C’era, nella Milano degli anni venti-trenta, un
critico teatrale toscano, severo e spesso parziale, che giudicava quasi sempre
negativamente le commedie del Bertini. Il commediografo volle allora prendersi
la rivincita e in un lavoro dal titolo “Il
delitto di via Spiga” (1) inserì una battuta acida
contro il critico toscano: “On toscano a
Milan o el vend la castagnaccia o el fa el critico d’arte”.
Alla prima rappresentazione Anna Carena(2),
che era la responsabile della compagnia teatrale, fece togliere quella battuta,
ritenuta troppo audace, sarcastica, forse offensiva. Il commediografo, alla
fine della rappresentazione, andò come una furia nel camerino dell’attrice e
gliene disse di tutti i colori. Ritenne quella censura un tradimento da parte
della Carena stessa. Volle sapere perché fosse stata tolta la battuta, accusò di
irresponsabilità l’attrice, le tolse la fiducia, il saluto, la stima. Cosicché
nella seconda rappresentazione Anna Carena reintrodusse quella battuta ed il
teatro reagì con grandi risate ed applausi scroscianti. Evidentemente il pubblico
stava dalla parte di Bertini. Naturalmente, alla fine di questa seconda
rappresentazione, il commediografo si ripresentò nel camerino dell’attrice
omaggiandola di fiori e di sentite e sincere scuse per le intemperanze sue
precedenti.
Questo episodio, che mi è stato raccontato
personalmente dalla stessa Anna Carena, può far intendere quale fosse il
carattere di Guido Bertini e la sua notorietà all’interno del pubblico teatrale
milanese. Artista e uomo di spirito, qualità ereditate dal padre Pompeo, Guido
sapeva riconoscere il merito, conosceva il suo pubblico e soprattutto
rispondeva in prima persona di quello che affermava. Affrontava, come si è
visto, con grinta e di petto gli inconvenienti e le avversità della vita. Fin
da giovane, per esempio, amava cimentarsi con la scrittura, ma alcuni versi che
fece circolare gli valsero una perquisizione poliziesca(3) , che lo defraudò per sempre dei molti versi
dialettali da lui scritti e conservati.
Ma non fu solo il teatro la passione e l’interesse del
Nostro. Anzi. Il suo approccio artistico iniziò con la pittura: e
specificatamente con la pittura su vetro.
Milanese di nascita (1872) varesotto d’adozione (1907)(4)
Guido era discendente da una famiglia che per tradizione eseguiva pittura
su vetro(5). Ma la muffola per la cottura del vetro che il nonno
Giovanni aveva impiantato in via Guastalla a Milano disturbava e non poco con i
suoi fumi maleodoranti e tossici i vicini di casa. Per questo motivo Guido
decise di trovare una sistemazione più adeguata al suo lavoro. E la trovò a
Luvinate nella cascina Nicò alla Zambella, battezzata ironicamente “Villa
Anzone”. Qui si dedicò alla sua arte e qui, negli anni del primo novecento
divenne ritrattista riconosciuto ed in seguito, negli anni venti e trenta, commediografo
rinomato.
I suoi ritratti sono per lo più raccolti in collezioni
private(6), ma alcune tele le possiamo ammirare anche a Villa
Mirabello. In alcuni di quei dipinti Bertini sottolinea non solo il carattere
del personaggio ritratto bensì l’ambiente che lo circonda, attraverso sfondi
che ne fanno intuire la locazione sociale. E sono specchi dorati, ampi e
confortevoli divani o caminetti. In altri ritratti le figure risaltano per se
stesse, nel loro aspetto psicologico e umano. In tutti si nota il realismo di
fine ottocento, sicuramente non fine a se stesso e comunque sempre attento a
raffinarsi e mai ripetitivo.
Per questo, una volta insediatosi in quel di Luvinate
e trascorrendo il suo tempo libero a Varese, ben presto entra in contatto
con il panorama culturale varesino di quegli anni e diventa amico e sodale con
i pittori De Bernardi e Montanari, lo scultore Scola e il poeta Speri Della
Chiesa(7), diventando socio degli Amici dell’arte.
Tralasciando l’arte poetica di cui ci rimangono solo
alcuni sonetti(8) mi soffermerò ora sulle caratteristiche della sua
opera teatrale che ha avuto, ed ha tuttora, parecchio seguito, soprattutto tra
le compagnie dialettali amatoriali.
