lunedì 17 giugno 2019

"La taverna di Yannis" di Adelfo Maurizio Forni, Genesi Editrice, Torino, 2019




Di primo acchito ho definito “La taverna di Yannis” di Adelfo Maurizio Forni un romanzo emozionante e che emoziona. Più analiticamente vedo in queste pagine la trama di un destino che accomuna e coinvolge uomini e avvenimenti apparentemente lontani e diversi ma uniti nella conquista del Bene. Ho volutamente scritto con la lettera maiuscola il Bene, perché nella mente dei protagonisti – e dell’Autore immagino – il Bene è qualcosa di superiore, di trascendente, che va oltre l’appagamento materiale hic et nunc. Anche la Storia, quella destinata ad essere letta e studiata sui testi scolastici, pur nelle sue brutture e bestialità, tra guerre, tradimenti, violenze e massacri, è destinata alla fine a ricomporsi, a reinquadrarsi in una visione direi quasi manzoniana dove anche il male è permesso per uno scopo decisamente positivo. Certo, Manzoni parlava di Provvidenza. Laicamente pensando, la storia, almeno per chi vi crede, è un viaggio verso un progresso, verso un mondo indubbiamente migliore. Per alcuni è pure magistra vitae. “La taverna di Yannis” testimonia questo assioma. Il racconto nasce dall’incontro casuale tra una coppia italiana ed una greca, alla taverna di Yannis, appunto, e il flashback che ne consegue è la ricostruzione di un periodo che va dagli anni quaranta del secolo scorso ai nostri giorni. Vi si legge l’invasione della Grecia da parte dell’esercito italiano, la lotta partigiana del popolo greco e del popolo italiano, le miserie e le distruzioni della guerra, la ricostruzione difficile e faticosa, il sessantotto, la dittatura dei colonnelli, il boom economico. Il tutto attraverso l’occhio di tre generazioni intente a costruirsi il proprio futuro di certezze e solidità. Lo sfondo naturale è in prevalenza quello della Grecia con le sue isole, il suo mare, il verde dei suoi pascoli, ma non mancano accenni al paesaggio brianzol lombardo, nonché alla vastità del cielo stellato, spesso ricorrente nei momenti clou del racconto. Lo sfondo invece storico, come detto, è la seconda guerra mondiale con l’occupazione italiana di Samos e la successiva venuta delle truppe tedesche. Dopo l’8 settembre del ‘43, così narra la storia ufficiale, le cose si complicano per l’esercito italiano in Grecia. Chi non vuole sottomettersi al comando tedesco verrà ucciso o deportato. Non resta che fuggire, se possibile, o nascondersi, o entrare nei gruppi partigiani locali. Ma l’altra storia, quella ufficiosa, quella della gente comune, racconta che un sergente italiano (Giorgio) ebbe salva la vita grazia ad una ragazzina (Eleni) che, a sua volta, quando ancora l’esercito italiano era l’invasore, fu aiutata dallo stesso militare. Due esistenze, così differenti e lontane, direi quasi opposte, si incrociano in una specie di diafora spirituale riproducendo in nuce il destino di un mondo, oppresso dalla guerra, che si attorcigliava inesorabilmente su se stesso senza via d’uscita. Ma quelle due vite, incrociatesi quasi per caso e fortunatamente simpatetiche l’una con l’altra, furono l’inizio del prevalere del Bene sul male. Non sto a raccontare gli avvenimenti successivi per non togliere al lettore il gusto della lettura. Mi piace invece sottolineare l’atmosfera emotiva che dà l’abbrivio alla narrazione. Siamo trasportati come davanti ad uno schermo cinematografico – ed è lo stesso Forni che ci suggerisce la chiave interpretativa – dove a “fare” la storia non sono solo i potenti ma, Manzoni docet, gli umili e gli anti eroi. Si tratta di una sceneggiatura in cui le cose nella loro successione diacronica e, in special modo all’inizio, convulsa e frenetica, ci disvelano scenograficamente che la bellezza dell’uomo non è quella esteriore, bensì interiore. I personaggi del romanzo, al di là della loro collocazione geografica od economica, possono essere i nostri nonni o i nostri padri, i nostri vicini di casa o i compagni di lavoro. Non fa differenza. Quello che conta sono i loro valori di pace e solidarietà coi quali hanno convissuto e per i quali si sono sacrificati, pur nelle mille contraddizioni che la vita, o il destino, ha procurato loro. Nella certezza che nulla è stato fatto invano e che tutto, alla fine, sarà ricomposto in un unico e grande abbraccio fraterno, perché “il cuore è la cosa più importante”. Da non dimenticare.

