietro, L'abbaglio del Comandante, Genesi Editrice, Torino, 2024
domenica 21 aprile 2024
Enea Biumi, La sumènza du la nòcc, Il seme della notte, Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero, 2014
Le semplici cose della vita nella
poesia del primo Biumi
Una poesia, quella del primo Enea Biumi (nom de plume di Giuliano Mangano), più precisamente la poesia di una raccolta risalente a qualche tempo fa, Il seme della notte (Scrittura creativa edizioni, 2014), che presenta in primo piano le semplici cose della vita; una vita povera, ma autentica: le monachine del focolare, le lucciole, “la gazzosa”, il paiolo per la polenta, “il cortile dove si giocava con la palla”, la canna della bicicletta, dove il bimbo veniva trasportato dal padre. La poesia si scarnifica, si riduce a una secca enumerazione, si fa oggettuale, fermandosi a un passo dal silenzio: (“il lampadario/ il tavolo/le sedie”).
Anche le
similitudini sono prese dalla vita di ogni giorno; il tempo è “come un panno di
bucato”.
Lo sfondo è
dato dall’universo familiare, dall’ambiente
paesano, dagli spettacoli naturali, che destano una meravigli attonita
davanti al sensibile; si tratta a volte anche di notturni di placida bellezza,
contemplati in solitudine, ma anche in una solitudine a due (p 15). Spettacoli
che la natura offre gratis, perché tutte le cose che “valgono” sono gratuite. Una
natura che ha qualcosa di sacro; e infatti l’abbattimento di un albero è
qualcosa di esecrabile non solo da un punto di vista eco logico; la condanna
però resta implicita, senza bisogno di alcun commento e perciò risulta più netta.
Già la prima
lirica è una traduzione libera dalle Bucoliche virgiliane e quindi ci
offre l’humus, la cornice da cui la sua poiesis muove. L’ambiente campagnolo si respira quasi nella
puzza “di letame”; perché la vera poesia interessa spesso tutti i sensi, non
solo la vista. E quest’odore di letame è l’equivalente olfattivo di un senso
terragno e corposo delle descrizioni, che il dialetto favorisce, come ben sanno
i lettori di Carlo Porta. Senza contare che il dialetto conserva anche capacità
allusive che la lingua della comunicazione ha cancellato. E perciò meritoria è
l’opera dei poeti che proprio per questo usano quella che una volta era la
lingua materna, così contribuendo anche a preservarne l’esistenza. Perché il
libro di Biumi è scritto in dialetto, con traduzione, se così si può dire, a fianco
Spesso si tratta di un quadretto nitido, che ha la purezza
di un idillio, con coda gnomica nell’explicit.
A volte la
breve opposizione non è incrinata da alcun sentimento. Si presenta in un presente
eterno, fissato in gesti quasi ieratici.
A volte il
quadretto è incrinato dalla nostalgia e
allora si ha l’uso dell’imperfetto, il tempo appunto della nostalgia, accompagnata
da un desiderio di pace, per una coscienza “sempre in guerra”.
Non manca l’amore nelle corde del poeta ed è visto come “qualcosa che vale”, simbolizzato “nei due occhi neri”, in un “angelo”. E infatti con una dichiarazione, anzi con una doppia dichiarazione d’ amore termina il libro.
Il futuro
appare a volte come un” “sentiero in mezzo a un bosco”, ma, sembra dirci Enea,
bisogna andare avanti. L’inverno diventa Il correlativo oggettivo o, la metafora della vecchiaia. La morte aspetta tutti e ciascuno, come in una
“gran piazza/ dove una mano sorteggia il tuo destino”. Allora sembra prevalere la
paura, il desiderio di fuga, ribadito in
martellanti anafore. Ma la paura non riguarda il Matto, il diverso, che il
poeta sente, simile in questo ad Hanno dei Buddenbrook, come amico, come
fraterno, e rappresenta forse la poesia, l’alterità.
Della fine l’io lirico ha una coscienza acutissima, dolorosa, che lo porta, in un’atmosfera da Sera del dì di festa, a chiudersi, ascoltando “i fuochi d’artificio dell’ultimo dell’anno e quasi prendere congedo anticipatamente dalle gioie effimere del vivere.
