Andrea Rompianesi
Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
mercoledì 10 aprile 2024
Paolo Di Paolo “Romanzo senza umani” (Feltrinelli Editore, 2023)
lunedì 8 aprile 2024
Salvatore Smedile “La volontà dell’ovest” (Book Editore, 2024)
Ci sono sonni
esposti ai mutamenti e veglie che intensificano lo sguardo. Oltre l’approccio
del dire c’è un ritmo cadenzato che naviga in versi brevi assunti a struttura
verticale, nella composta essenzialità dei rimedi. C’è un muoversi sul suolo
non distratto che identifica una meta fisica da raggiungere attraverso il
sentire della percezione. In questo caso la meta è Santiago di Compostela e il
poeta/viandante Salvatore Smedile che con il suo “La volontà dell’ovest” ci
accompagna attraverso le tappe di un procedere e, allo stesso tempo, riassumere
l’esperienza rivolta a Finisterre, là dove l’orizzonte del mare comincia e la
fatica della terra finisce. Certo “le ore cadranno dalle tasche/ piene di
memorie/ che non si potranno/ raccogliere con una mano”; l’incontro scandisce il
repertorio dei frammenti colti dal poeta nel caleidoscopio di figure, correnti,
discese, soste, passaggi...”a volte tutto fugge/ senza lasciare tracce;/ a
volte tutto rimane/ senza che si perda nulla”. L’autore sembra non voler
limitare il suo dire alla necessità di un esito univoco ma, come nella migliore
tradizione dello spirito del viaggio, in realtà il cammino stesso, osservante e
pensoso, è già risposta e significato. Qui però sembra che un sottile strato
d’inquietudine rivolga la sua attenzione alla presenza del timore; quello di
confondere la caducità degli episodi con la frequenza insorgente della
pulsione; la separazione implica sensibilità della cura, tremito operoso, dove
le questioni dell’anima hanno estensioni impreviste, diciture incompiute, voci
apprese che sono già echi. “Nelle orecchie una voce/ che cerca di svegliarmi/
da un oblio che dura/ da una vita” scrive il poeta “all’arrivo sarà/ più
comprensibile/ questa opposizione”, ma è solo un auspicio che non inganna poiché
l’arrivo è sempre e soltanto un nuovo inizio. Ad un certo punto, nel libro di
Smedile, “il mare è nell’aria”: “Lo dicono le pietre/ i piedi, le scarpe/ i
volti, i profumi/ i rumori”. L’elemento, la sua grandezza accoglie e sembra che
davvero, come ha espresso in un suo titolo Giuseppe Conte, non si possa finire
di scrivere sul mare. Non può mancare, comunque, l’ansia metafisica del “come
tornare con la mente/ dove siamo stati con il corpo?/ Dove eravamo quando
ancora/ non eravamo noi?”. Forse potremmo osare dire che eravamo negli occhi
dei figli, i doni lungo il cammino sacrale, distaccato ed unito ai sussulti
delle domande che nutrono la poesia. Ecco perché, scrive Salvatore Smedile, “E’
ora di andare/ di tornare da dove siamo/ partiti”, in un ciclo fertile che ci
fa pensanti in tumulto, anche quando “sembra impossibile/ essere stati il
cammino/ che non abbiamo deciso”.
Andrea Rompianesi
domenica 31 marzo 2024
Alessandro Assiri “Abitarmi stanca” (Puntoacapo Editrice, 2023)
Andrea Rompianesi
mercoledì 13 marzo 2024
Gianfranco Galante, Ti "racconto" perché, Circolo Scriptores, Varese, 2024
Si potrebbe definire lo scritto di
questo testo “Ti racconto perché” come un poema d’amore e sull’amore.
Infatti, a mezzo tra una serie di racconti, di poesie e di saggio, ci stanno
una riflessione importante ed un invito. La riflessione è appunto quella
riguardante l’amore in ogni sua forma e dimensione, l’invito riporta il lettore
ad un esame di coscienza su di sé e sul mondo che lo circonda.
Ora, i racconti si potrebbero
paragonare a degli exempla(1) che supportano considerazioni e
valutazioni dell’autore, mentre le poesie traducono in sintesi le più svariate
emozioni dovute a storie e accadimenti inerenti l’amore stesso.