 Enea Biumi

lunedì 10 giugno 2019

Stairbook Chapter 10 – Rosa fresca aulentissima, di Enea Biumi

Sandro Gros-Pietro intervista Emilio Coveri e Marco Longhi sul tema: "Eutanasia"


Massimo Scrignòli “Lupa a Gennaio” (Book Editore, 2019)




E’ René Char ad aprire il tracciato in epigrafe di un suono che accosta amore e poesia. Nuova stagione è poi davvero quella che Massimo Scrignòli inaugura con un volume di prose poetiche temperate dalla robustezza dell’afflato metafisico, “Lupa a Gennaio”. Muove il testo, deflagra l’improvviso; domina l’assenso un indicibile riemerso quasi fosse un libro dell’inquietudine. Anche noi, così, scendiamo in apparente rilascio, là dove frammenti di tuono aprono scenari di amori inattesi, perturbanti. Da subito risuonano, nei testi di Scrignòli, i rimandi agli autori frequentati e interpretati: Char e Pound, Celan e Kafka, ma anche Dante. Le tracce notturne sono enucleate quasi a ridosso di una prosa in brevi quadri sospesa, raffigurata in intagli di raffinatissima perizia. Che conforto, a fronte di una miriade di proposte vacillanti e anoressiche catalogate come estri del dicibile, scorrere una traccia letteraria fieramente capace di dirsi concettuale, profonda ma mai oscura, filosofica, propriamente ontologica. Gli elementi materici, le cose, gli enti accolgono il lettore in una purezza d’intendimenti che non può però escludere la precisa consapevolezza che l’essere dell’ente non è un altro ente. “L’eclissi ha qualche cosa che riguarda il bosco: è l’ingresso docile degli occhi nella neve oscura”; riguarda il nostro senso estremo per la sensualità degli elementi, la percettibilità delle variazioni e degli indugi. Una fisicità astratta ricompone il divenire interpretabile non contraddittorio ma problematico; così come problema è il mutare all’interno di un’esattezza nominata in quanto colore che si fa nome. Un infrascritto ereo, quasi contenitore arcaico sprigionante domande abissali e ansiti costieri. E ancora la tonalità cromatica del blu si accosta ad ombre e presenze “là dove il cielo non è più cielo”, e così la parola sa discernere nel non morire. Il depistaggio è complice, l’erranza fattuale attraverso la duplicità del testimone, sensibile scolta di uno svago adulto, di una consistenza intellettuale. Massimo Scrignòli proviene da linee del fuoco e libri d’acqua; osa la dicitura compatta del brano che nella visibilità breve distende lo spazio adeguato della prosa d’arte, della nominale intenzione diretta al nucleo fondante del reale. Le acque della Senna, nelle quali Paul Celan si gettò in una notte d’aprile del 1970, assumono il senso sacrale del sacrificio devastante; si fanno, appunto, “ammutolite” ma, nello stesso tempo, ritornanti, le stesse “per concessione suprema di Eraclito”. Indicibile l’afflato panico riemergente dai vessilli di ciò che non deturpa il ripetibile, l’avamposto decifrato dal lessico ermeneutico. L’evento e il rimedio significano le cose. Davvero ritroviamo nell’opera di Massimo Scrignòli ciò che disse in passato lo stesso Char: “Possiamo vivere solo sul semiaperto, esattamente sulla linea ermetica di spartizione tra l’ombra e la luce. Ma siamo irresistibilmente proiettati in avanti”.
                                                                                                                                                                                           Andrea Rompianesi
 
 

UNICITÀ DELLA LUCANIA Recensione del Filosofo Vincenzo Capodiferro, 2 ottobre 2024

  Contravvenendo all’estetica crociana per cui l’autore si dissolve nell’opera d’arte, noi vogliamo valorizzare le persone che stanno dietro...