Quando nel 1923 viene
messa sulle scene
la prima commedia
del Bertini(9),
il teatro dialettale Milanese
era in una fase quasi
di completo stallo.
Erano scomparsi, infatti,
i grandi nomi di Cima, Cletto Arrighi,
Bertolazzi, Ferravilla, Illica,
Sbodio, Giraud. Ma la ricostruzione non tardò ad arrivare anche grazie al Nostro. Tra l’altro l’impiego del dialetto gli fu provvidenziale. Fu una scelta culturale e
politica al tempo stesso. Non fu però una posizione ideologica la sua, bensì
artistica.
L'uso del dialetto gli derivava dalla sua esperienza quotidiana
(nonchè dagli amici che lo circondavano e lo spronavano – in primis Speri Della
Chiesa) formava un tutt'uno con
la sua esistenza e con la sua
biografia: sua e dei personaggi delle sue
commedie. Il vernacolo gli permise la
garanzia di un giudizio libero e illimitato.
E qui ritorna quello spirito giovanile di fine
ottocento. Tanto è vero che il protagonista – Tecoppa(10) – diventa
eroe degli antieroi, secondo quello che lo stesso Porta sosteneva: la vera
scuola era il Verzee, non più la parola, come lo era per alcuni scrittori
contemporanei(11), ma la strada, il bistrot, la gente. In effetti il
suo Tecoppa è un Andrea Sperelli in negativo. Sperelli nasce all’interno di
un’aristocrazia estetica ed elitaria, che si esalta in sublimi Erodiadi,
Tecoppa invece vede la luce nelle taverne, fra ladri, ruffiani e prostitute e
si circonda di pittori che trovano la loro ispirazione in semplici e vivaci
Muffette, illustre sconosciute.
Certo, Bertini non fu il primo a valersi del dialetto.
Non fu l'unico. Ma è proprio
nel dialetto che si ritrova la misura
e la
forza del suo spirito combattivo, estroverso,
caparbiamente originale, attento e duttile nel dar valore agli avvenimenti e alla persone.
Così lo descrive suo cugino Enrico: “uno spirito d'osservazione
acutissimo, una spiccata tendenza alla caricatura e alla satira
(tendenza che è, posso aggiungere con cognizione di causa, forse
una dote, forse un difetto,
ma certamente endemica nella famiglia
Bertini), fanno sì che i suoi personaggi gli nascano
nella mente perfetti, vivi, completi, colla
evidenza della più nitida fotografia; così che (lo dice egli
stesso) prestabilita la tela della
Commedia e messosi al tavolino, il dialogo sgorga
come l'acqua sotto
pressione da un rubinetto aperto”.(12)
Un rubinetto aperto, sicuramente. Ma che le autorità
del tempo tenevano, come d’uso, sotto controllo. Proprio nel dattiloscritto del
Tecoppa, sulla prima cartella, ben visibile si legge: “Visto. Si autorizza la rappresentazione” Il timbro è della
sottoprefettura di Varese. La firma del sottoprefetto. La data non si legge(13).
Ma un rubinetto dove “balza il carattere
completo di questo popolo (milanese) rude e bonario, espansivo se pur alieno da
ogni sdolcinatura, arguto, non raffinato ma sempre generoso, franco e leale;
qualità che si riflettono anche nella sua più genuina parlata, aspra e
potente.”(14)
Non per nulla l’attenzione di un critico importante
come Renato Simoni non si fa attendere. Fin da subito ne dà un giudizio
positivo, anche se non esaltante. Indubbiamente Bertini non è il principale
protagonista della commedia italiana: ne è semmai uno dei protagonisti, sia pur
appartato in una scrittura che vuole riportare i personaggi alla dimensione
reale. In una dimensione che dà spazio ai tradizionali caratteri e valori della
commedia italiana. Vale a dire: la maschera, l’imbroglione, il povero, il
pazzo, il ladro, l’ingenuo, l’onesto, il vero religioso ed il ‘tartufo’, la
serva padrona, la moglie sottomessa. Il tutto sottolineato o meglio inquadrato
in uno spazio comico, a volte sarcasticamente amaro, a volte ironico, a volte burlesque tout court.
E il comico è l’elemento che lega ogni sua commedia.
