Tentare
la possibilità di porre iati all’interno di un flusso che è quello del tempo.
Arduo compito nella fascinazione delle cose che fuggono e che tornano, quando
la domanda esistenziale si avvale di una osservazione inquieta, critica, ma
anche tesa verso una necessità di significazione pur problematica. Siamo tra le
pagine donate da Gilberto Isella nell’esito poetico “Divaricando l’attimo”.
Espressione in divenire tra immanenze tecnologiche dell’oggi e virate anelanti
la trascendenza in una osservazione che si fa eco di tono metafisico: “mente
d’astro subitanea irrompe/ salomonici sigilli scuote e disorienta/ boschi
araldici dall’etere asporta/ e alla terra in sequenze li affida”. Adattamento
di versi in strofe segnate da compressione di passaggi che ornano una domanda
ancestrale, una identità tracciata da tessere congiunte e collegate nelle
figure messaggere di segnali da interpretare, dove il rischio dell’oblio
comporta la giuntura imprevista, l’intervallo quale tregua da un passato che
incalza in ciò che assurge a possibile intervento, a concessa correzione. Il
mistero comunque incarna la più sottile trasparenza del visibile che Isella
analizza alla luce della peculiarità espressiva in sintagmi di diversa estensione
ma sempre attinenti ad una complessa “solidità concettuale” che coniuga
l’alternativa in espressione affiancante e integrativa. Così insorgono specificità quantistiche deviate in teoremi estendibili, in nature ostiche,
quando “si aggrappa a fessure di muro/ ode nenie erbose dapprima/ pistilli stami
sottilissime/ fibre da brezza cullate”. Ma insorgono anche tonfi e croste, gemiti e
afasie, qualora un precipizio sia esposto ad indole di caduta, necessità di
reinterpretazione attraverso coniuganti osservazioni naturalizzate in pensieri
che il poeta scolpisce nelle partiture assimilanti la divaricazione come
tecnica scultorea tra pianificazione della parola indicante l’enigma, così come
la materia in attesa di percepire la sua forma in “strapiombi mentali”.
Gilberto Isella è cultore di parola poetica in pensiero e spirito, attraverso
l’uso del vocabolo corposo in una “geometria refrattaria”; cogliamo spunti di
citazioni che coinvolgono Emily Dickinson come Eugenio Montale, Fernando Pessoa
come Gabriele D’Annunzio, Valerio Magrelli e Camillo Sbarbaro, Dostoevskij e Mc
Carthy...rimandi letterari che nutrono la contemporaneità stessa della ricerca
nel suo intreccio espressivo tra le soglie e i passaggi di quell’andare che è
domanda costitutiva e antropologica. Il verso elegante dell’autore ridisegna i
confini di una partitura incurante del pericolo rappresentato da una
concettualizzazione che qui riesce a farsi suono significante, dettatura
accogliente le fasi del mistero e della cura, come l’espediente linguistico mai
gratuito che richiama l’osservazione fonetica sul particolare rivelante.
Brevissime, le poesie della seconda parte, si accentrano nello spazio della
pagina connotando l’applicazione a stelo dove “l’umile disco della vita/
coinciderà/ con la parola cosmica/ la non detta/ ancora”; come la divergenza delle
forme concede l’intarsio e la sosta, l’avveduta comparsa degli elementi
tracciati e dischiusi all’osservante coincidenza di segnale e risposta. E’ una
fluente meditazione sull’attimo che imprime ai versi l’attenzione in varchi e
colori, squarci e amnesie, tendendo poi al passaggio verso ulteriori
espressioni pensanti; “lì il muschio posa le tinte/ dei propri umori alogeni/
scontando le vertigini/ di chi l’ha calcato”, oltre il ritorno sillabico
interno nella tramatura di suono e ritmo per cogliere la precisione del passo
cronologico che assiste al tono possibile. Gilberto Isella deterge la pagina
tra viali e tetti, albe e venti, silenzi e petali, onde e pause; le voci
veicolano sussurri dagli interstizi, portando la complessità minimale dei
particolari su destrezze linguistiche di elegante efficacia: “angolo giro che
ruota/ intorno a breviari d’acqua/ terre rare e tormenti/ candele ignifughe e
tare/ su pietre che accerchiano/ passioni mai sgravate”. C’è un tentare,
comunque, un vedere risalire le cose verso un accenno di chiarore; formula che
riporta le poesie ad ordine verticale d’inizio verso, quasi a riprendere il
filo del tracciato tra le polarità della materia stessa affrontata nel suo
essere, posta nell’ottica di una manipolazione che oggi si avvale della
dirompente frenesia tecnologica per poi addossarsi ad una variazione grafica
che allude a tensioni ulteriori ed opposte, perfino a richiami omerici. Certo,
un intervento sarebbe quanto mai urgente per condurre verso la possibilità di
cogliere tra gli spazi dilatati l’insieme dei ponteggi da noi costruiti nella
ricerca incessante di riferimenti per risolvere almeno il moto iniziale della
scrittura, il suo compito primario: “quadro da raddrizzare, chiodo/ estorto a
un singhiozzo/ sfacciata obliquità”. Di ogni divaricamento si coglie quindi il
tratto che manca, la sonora esclusione che conduce però non alla resa ma a
quello spostamento della prospettiva che riporta alla cura, alla progettualità
poietica esigente l’attesa di una memoria riavvolta e recuperata come preludio
e scommessa, come evento che può raggiungere perfino la vetta mistica. Infatti
l’ultima sezione evoca la figura di Ildegarda di Bingen, riferendosi al suo
“Libro delle opere divine” nel conforto delle osservazioni e delle allegorie;
“ma tu/ il suono giusto implora/ il suono/ non lo stridere eterno di un
dubbio”. Il cromatismo è incisione verso un’apertura alta e ambita, in un passo
che solca le asperità terrigne ma accosta poi moti che non escludono effluvi
d’estasi: “io scosto garofani di fango/ giro la lancia/ guardo nel biondo
divario/ delle trine”. Gilberto Isella compie uno sviluppo costante che supera
cicli e rimandi, ponendo segnali svelanti limiti esistenziali ma anche
prospettive possibili, in citazioni ad esergo; giungendo a quell’ “incespicare
nei dislivelli/ brumosi del colle” che coinvolge Leopardi.
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mercoledì 1 ottobre 2025
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Gilberto Isella “Divaricando l’attimo” (Book Editore, 2025)
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