Fabio Dainotti
mercoledì 10 aprile 2024
Paolo Di Paolo “Romanzo senza umani” (Feltrinelli Editore, 2023)
Andrea Rompianesi
lunedì 8 aprile 2024
Salvatore Smedile “La volontà dell’ovest” (Book Editore, 2024)
Ci sono sonni
esposti ai mutamenti e veglie che intensificano lo sguardo. Oltre l’approccio
del dire c’è un ritmo cadenzato che naviga in versi brevi assunti a struttura
verticale, nella composta essenzialità dei rimedi. C’è un muoversi sul suolo
non distratto che identifica una meta fisica da raggiungere attraverso il
sentire della percezione. In questo caso la meta è Santiago di Compostela e il
poeta/viandante Salvatore Smedile che con il suo “La volontà dell’ovest” ci
accompagna attraverso le tappe di un procedere e, allo stesso tempo, riassumere
l’esperienza rivolta a Finisterre, là dove l’orizzonte del mare comincia e la
fatica della terra finisce. Certo “le ore cadranno dalle tasche/ piene di
memorie/ che non si potranno/ raccogliere con una mano”; l’incontro scandisce il
repertorio dei frammenti colti dal poeta nel caleidoscopio di figure, correnti,
discese, soste, passaggi...”a volte tutto fugge/ senza lasciare tracce;/ a
volte tutto rimane/ senza che si perda nulla”. L’autore sembra non voler
limitare il suo dire alla necessità di un esito univoco ma, come nella migliore
tradizione dello spirito del viaggio, in realtà il cammino stesso, osservante e
pensoso, è già risposta e significato. Qui però sembra che un sottile strato
d’inquietudine rivolga la sua attenzione alla presenza del timore; quello di
confondere la caducità degli episodi con la frequenza insorgente della
pulsione; la separazione implica sensibilità della cura, tremito operoso, dove
le questioni dell’anima hanno estensioni impreviste, diciture incompiute, voci
apprese che sono già echi. “Nelle orecchie una voce/ che cerca di svegliarmi/
da un oblio che dura/ da una vita” scrive il poeta “all’arrivo sarà/ più
comprensibile/ questa opposizione”, ma è solo un auspicio che non inganna poiché
l’arrivo è sempre e soltanto un nuovo inizio. Ad un certo punto, nel libro di
Smedile, “il mare è nell’aria”: “Lo dicono le pietre/ i piedi, le scarpe/ i
volti, i profumi/ i rumori”. L’elemento, la sua grandezza accoglie e sembra che
davvero, come ha espresso in un suo titolo Giuseppe Conte, non si possa finire
di scrivere sul mare. Non può mancare, comunque, l’ansia metafisica del “come
tornare con la mente/ dove siamo stati con il corpo?/ Dove eravamo quando
ancora/ non eravamo noi?”. Forse potremmo osare dire che eravamo negli occhi
dei figli, i doni lungo il cammino sacrale, distaccato ed unito ai sussulti
delle domande che nutrono la poesia. Ecco perché, scrive Salvatore Smedile, “E’
ora di andare/ di tornare da dove siamo/ partiti”, in un ciclo fertile che ci
fa pensanti in tumulto, anche quando “sembra impossibile/ essere stati il
cammino/ che non abbiamo deciso”.
Andrea Rompianesi
domenica 31 marzo 2024
Alessandro Assiri “Abitarmi stanca” (Puntoacapo Editrice, 2023)
Andrea Rompianesi
mercoledì 13 marzo 2024
Gianfranco Galante, Ti "racconto" perché, Circolo Scriptores, Varese, 2024
Si potrebbe definire lo scritto di
questo testo “Ti racconto perché” come un poema d’amore e sull’amore.
Infatti, a mezzo tra una serie di racconti, di poesie e di saggio, ci stanno
una riflessione importante ed un invito. La riflessione è appunto quella
riguardante l’amore in ogni sua forma e dimensione, l’invito riporta il lettore
ad un esame di coscienza su di sé e sul mondo che lo circonda.
Ora, i racconti si potrebbero
paragonare a degli exempla(1) che supportano considerazioni e
valutazioni dell’autore, mentre le poesie traducono in sintesi le più svariate
emozioni dovute a storie e accadimenti inerenti l’amore stesso.
Variegate sono le situazioni, ma una
sola è la soluzione. Essa si traduce nella consapevolezza che l’uomo è un
animale pensante, cosciente, dotato di una propria volontà e di un libero
arbitrio che lo distinguono e lo fanno unico al mondo. Per questo ontologicamente
si rende necessaria un’educazione all’altro, alla sua comprensione ed
accettazione, e per questo basta una parola semplice che tutto racchiuda:
amore. E non è la prima volta in cui Galante ci dà lezione, attraverso le sue
opere, di moralità, civiltà e buon costume. Attenzione: moralità e non
moralismo.