Il filo rosso che fa riconoscere Bertini commediografo brillante e divertente,
secondo quella massima antica che dettava: castigat
ridendo mores. “Ma scrivv di comedi alegher
– dice il pittore Brugnetti
al tragediografo e necroforo
Squassi ne El delitt de via Spiga –
che la gent la ven a
teater per desmentegà i so cruzzi e minga par caragnà a pagamento!”.
E pare proprio essere lo scopo e il fine del lavoro del Nostro questa
scrittura divertente.
Ne El diavol el fa i so pass(15)
Bertini si permette il lusso di scherzare con la burocrazia.
“All'inferno non può mancare la burocrazia in quanto è
un atroce tormento dell'umanità. Come non possono mancare la Radio, l'arte del
Novecento, i ragionieri intellettuali e le discussioni sulle partite di footbal. Lo diceva anche
il Divino Poeta: nuovi
tormenti e nuovi tormentati”.
Sempre nella stessa commedia un fotografo esploratore
si presenta dicendo di aver vissuto tanto “cont
i miliardari american che spendeven un patrimoni, come coi selvaggi
delle isole Flegee che gh 'hann
l'abitudin stranissima de mazzà e de
mangià i so parent quand diventan vecc.... Infatti “giò là te vett magari a fa visita in d'ona
famiglia e te ghe domandet: "Come sta el papà?" "L'è su
ch’l cos” risponden". "La mama?" "L'hann fada andà
ier cont i erbion!"”.
Logicamente i suoi personaggi vanno inquadrati nella
mentalità del tempo. Non poche battute di Guido sono, ad onor del vero,
maschiliste per la mentalità moderna. Ma anche queste appartengono al
personaggio di Bertini che, seduto ad un tavolo sotto i portici, che oggi vanno
sotto il nome di Corso Matteotti, apostrofava l’allure di una giovane donna così: che bell’andare di corpo che ha signorina.
Ne El delitt de via Spiga quando
si rimprovera al medico di aver redatto un certificato di morte per una defunta che risultava invece sana e
vegeta, lo stesso così risponde: “Se gò da savè mì. Ho vist che la parlava pu; e quand
ona dona la parla pu, al voeur dì che l'è morta”. Lo stesso dottore, un po' becero per la verità,
insiste e si difende dicendo: “Ma come l'è mia morta?
Gò perfin
fatta la dichiarazion” Al che la presunta morta dice: “Lù al fa semper ul bamba sui scal, ma de
dichiarazion a mì ma n'ha
mai faa”.
In Pronta cassa(16)
il professor Livio Fontanella dà un consiglio ad un suo carissimo studente,
Nino Caccialanza, vivo per miracolo dopo un tentato suicidio causato da una
disillusione d'amore. “Se dev ragionà
e concepì l'amor in d'ona
manera sana e positiva, senza i
morbosità della letteratura de cent ann fà. Te set no che Werter e Jacopo
Ortis hann impienì i cimiteri de giovinott pussè dell'artiglieria in l'ultima
guerra?” E ancora: “L'amor l'è una merce come un 'altra.
Come po vess el vin,
la marmellada ... Merce gustosa
che ne procura on godiment. E el godiment bisogna pagal”. Infatti
secondo il professore: “Tutt i donn ciappen danee, basta daghen ... L'è
question de tariffa”. E per di
più “i donn quand gh 'ann on
mort al sò attiv, alzen la tariffa con quel
che venn dopo!”. Perché “L’è onest quell che disi e l’è iniquo pagai
no i donn… Pensa ai spes che incuntren i donn per piasegh ai omen. Spès
d’impiant, spes de esercizi, spes de manutenzion”.
Sono cambiati i tempi, è vero. E’ cambiata la
mentalità. Sono cambiati i costumi. Ma “El
zio matt”(17) rimarrà sempre nella nostra mente come colui che
ha la capacità di trasformare i sogni in realtà. Che giudica secondo giustizia
e non secondo interesse. Così come l’Isolina ne “La man in del foeugh”(18), una serva padrona
che arriva addirittura, in combutta col suo amante, a rubare al padrone. Né
possiamo dimenticare il personaggio di donna Valeria de “L’anima travasada”(19), ingenuamente amante,
ingenuamente persa, ingenuamente raggirata, prima da uno pseudo spiritista, poi
da un concreto bottegaio. Non per nulla questa commedia vinse il primo premio.