Variegate sono le situazioni, ma una
sola è la soluzione. Essa si traduce nella consapevolezza che l’uomo è un
animale pensante, cosciente, dotato di una propria volontà e di un libero
arbitrio che lo distinguono e lo fanno unico al mondo. Per questo ontologicamente
si rende necessaria un’educazione all’altro, alla sua comprensione ed
accettazione, e per questo basta una parola semplice che tutto racchiuda:
amore. E non è la prima volta in cui Galante ci dà lezione, attraverso le sue
opere, di moralità, civiltà e buon costume. Attenzione: moralità e non
moralismo.
Si tratta allora di un trattato
sull’amore? Certamente, ma non in senso filosofico sebbene poetico. Come ebbe a
sottolineare Kant in un famoso detto: il cielo stellato sopra di me, la
legge morale dentro di me.
Alcune riflessioni qui inserite erano
già presenti nel De amore di Andrea Cappellano, come ad
esempio: Nei piaceri d’amore non sopraffare la volontà
dell’amante, oppure Conserva la castità per l’amante, ed
anche Nel dare e nel ricevere piaceri d’amore mai deve mancare il senso
del pudore. Ma Cappellano fu un autore medievale, con tutti i limiti che
noi sappiamo e che non starò a sottolineare.
A tal proposito mi sovviene
l’episodio dantesco di Paolo e Francesca, condannati non perché si amano ma per
il fatto di essersi lasciati trascinare dall’irrazionalità della passione. Ed è
una testimonianza, che l’amore è un elemento principale della condotta umana:
da lì parte il tutto. Come lo dimostrano anche le parole di Cristo, o di
Agostino d’Ippona che sostenne: “Ama e poi fa’ quello che vuoi”, perché
era sicuro che l’amore conducesse solo al bene.
Dante attraverso quell’episodio del V
Canto della Commedia condannava i romanzi cosiddetti d’amore che conducevano i
lettori ad una pedissequa imitazione dei protagonisti.(2) Oggi non è più
così. E non so quanti leggano ancora romanzi rosa, appassionanti e appassionati
(lontane sono Liala, Delly, Mura, Guido da Verona, Pittigrilli). Oggi è la
stagione degli influencer: questi sì, imitabili ed imitati e forse
pericolosi, su alcuni aspetti, come lo fu, secondo l’Alighieri, Chrétien de
Troyes con i suoi Lancillotto e Ginevra. Di per sé lo svenimento alla fine del
Canto del Poeta dimostra come l’equilibrio amore-passione e
razionale-irrazionale sia labile e il loro confine indefinito e indecifrabile,
cui nemmeno Dante, soprattutto in età giovanile, poté sottrarsi(3).
Ma esistono purtroppo anche
comportamenti inaccettabili tra amanti, meglio tra marito e moglie, ben
sottolineati dall’autore e del tutto condivisibili. Non so se Galante abbia
visto il film della Cortellesi “C’è ancora domani”, tanto giustamente celebrato.
Di sicuro, però, il modo in cui in questo racconto-saggio viene descritto il
rapporto uomo-donna è una chiara esaltazione di una unicità di legame
paritario, attraverso la gentilezza, la comprensione, la non sopraffazione
dell’uno sull’altra.
Nella seconda parte del testo,
l’autore si sofferma sulla valorizzazione di altre culture, di altri saperi, di
altri costumi. Ecco allora che da una prospettiva del singolo la visione
offerta da Galante ci riconduce alla collettività. Un tempo, sostiene, gli
emigranti eravamo noi italiani. Oggi noi siamo terra di immigrazione. Per
questo dobbiamo saper accettare il diverso da noi.
Dalla “comprensione” empatica verso
l’altro al discorso sulla guerra il passo è breve e naturale. La pace in fondo
è un problema d’amore.
Così il libro diventa un vade
mecum importante se non necessario da sistemare sul proprio comodino e
sfogliare prima di addormentarsi, per un confronto con se stessi o per puro
piacere intellettuale nella lettura di poesie e racconti come fossero favole o
parabole divertenti oltre che esplicative e didascaliche.
