venerdì 16 maggio 2025

Antonio Rossi “Quandoltre” (Book Editore, 2025)

 

                               


 Davvero possiamo cogliere l’identità di una partitura specificamente vitale e accuratamente fonosimbolica, attrezzata ad uso sintattico svelante oltre l’approssimarsi reiterato del quotidiano, verso ulteriori esegesi del reale. “Quandoltre”, titolo poetico di Antonio Rossi, assume la valenza di una interpretazione compatibile con l’imprevisto del dato, accostandosi alle cose attraverso una variegata composizione ontologica. ”Una fune affilata/ nottetempo il prato/ delimita; nessuna/ lesione o suppletivo/ assillo da essa procede”; così comporta lo stratificato geologico che si riflette nell’atto del definire, nella poiesi articolata, il lessico materico concretizzante gli spazi, i luoghi, le configurazioni periferiche attinenti alla pratica elaborativa posata sulla capacità dell’autore di essenzializzare nel nitore semantico, la pluralità dei suggerimenti; umori di anastrofe o iperbato determinano schemi linguistici di una sapiente formazione strutturale. La scrittura poetica di Antonio Rossi è pregiata, raffinata, accurata; imposta calibrature ad evento nello stimolo, poi fissate appena da successione dei termini e concede esemplare fusione di nitore e ritmo, nel delineare le cognizioni che l’ambiente suscita nell’osservatore quando la molteplicità dei dati richiede la forza delegata al processo di sintesi. “Soppalchi a sfalsata geometria/ e multiple capriate nonché tramezzi/ unitamente a studiati avancorpi”; quasi intelaiature foniche decrittate e riprodotte in assunzioni di termini strutturalmente composti in una espressività solida, come innestate nel corpo degli ambienti quasi fossero cantieri che rendono la loro configurazione oggettuale in versi includenti fonetici supporti, destinazioni e fogge, ponteggi e arredi, travetti e andatoie. “Colorate lanterne trattengono”...come possibili interni d’inespresse vicende fermate in un tempo sospeso; atmosfere e giacimenti, utensili e abissi contendono alla spazialità della pagina l’incessante metamorfosi appagata nella sedimentazione di un linguaggio che ferma l’inquadratura in una davvero sorvegliata regia densa e protratta nella non esclusa visibilità diuturna pure tra i vapori sprigionati, “sotto un cielo che solo detriti/ e schegge porta”. Sfoghi e parole, sospiri e pertugi, disamine e istanze conducono ad adagi costituenti la precisione espressiva della sintesi poetica in un comporre fonetico attento alla sosta, alla calibratura prosodica, nella trasposizione di segni che dalla natura circostante esplicitano traiettorie e mutamenti non solo consueti. “La lungamente disattesa/ stazione di ristoro i vaganti/ fra i piani larghi accoglie”; c’è un sentire di afflati notturni scolpiti in una visibilità musicale che denota frequenze sillabiche, ritmi posanti la fruizione accentuata attraverso vegetali rimandi e meccaniche deviazioni. Antonio Rossi si pone in questo suo lavoro testuale “ad una certa distanza” per osservare con cognizione e senso maieutico della scrittura poetica dove è segno cogliere l’accento accorto della definizione rigorosa. “Ma pur se’n vanno/ flussi e folate contro la più alta/ scogliera e le onde che dal deserto/ cortile s’intravedono a sé ogni cosa/ chiamando”.

 

                                                              Andrea Rompianesi

 


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