Si tratta allora di un trattato
sull’amore? Certamente, ma non in senso filosofico sebbene poetico. Come ebbe a
sottolineare Kant in un famoso detto: il cielo stellato sopra di me, la
legge morale dentro di me.
Alcune riflessioni qui inserite erano
già presenti nel De amore di Andrea Cappellano, come ad
esempio: Nei piaceri d’amore non sopraffare la volontà
dell’amante, oppure Conserva la castità per l’amante, ed
anche Nel dare e nel ricevere piaceri d’amore mai deve mancare il senso
del pudore. Ma Cappellano fu un autore medievale, con tutti i limiti che
noi sappiamo e che non starò a sottolineare.
A tal proposito mi sovviene
l’episodio dantesco di Paolo e Francesca, condannati non perché si amano ma per
il fatto di essersi lasciati trascinare dall’irrazionalità della passione. Ed è
una testimonianza, che l’amore è un elemento principale della condotta umana:
da lì parte il tutto. Come lo dimostrano anche le parole di Cristo, o di
Agostino d’Ippona che sostenne: “Ama e poi fa’ quello che vuoi”, perché
era sicuro che l’amore conducesse solo al bene.
Dante attraverso quell’episodio del V
Canto della Commedia condannava i romanzi cosiddetti d’amore che conducevano i
lettori ad una pedissequa imitazione dei protagonisti.(2) Oggi non è più
così. E non so quanti leggano ancora romanzi rosa, appassionanti e appassionati
(lontane sono Liala, Delly, Mura, Guido da Verona, Pittigrilli). Oggi è la
stagione degli influencer: questi sì, imitabili ed imitati e forse
pericolosi, su alcuni aspetti, come lo fu, secondo l’Alighieri, Chrétien de
Troyes con i suoi Lancillotto e Ginevra. Di per sé lo svenimento alla fine del
Canto del Poeta dimostra come l’equilibrio amore-passione e
razionale-irrazionale sia labile e il loro confine indefinito e indecifrabile,
cui nemmeno Dante, soprattutto in età giovanile, poté sottrarsi(3).
Ma esistono purtroppo anche
comportamenti inaccettabili tra amanti, meglio tra marito e moglie, ben
sottolineati dall’autore e del tutto condivisibili. Non so se Galante abbia
visto il film della Cortellesi “C’è ancora domani”, tanto giustamente celebrato.
Di sicuro, però, il modo in cui in questo racconto-saggio viene descritto il
rapporto uomo-donna è una chiara esaltazione di una unicità di legame
paritario, attraverso la gentilezza, la comprensione, la non sopraffazione
dell’uno sull’altra.
Nella seconda parte del testo,
l’autore si sofferma sulla valorizzazione di altre culture, di altri saperi, di
altri costumi. Ecco allora che da una prospettiva del singolo la visione
offerta da Galante ci riconduce alla collettività. Un tempo, sostiene, gli
emigranti eravamo noi italiani. Oggi noi siamo terra di immigrazione. Per
questo dobbiamo saper accettare il diverso da noi.
Dalla “comprensione” empatica verso
l’altro al discorso sulla guerra il passo è breve e naturale. La pace in fondo
è un problema d’amore.
Così il libro diventa un vade
mecum importante se non necessario da sistemare sul proprio comodino e
sfogliare prima di addormentarsi, per un confronto con se stessi o per puro
piacere intellettuale nella lettura di poesie e racconti come fossero favole o
parabole divertenti oltre che esplicative e didascaliche.
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1)
Exemplum: racconto veridico a scopo
didattico-religioso tipico della letteratura medievale, in cui il protagonista
alla fine raggiunge la salvezza dell’anima. Nel corso dei secoli assunse un
aspetto sempre più letterario, sino a confluire nella novella.
2)
“Quando leggemmo il disïato riso / esser basciato da
cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, // la bocca mi basciò
tutto tremante. / Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non
vi leggemmo avante”.
3)
Si veda a tal proposito “La vita nova” in cui
Dante tende a superare l’aspetto dolcestilnovista dell’amore cortese, portando
l’amore a più elevata essenza e facendo della donna il tramite per raggiungere
Dio.
Enea Biumi