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Davvero possiamo
cogliere l’identità di una partitura specificamente vitale e accuratamente
fonosimbolica, attrezzata ad uso sintattico svelante oltre l’approssimarsi
reiterato del quotidiano, verso ulteriori esegesi del reale. “Quandoltre”,
titolo poetico di Antonio Rossi, assume la valenza di una interpretazione
compatibile con l’imprevisto del dato, accostandosi alle cose attraverso una
variegata composizione ontologica. ”Una fune affilata/ nottetempo il prato/
delimita; nessuna/ lesione o suppletivo/ assillo da essa procede”; così
comporta lo stratificato geologico che si riflette nell’atto del definire,
nella poiesi articolata, il lessico materico concretizzante gli spazi, i
luoghi, le configurazioni periferiche attinenti alla pratica elaborativa posata
sulla capacità dell’autore di essenzializzare nel nitore semantico, la
pluralità dei suggerimenti; umori di anastrofe o iperbato determinano schemi
linguistici di una sapiente formazione strutturale. La scrittura poetica di
Antonio Rossi è pregiata, raffinata, accurata; imposta calibrature ad evento
nello stimolo, poi fissate appena da successione dei termini e concede
esemplare fusione di nitore e ritmo, nel delineare le cognizioni che l’ambiente
suscita nell’osservatore quando la molteplicità dei dati richiede la forza
delegata al processo di sintesi. “Soppalchi a sfalsata geometria/ e multiple
capriate nonché tramezzi/ unitamente a studiati avancorpi”; quasi intelaiature
foniche decrittate e riprodotte in assunzioni di termini strutturalmente
composti in una espressività solida, come innestate nel corpo degli ambienti
quasi fossero cantieri che rendono la loro configurazione oggettuale in versi
includenti fonetici supporti, destinazioni e fogge, ponteggi e arredi, travetti
e andatoie. “Colorate lanterne trattengono”...come possibili interni
d’inespresse vicende fermate in un tempo sospeso; atmosfere e giacimenti,
utensili e abissi contendono alla spazialità della pagina l’incessante
metamorfosi appagata nella sedimentazione di un linguaggio che ferma
l’inquadratura in una davvero sorvegliata regia densa e protratta nella non
esclusa visibilità diuturna pure tra i vapori sprigionati, “sotto un cielo che
solo detriti/ e schegge porta”. Sfoghi e parole, sospiri e pertugi, disamine e
istanze conducono ad adagi costituenti la precisione espressiva della sintesi
poetica in un comporre fonetico attento alla sosta, alla calibratura prosodica,
nella trasposizione di segni che dalla natura circostante esplicitano
traiettorie e mutamenti non solo consueti. “La lungamente disattesa/ stazione
di ristoro i vaganti/ fra i piani larghi accoglie”; c’è un sentire di afflati
notturni scolpiti in una visibilità musicale che denota frequenze sillabiche,
ritmi posanti la fruizione accentuata attraverso vegetali rimandi e meccaniche
deviazioni. Antonio Rossi si pone in questo suo lavoro testuale “ad una certa
distanza” per osservare con cognizione e senso maieutico della scrittura
poetica dove è segno cogliere l’accento accorto della definizione rigorosa. “Ma
pur se’n vanno/ flussi e folate contro la più alta/ scogliera e le onde che dal
deserto/ cortile s’intravedono a sé ogni cosa/ chiamando”.
Andrea Rompianesi
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