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1)
Exemplum: racconto veridico a scopo
didattico-religioso tipico della letteratura medievale, in cui il protagonista
alla fine raggiunge la salvezza dell’anima. Nel corso dei secoli assunse un
aspetto sempre più letterario, sino a confluire nella novella.
2)
“Quando leggemmo il disïato riso / esser basciato da
cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, // la bocca mi basciò
tutto tremante. / Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non
vi leggemmo avante”.
3)
Si veda a tal proposito “La vita nova” in cui
Dante tende a superare l’aspetto dolcestilnovista dell’amore cortese, portando
l’amore a più elevata essenza e facendo della donna il tramite per raggiungere
Dio.
Enea Biumi
martedì 5 marzo 2024
Lamberto Garzia “Live dealer” (Puntoacapo Editrice, 2024)
Croupier a vita inserito nelle interiezioni (intese come originate dal “gettare in mezzo”) estranianti per passaggi focalizzati in piani narrativi che si alternano e si intrecciano attraverso salti temporali e cromatismi linguistici imprevisti. Assalti di personaggi estromessi da una finalità determinata per condurre inestricabili mutamenti al suono di luoghi e tentazioni ludiche o carnali, nella ricorrente sonorità dei rimandi a quella letterarietà che sviluppa una vera e propria prosa creativa. E’ “Live dealer” di Lamberto Garzia, testo-mondo forse postmoderno ma per lo più pagine gravitanti intorno a luoghi distanti e quindi comparabili nell’accezione dell’apporto, come la Liguria e il Messico. Terre di confine alla evanescente possibilità di determinare ogni spazialità tracciabile in multilinguismo a preziosa conduzione letteraria, quale garanzia ricevuta nel ricorrente riferirsi a spunti di rigore stilistico come quello espresso da Tommaso Landolfi. L’avventura di Garzia è nel corsivo delle incursioni tipografiche stesse; nelle proponibili infatuazioni dei gesti autoriali, nello stesso Lamberto che si pone autore e personaggio innestato nella non trama, come espediente ciclico nel vissuto occhieggiare generi impavidi e sottolineature erotiche apertamente provocatorie, senza escludere rigori critici quando è ferita l’incisione di un muro che divide un confine, che preclude l’orientamento libero. E di libertà l’autore avvolge le pagine dove il linguaggio perturbante e intertestuale coniuga celati rimandi ed estensioni liminari, digressioni fruttuose e proposizioni filmiche. L’intreccio delle arti suona dal fervore ammiccante di uno Sterne all’encomio latinoamericano di un Puig o di un Bolano. Un infrascritto che si azzarda, nell’azzardo stesso del giocatore, a pretendere l’emanazione del “mutuus dissensus” perché il contratto di lettura accolga possibilità di ricezione anarchica ed eversiva. Ogni singolo passo del testo è tutto il testo e, nello stesso tempo, non è se non frammento di tessitura dirompente, certo astutamente ludica. Misura di inconciliabile pregnanza sollevata dal contesto di una marcatura ambivalente, a inneggiare l’eclatante alternarsi dei toni stilistici determinanti la costruzione del possibile, quasi inteso come opzione e dicitura di una lettura del mondo nella sua più estesa realtà interrogante. L’espressione già tratteggiata di Lamberto Garzia in questo testo personalizza il sé ma non intende forse mai richiamare l’asserzione riconoscibile, piuttosto alludere ad una incisione nelle pieghe del tessuto vivibile, comunque empirico, di una opzione sempre accertabile, se non del nostro limitato fare, almeno in una coincidenza dove vita e scrittura possano coniugare la peculiarità creativa dell’avventura e dove la scrittura stessa interceda a sorreggere l’inesausta apprensione del nostro desiderio, così costante stimolo e reiterata pena.
martedì 27 febbraio 2024
Angelo Manitta, Nel volto di Mirra, Il Convivio Editore, 2023
Rappresentare l’amore attraverso tutte le sue sfaccettature non è impresa facile. Tanto più se il racconto viene costruito in versi. Ciò evidentemente non ha spaventato Angelo Manitta che nel suo poema “Nel volto di Mirra” è riuscito a cogliere i vari gradi dell’amore trasportando il lettore in quel mondo sentimentale raccolto in personaggi mitologici e non, eroici o profani essi siano.
