mercoledì 2 luglio 2025

Alberto Mori “Luce solida” (Fara Editore, 2025)

 



Un “solido morbido”, una sinestesia fluttuante già si realizza nella bella immagine di copertina, anch’essa opera dell’autore, del libro “Luce solida”. E il poeta performer ed artista è Alberto Mori che ci offre una prova ulteriore del suo percorso di attento osservatore dei particolari nella loro “oggettualità”. Qui si erge nella sua disciplina di dato il rimando a cui tendere da ciò che appare, dalle forme che abitano e scolpiscono i tratti della materia, attraverso un ricorso peculiare che incide nella trasformazione del segno o, meglio, alla sua rivisitazione: “La cesura finisce/ Energia come misura/ Flusso fra sponde accese”. Eco d’origine nella percezione di accorpamenti e velature significanti da filtrare attraverso una pratica che, nella prima parte del libro, adotta componimenti brevi di tre o quattro versi dove gli stessi si essenzializzano in una concentrazione estrema di sfumature solo accennate: “Nulla del giorno/ Vastità indetta/ Semi delle ore”. Cammini non necessariamente in sintonia con un contesto complesso e imprevedibile che caratterizza la nostra attualità e costringe ad una auspicabile presa d’atto che non sia solo cedimento a derive o approdi provvisori e afoni. Lo sguardo di Mori tende a percussioni riprodotte a ibridazioni tempistiche, così “Ombre defilate in fasce oscure/ Confini dissolti in limini chiari”. La seconda parte di “Luce solida” avvia un esito graficamente debitore all’architettura visuale di certo futurismo, non escludendo tensioni neodadaiste, così come contusioni nella tracciata interiezione possibile, colma di cenni alla tracciabilità di uno spartito fonetico. Difformità di caratteri e tratti d’interpunzione abitano la pagina nella dislocazione sillabica di fortissimo impatto visivo. Schema a supporto di tessuto sia vocalico che consonantico nelle modalità che intersecano mappature oltre accenni di schema direzionale irregolare, nei trattini e in direzioni verticali, orizzontali, diagonali. Poi Alberto Mori ritorna all’essenzialità del vocabolo e della interiezione reiterata e riprodotta in tonalità linguistica simbolicamente acuita dalla “lettera segnale”: “E Tempo/ Poco A Poco Tenta/ Trasale/ Risveglia”. Ma ancora non tutto è detto quando l’autore prosegue il percorso in modo inaspettato e sorprendente ponendo a chiusura una sezione in cui le poesie sviluppano una lunghezza in versificazione verticale, focalizzata su esito descrittivo intonato ai cromatismi urbani e temporalmente distribuiti nel susseguirsi delle fasi diurne e notturne; “Nessuna ombra rimane/ Dilegua apparenza degli oggetti/ Sogni della polvere assente/ Rumori vuoti d’attesa”. In questa sezione conclusiva ogni testo inizia con lo stesso verso, esprimendo un intento anaforico e confermando poi una nota sinestetica portata a caratterizzare l’opera: “La notte buia vede”.

                                                                                      Andrea Rompianesi




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