Ecco spiegato allora il perché di Bertini come
commediografo controcorrente. Le sue commedie, anche se di sapore ottocentesco
– questo è indubbio – apportano una visione della società che non era
sicuramente quella ufficiale dei suoi anni. E Guido stesso insiste nel dramatis personae a sottolienare come la
trama si svolga ‘ai giorni nostri’.
Proprio perché vuol dare una svolta a quella società patinata che andava per la
maggiore, ma che maggioritaria non era.
Controcorrente, dunque come commediografo, ma
controcorrente anche nella vita. Forse per questo non era molto amato proprio
da quelle persone che lui stesso difendeva sul palcoscenico. I suoi compaesani
lo vedevano al di fuori della realtà, non ne capivano l’atteggiamento, lo
osservavano da lontano con malcelata diffidenza, lo schivavano come fosse un
pazzo. Proprio come quello zio matt
che fa del bene senza essere né frate né
prete. I famigliari dello zio matt
infatti non lo comprendono. Non lo vogliono. E’ al di fuori della loro portata.
Al di fuori di tutto. Così come Guido non era compreso dai suoi concittadini
perchè al di fuori da ogni schema prestabilito. E si sa come una civiltà
contadina, qual era quella di Luvinate nella
prima metà del Novecento, sia radicata alle tradizioni e al passato.
Bertini, e quella sua anima contestatrice innata, ci
lasciò il 3 giugno 1938(20), ma le sue commedie e i suoi dipinti
rimangono a testimonianza della sua arte. “Se
ne era andato silenziosamente – scriverà l’amico Montanari – come quando scompariva alla svolta di uno
dei vicoli di Varese, alla ricerca di qualche nuovo spunto per il suo umorismo.
Non lo avremmo mai più rivisto aggirarsi per i vecchi portici, curvo,
trasandato, col cappellaccio sulla nuca, quasi piccola beffarda feluca che
lasciava sfuggire il ciuffetto di capelli incollato sulla fronte napoleonica,
impugnando il nodoso bastone dietro la schiena come lo scettro di una dinastia
ormai scomparsa: quella dei fertili ingegni. Ma il suo amore alla natura e il
suo temperamento schivo ai compromessi sociali l’avevano condotto nella calma
solitaria e scontrosa del suo rifugio agreste.”
Controcorrente, appunto.
Enea Biumi
Note
1)
“El delitt de via Spiga”. Tre
atti. Commedia giallastra. Sui cartelloni il titolo appare in italiano “Il delitto
di via Spiga”, a causa degli
ordini emanati dall'allora regime fascista che proi biva ogni manifestazione teatrale in
dialetto. Ma cambierà solo la facciata, cioè il titolo, rimanendo in vernacolo tutto il resto.
A portare sulle
scene la commedia, rappresentata per
la prima volta nel 1934 al Teatro di Porta Venezia, sarà la compagnia di Anna
Carena, che avrà al suo fianco i bravi : Ravel, Feldmann, Rinaldi,
Zeni, Allegranza, Zanoletti e Granata.
La commedia, satira del genere “giallo” già allora imperante, otterrà molti consensi. Verrà ripresa nel 1944 da Giuseppe Adami, che guiderà la Compagnia Città di Milano. Nel 1948 “El delitt de via Spiga” viene
rappresentata all'Olympia, nel 1949 all'Excelsior (regia di Nino Besozzi), nel
1956 all'Odeon con la Compagnia del teatro Milanese guidata da
Luciano Ramo.
2)
Anna
Carena, nome d'arte di Giuseppina Galimberti (Milano, 30 gennaio 1899 – Milano, 15 aprile 1990), ancora
adolescente debutta in teatro, contro la volontà del
padre, nella Compagnia di Annibale Betrone. Alla metà degli anni '20 recita con Luigi Chiarini e Uberto Palmarini.
Alla fine del medesimo decennio è prima attrice con Leo Garavaglia
e Franco Schirato,
poi ancora prima attrice nel teatro dialettale milanese il Principe,
affermandosi come una delle maggiori interpreti di testi in dialetto meneghino.
Nel 1933 ha una propria compagnia sempre di prosa lombarda, poi si occupa di
teatro delle marionette al Caffè Campari. Nel 1941, debutta nel cinema in Piccolo mondo antico, regia di Mario Soldati. Reciterà poi in
circa 30 pellicole dove apparirà quasi sempre in piccole parti di caratterista,
diretta prevalentemente da grandi registi.
3) Era il 1898.