“L’amore
è un fiore / nato dal nulla e nel nulla dissolto, // rinverdisce le giovinezze
e smorza gli animi / nella vecchiaia inquieta, vissuta senza vita, / spenta
senza morte, per reggere sulla croce / l’esistenza fredda dell’ultima parola”.
Il poema ha come un
andamento di exemplum: un itinerario,
tra finzione e realtà, che occupa una miriade di situazioni, luoghi,
circostanze tra loro interagenti, animati e stimolati, sofferti e combattuti, immaginifici
e verosimili. Il tutto in nome e per conto dell’amore.
Si sa che l’exemplum
è un racconto veridico, tipico della letteratura medievale, a scopo
didattico-religioso in cui il protagonista alla fine raggiunge la salvezza
dell’anima. In questo poema rievocativo delle tragedie alfieriane gli exempla sintetizzano le più svariate
emozioni causate da storie e accadimenti inerenti l’amore stesso. Eroi ed
eroine affrontano il senso di vite tribolate, spesso contorte, sicuramente
illuminanti ed illuminate da ardite metafore atte a dare il la a considerazioni
e valutazioni che trasportano il lettore verso una analitica riflessione
sull’oggetto amore. La salvezza
dell’anima, contemplata negli exempla
medievali, in questo caso, è la catarsi che alla fine di ogni episodio, dopo
una delucidante e serrata dialettica, risulta essere la conoscenza del bene e
del male.
“Dalle rocce dell’anima” grazie alla “figura ieratica d’un poeta” che
“mescola la tragica verità con la vita” sgorga,
come una magia e quasi per intervento divino (“Marte dal rosso viso d’azalea”, “impavidi profili che Antares
ripercorre”, “nostalgie d’infanzie, curve soglie di mistiche gelosie”), una “eterna simbiosi” tra l’autore e il
poeta che ha suscitato queste emozioni e che ha fatto rivivere episodi e personaggi in
una unità di sentire. Si scoprirà in
seguito che il poeta influente è Vittorio Alfieri e lo sviluppo dei temi
amorosi è la sequenza delle sue tragedie sulle quali emergerà il dramma di
Mirra.
Prima ancora della
rievocazione delle tragedie alfieriane, tuttavia, Angelo Manitta si sofferma
sugli amori dell’Alfieri stesso: il primo, giovanile e folle, con Penelope Pitt (“La donna, dal manto di grano, appare /
fugace baccante tra le braccia d’uno stalliere”); il secondo, non meno
tumultuoso ma più duraturo, con la contessa d’Albany (“La trasparente figura d’Emmanuelle d’Albany / distrasse i miei occhi”).
Dopo la descrizione
delle due donne che hanno trascinato con sé il cuore del grande astigiano,
rivediamo Merope e la accogliamo tra le sue dubbiose riflessioni, “eternamente infelice (…) donna-oggetto,
baratto / di sensualità, soprammobile abusato, / consumato da voglie malsane, /
gettato nel letamaio d’una cloaca (…)”. Lo sguardo dell’autore poi si posa
su Ottavia “che muore / tra fiamme
inviperite d’una Roma incendiata”. Allo stesso modo si consuma la vita di
Romilda, vittima d’una gelosia inconsulta, mentre “il vate impietrito si contrappose ai miei occhi” prosegue Angelo
Manitta “Le sue immagini creaturali
diventarono mie. / Una simbiotica osmosi fuse le emozioni”.
Il poema, ora, giunge al
culmine dell’ispirazione trattando il dramma di Mirra. Inutile sottolineare come
l’osmosi letteraria prosegua in un susseguirsi di immagini, riflessioni,
metafore che coinvolgono l’emotività del lettore. Citerò solo alcuni punti che
più mi hanno affascinato, rimandando il lettore alla scoperta di tutto il
poema.