Milano viveva in un clima generale di tensione. Il 6 maggio verso mezzogiorno,
la polizia arresta sindacalisti e operai. Nel pomeriggio di quella stessa
giornata, il governo affida i pieni poteri al generale Bava Beccaris, decretando lo
stato d’assedio della stessa città. Due giorni dopo i cannoni aprono il fuoco
contro la folla. Restano uccise centinaia di persone e oltre un migliaio di
feriti più o meno gravi. Il 9 maggio vengono sciolte associazioni e circoli
ritenuti sovversivi, arrestate migliaia di persone e soppressa la stampa
d'opposizione. Quegli avvenimenti fecero
però dimettere il ministro degli
esteri
Emilio Visconti
Venosta,
successivamente si dimise tutto il ministero di Rudinì.
4) Nel 1907 Guido
Bertini prende residenza a Luvinate
5)
Uno
dei primi lavori, che Guido eseguì insieme col padre Pompeo, fu la
ristrutturazione delle vetrate del Duomo di Milano. In una di quelle vetrate
(sulla sinistra dell’ingresso principale) pare che Guido imprestò il volto
della moglie Rosa per ritrarre Santa Tecla.
6)
Si
veda a tal proposito il Museo on line della Fondazione Macchi e dell’Ospedale
di Circolo in artevarese.com
7) Questo il ritratto bonario ma
del tutto centrato che l’amico Speri Della Chiesa fece di Bertini:
Pittor, poëtta e, on temp, fin vedriee,
l'avriss poduu mett su de fa 'l
grappatt,
tant l'è 'l spiret ch'el gh'ha in del fagh adree
a la gent, con la
lengua, el so ritratt
Per toeuss
foeura del mond, l'è andaa a casciass
tra i
"praticei coi càper e i coroll
di fior agrest"
d'on sit sora a Barass
che per andagh,
se ris'cia l'oss del coll.
(tratto da “Varés di temp
indrée” a cura della Famiglia Bosina con prefazione di Clemente Maggiora,
Edizioni Lativa, 1993)
8)
Ecco
un esempio gustoso e spiritoso di uno dei pochi sonetti rimasti di Guido
Bertini:
Al cavalier Bonecchi, con mezza donzena de formagitt de cavra
De quand me son ridott a fa el massee
E a viv in tra i boasc e la pollina,
Se voeuri fa on regali de roba fina
Ciappi gèner de stalla e de pollee.
Lù el me dirà che, per sparmì danee
Tratti i amis cont i scart della
cusina,
Ma,
quand el saggiarà
sta formaggina,
El dirà pù che l'è on regall a pee.
El merit l'è di càver che gh'hoo su
Che me procuren tutt sto bell
formagg:
El savor, poeu, le ciappa de per lù,
A pocch a pocch, cont el diventa
vecc,
De mì ghe metti: quatter gott de
cagg.
E la fadiga de tiragh el
pecc!
(Paolo Bonecchi era un capocomico che
rappresentò quasi tutte le commedie del Bertini)
9)
“El Tecoppa
Istitutor”. Tre atti
rappresentati per la prima volta al Teatro Sociale di Varese, nel 1923, dalla
Compagnia Teatrale Accademia Varesina
di recitazione. Tra i
protagonisti si ricorda il dilettante varesino Angelo Orimbelli, nella parte
del Tecoppa, che fu lodato
anche da Renato
Simoni sul “Corriere della sera”. Il 19 dicembre 1930 al Teatro di Milano per
opera della Compagnia Bonecchi verrà rapresentata la stessa
commedia rimaneggiata col titolo “Osteria
della Scaletta”
10) Il
nome di Tecoppa lo eredita da Ferravilla. Ma nella commedia del Nostro il
personaggio viene liberato da quella struttura espressionistica, a volte
cabarettistica, quasi sempre macchiettistica, che aveva caratterizzato il
grande attore. Il Tecoppa di Bertini diventa un antieroe per eccellenza:
truffatore, imbroglione, ladro, privo di scrupoli, ma, allo stesso tempo,
generoso coi diseredati ed i più deboli.
11) Si
pensi a D’annunzio, o allo stesso Fogazzaro, sotto un certo punto di vista.
12) Prefazione
a “L’anima travasada”, edizione La
famiglia meneghina, Milano, 1932
13) In
una nota del prefetto di Como inviata al Ministero in data 29-12-1923 si viene
a sapere che le autorità del tempo avevano un occhio speciale per Guido
“dilettante scrittore”, pittore e
consigliere della sezione repubblicana di Varese
14) Orio
Vergani, Fortunato Rosti (a cura di) Teatro milanese, Parma 1958
15)
“El diavol el fa i so pass”. Tre
atti. Viene rappresentata per la prima volta nel 1935 al Teatro Principe di Milano
sotto la direzione di
Paolo Bonecchi. In seguito verrà proposta
anche al Teatro Sociale di Varese. La commedia non
ottiene molto successo.
Soprattutto la critica
rimarrà insoddisfatta del lavoro. Bertini darà la colpa dell'insuccesso all 'incapacità interpretativa di alcuni
attori della Compagnia Bonecchi. Molto probabilmente la motivazione
dell'incomprensione era dovuta al contenuto, troppo “rivoluzionario” per quei tempi. Anche questa commedia viene presentata nei
cartelloni con il titolo in italiano:
Il diavolo fa i suoi passi.
16)
“Pronta cassa” Tre atti. È
l'ultima novità del 1932 che la Compagnia di Bonecchi presenta al Teatro Principe. Tra i protagonisti la
brava Anna Carena. Il pubblico accoglie il lavoro con grandi risate e applausi.
La critica rimane piuttosto indifferente, se non negativa: contesta il
contenuto, a suo giudizio, troppo
“pesante”. La commedia viene ripresa nel 1962 da Carlo Colombo che ne
cura la regia portandola sulle scene del Gerolamo di Milano il 10 luglio dello
stesso anno con la Compagnia Stabile del Teatro Milanese.
17)
“El zio matt”. Tre atti. Viene rappresentata il 25 febbraio 1932 per
la prima volta dalla Compagnia Paolo Bonecchi al Teatro Principe di Milano.
Accolta favorevolmente dal pubblico e dalla critica, giudicata commovente e
divertente allo stesso tempo. La commedia avrà successo anche nel dopoguerra e
terrà cartello a Milano tra le compagnie dialettali per circa un decennio.
Inizia a riproporla per il pubblico milanese la Compagnia del Teatro Milanese,
diretta da Luciano Ramo: è il 10 luglio 1956, al Teatro Odeon. Nell'estate del
1958 verrà portata al
Manzoni sempre dalla stessa Compagnia, che
avrà in programma
“El zio matt” anche
per l'anno successivo. Nel 1961 sarà la regia di Carlo Colombo
a portare sulle scene del Gerolamo
la commedia del Bertini. Elio Crovetto (genovese) prenderà il posto di Mazzarella.
Al Gerolamo la commedia
rimarrà in cartello
fino al 1965. Nel 1967 la Compagnia del Teatro Milanese appronta una
modifica al testo originale del Bertini. “El
zio matt” diventa pertanto “Il
ritorno del zio matt”. Mattatore incontrastato è Elio Crovetto, la
regia sempre di Carlo Colombo, il teatro
dove viene messa in scena per la prima volta è l'Odeon. La critica accoglie con
favore la riduzione-adattamento del testo bertiniano, adeguato “giustamente”
alla diversa personalità del Crovetto.
18) “La man in del foeugh”. Tre atti dedicati all'esimia attrice Eugenia
Tavoni. Rappresentata per la prima volta il 20 marzo 1931 al Teatro
Principe di Milano dalla Compagnia Bonecchi.
Incontra favori di pubblico e di critica. Renato Simoni sul “Corriere della Sera” loda la sua fluidità nel
discorso e la sua sostanza comica. La commedia verrà ripresa nel dopoguerra e
data al Manzoni di Milano dalla
Compagnia di Luciano Ramo nel 1958.
Anche la Compagnia Stabile del Teatro Milanese porterà sulle scene milanesi “La man in del foeugh”, sotto la direzione di Angelo Frattini: siamo
nel 1960, al Teatro Pavoni di via Giusti.
19)
“L’anima
travasada”.
Tre atti. Nel febbraio del 1928 si classifica terza ad un concorso indetto
dalla Famiglia Meneghina per una commedia in dialetto milanese. Vince Lire
1000. Un anno dopo, il 19 novembre 1929, viene messa in scena dalla Compagnia
Bonecchi al Teatro Principe di Milano. Oltre che al Teatro Principe il Bonecchi farà conoscere “L'anima travasada” anche all'Apollo di
Lugano (1933) e al Rossini di Torino (1934). La critica ed il pubblico accolgono il lavoro molto favorevolmente.