Sentite la delicatezza
amorosa di questo passo in cui il padre, Ciniro, pensa e trasfigura l’immagine
della figlia: “Il tuo volto di luna è
sorto / ad oriente e il mio tenero cuore / luce imperlata di tristezza /evasa
in arabeschi di libertà, // sussulta come un bambino danzante, / sorregge i
tuoi occhi di perle, / incendia il mio senile tormento”. Oppure ammirate
quegli spazi che Manitta dedica ai simboli e alle metafore come questi versi
emblematici e che danno ulteriore vivacità al poema: “L’estate sorride a farfalle / esuberanti di luce e d’amore / sui rami
inclinati dal vento, // sul volo delle rondini migranti. / I fiori occulti cercano
/ ardore di tombe. Vinceremo / il mare e le tempeste // per sfondare i battelli
delle notti, inerpicarci a ruvidi orizzonti, / arrotare l’acqua coi coltelli /
e spegnerci nel fragore delle onde”, dove si delineano sentimenti
contrastanti d’amore, di morte, di tradimenti, di travagli, di sogni e
speranze.
Insomma, si sovrappone in
questo itinerario d’amore una miriade di impressioni che ora sembrano tempeste,
ora dolce quiete. E le parole di Manitta diventano quelle dell’Alfieri, e
quelle dell’Alfieri amplificano le parole di Mirra e di Ciniro, e la natura fa
da sfondo e controcanto ad un dramma che diventa perpetuandosi eterno. Così che
alla fine “i sensi si smarriscono tra le
rughe degli anni, / rapide gocce di miele cospargono, / come lagrime amare
d’una amata mirra, / il volto del vate che, statua di marmo, / accoglie,
insensibile, venti e tempeste”. Ecco, allora, come il titolo stesso del
poema viene di fatto recuperato. Nel volto di Mirra effettivamente vengono a
specchiarsi Alfieri, i suoi drammi e, aspetto non del tutto scontato, anche
Angelo Manitta.
Un ultimo e non meno
importante commento va fatto a proposito della struttura del poema. I versi,
come viene indicato dall’autore stesso, apparentemente sembrano liberi. Sono
invece quadrimetri, cioè con quattro arsi principali e quattro parole portatrici
di significato, oppure trimetri, vale a dire con tre arsi principali. Si tratta
di una particolare forma che vuole evidenziare metrica e musicalità della
poesia attraverso il recupero della parola chiave contenuta nel singolo verso. Alla
fine di una accurata analisi attraverso esemplificazioni esaustive a supporto
di quanto esplicitato sopra, Manitta sottolinea che “il lettore che si avventura nella lettura di questo poema, si troverà
come in una foresta, rimarrà spaesato di fronte ad una poesia che esce fuori
dagli schemi tradizionali e da un consolidato sistema letterario. Ma
probabilmente, scoperta la chiave di lettura, si avventurerà con delizia,
oppure poserà il libro sul tavolo per sempre.”
Enea Biumi
mercoledì 21 febbraio 2024
LA POETICA DI PROSPERO E VALERIO CASCINI COLMA DI LUCANITA’, RACCOGLIMENTO E SILENZIO
Pino loricato di Valerio come sincero attaccamento…
Coto..ru lambo/cenner nu mi fazzo/ storto e malorto/ risisto….. a fa cumbagnia a le frat/.
La Lucanità dei Cascini è lieve, delicata, che si nutre di rimpianti, di raccoglimento e silenzio partendo dal microcosmo di Castelsaraceno. Uno schiaffo di Lucanità, rimestata nel profondo, che attinge ai moti dell’anima. Una lucanità che si trasforma in emozioni forti, che lasciano un retrogusto di malinconia, di silenzio e di pace. I due poeti, pur nella loro diversità: Prospero, un cultore della parola per una poesia filosofica, Valerio un cultore dell’immagine e dell’espressione poetica esprimono all’unisono la coralità degli anfratti che hanno vissuto con le luci e le oscurità del loro tempo.
L'ANIMA nella Poesia di Prospero Cascini fotografata attraverso la PROPRIA, a cura di Salvatore Monetti
La poesia, in molte delle sue forme, è molto più di un semplice esercizio linguistico o di un passatempo estetico. Essa è da meditazione. ...
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I cugini Prospero e Valerio Cascini, nati a Castelsaraceno (PZ) nel 1951 hanno frequentato la primina e le scuole elementari insieme, poi Va...
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L'unicità della Lucania: un approccio fotografico e poetico sarà presentato al Salone del Libro di Torino dagli autori Prospero Casci...
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A POTENZA, presso il liceo musicale, il 30 Aprile la SILLOGE nel presentarsi ha aggiunto alla POESIA e alla Fotografia tanta MUSICA: DUO F...