Renato Simoni sul “Corriere della sera” afferma che la commedia passa “dalla
festevolezza scanzonata alla satira”. “Graffia acerbo, con una certa rabbia
incisiva”. “Ha un lieto sapore di burla: burla che è tanto più matta quanto si
dà l'aria di essere, nei particolari e nel dialogo, cinica”. E Pio De Flavis
ribatte sull'”Ambrosiano” che la commedia “rivela, fin dalle prime scene, una
fresca e scanzonata invenzione; si può prevederne i movimenti e il succedersi
degli episodi, ma nell'attesa non c'è quella stanca indifferenza che provocano
spesso le commedie del genere”. Il 2 marzo 1961, al Gerolamo di
Milano, la Commedia viene ripresa e portata in scena dalla Compagnia Stabile
Milanese. Verrà data, sempre dalla
stessa Compagnia, anche al Manzoni. La
regia è di Angelo Frattini.
Fra gli attori: Revel, Mazzarella, Allegranza, Celani, Pogliani,
Montini. “L'anima travasada” è
l'unica commedia di Bertini edita.
Della pubblicazione se ne è occupata la
Famiglia Meneghina nel 1932, con prefazione di Enrico Bertini, suo cugino.
Orio Vergani e Fortunato Rosti l'hanno ripubblicata e brevemente commentata
(importante il glossarietto accompagnatore) in “Teatro milanese”, Parma, 1958.
Tradotta in bolognese col titolo “Un'anma
tramudà”, venne rappresentata
con grande successo
dalla Compagnia di Angelo
Gandolfi.
20)
Mi
piace qui ricordare un sonetto che Speri della Chiesa dedicò al funerale di
Guido:
Hoo assistii propri incoeu, su a
la "Zambella",
dessora de Luinaa pocch men d'on
mia,
a ona
fonzion de mort pur
anca bella
tanto pienna, che l'era,
de poesia:
sott ai castan, poggiaa su la barella,
on còffen
senza ornaa de fantasia
cont dò
cander e on ciuff de ginestrella.
L'era el
pittor Bertin, che andava via.
Come càmera ardenta, el castagnee …
el ciel seren sperlaa per balducchin
...
e l'erba che faseva de tappee
...
On pret e on cereghett col
sidellin
s'hinn inviaa con tanta gent adree
per
compagnà 'l poer mort
al sò destin.
on rossignoeu
el cantava apòs, sconduu,
per saludà anca lù l'amis perduu! !
1938
(tratto da “Varés di temp
indrée” a cura della Famiglia Bosina con prefazione di Clemente Maggiora,
Edizioni Lativa, 1993)
LE COMMEDIE DEL BERTINI (a
fianco la dta della prima rappresentazione)
El Tecoppa
istitutor (1923)
El menagramm
(17 novembre 1924)
On quader
antigh (20 maggio 1926)
L’anima
travasada (19 novembre 1929)
La miee bruta
(3 gennaio 1930)
L’osteria
della Scaletta (19 dicembre 1930)
Bottega di
bellezza - atto unico – (19 dicembre 1930)
La man in del
foeugh (20 marzo 1931)
El zio matt
(25 febbraio 1932)
Pronta cassa
(1932)
El delitt de
via Spiga (1934)
El diavol el
fa i so pass (1935)
L’animale di
controllo – tradotta da Severino Pagani diventa On animal de control (5 gennaio
1963)
BIBLIOGRAFIA
GUIDO
BERTINI, Commedie dialettali (a cura della Filodrammatica “F. Volonterio” di
Luvinate) con note biografiche di Natalina Conti Avigni e Introduzione di
Giuliano Mangano, Nicolini Editore, Gavirate, 1985
GUIDO BERTINI - L'anima travasada , ed. La Famiglia Meneghina Milano, 1932 (presentazione di
Enrico Bertini).
ORIO VERGANI,
FORTUNATO ROSTI (a cura di) -
Teatro Milanese, Parma, 1958.
LAMBERTO
SANGUINETTI - Il teatro dialettale milanese dal XVII al XX secolo, Milano, 1966.
SEVERINO PAGANI
- Ciao Milano, Milano 1978.
CARLETTO COLOMBO - Storia del teatro
dialettale milanese , Milano, 1981.
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