Un lessico familiare unico in otto racconti, che nasce anche
in un unico luogo: il Rodano quando giunge a perdersi nell’umidore della
Camargue. Da un traghetto che lo attraversa, con l’acqua a bagnare le scarpe e
il vento a trascurare il bucato steso tra i pini di mare, il libro ha inizio.
Si tratta di “Passaggio sul Rodano”, opera in prosa di Michele Toniolo,
particolarissimo autore nonché fondatore di Amos Edizioni. Nello sviluppo di
narrazione si evidenziano elementi nitidi che confermano una sequenza o successione
di oggetti e movimenti che sembrano evocare un passato testimone di fatti
intrisi di silenzio. Il ritmo è quello della successione scandita da frasi
brevi, frutto di paziente cesellatura. Aleggia, già dalle prime pagine, il
senso di una inquietudine; la consapevolezza che qualcosa di drammatico è
avvenuto, inesorabilmente, incidendo nell’animo degli interpreti. Si accalcano i
particolari che determinano la scena e acquisiscono la simbolica appartenenza
all’evento mentre “corde di nuvole tirano il cielo verso la notte”. Sembra di
percepire i tratti di un quadro da cui emergono figure con la consistenza dei
lemuri, case abbandonate, un traghetto affondato. Nel testo che sviluppa una
danza, essa si fa memoria della caduta di una madre che sa esattamente dove il
segno e la linea dello sguardo devono indicare l’unica opzione di ripresa che
non può essere altro se non la presenza del figlio. Un filo conduttore si
sviluppa partecipe nella prosa di Toniolo, tale da riemergere nelle conduzioni
che echeggiano in non detto, tutto ciò che viene fatto soltanto intuire come
nelle alcune parole dedicate ad Alice. Anche qui, predominante, s’innalza il
rapporto tra madre e figlio, ma in una esperienza di dolore nella quale la
domanda di senso interroga le modalità della morte. Una memoria ferita che
titola le profonde vicende e più drammatiche con segnali esposti dalle stagioni
e dagli eventi di natura. Ci sono parole importanti che fluttuano al passaggio
delle frasi: delitto, debolezza, respiro; e poi grazia, croce, amore. Un
principio svelante emerge nitido: non c’è azione più grande di chi sa restare.
Se un figlio accoglie la morte, scrive Michele Toniolo, nella morte vi entra
lasciandosi stringere dalla madre. Questo è amare; questa è la croce. E la
madre, tenendo stretto suo figlio, ha stretto anche Dio. Un processo di
scrittura conduce a levigare le sfumature materiche suscitate dalla tessitura
rivelando nervature più profonde, che chiamano alla veglia, all’esegesi
filtrata attraverso un’ ermeneutica contemplativa. Un incedere che rivela anche
un ulteriore rapporto: quello del figlio e del padre; di quando ciò ammette il
riconoscere una ennesima apertura all’amore. Il testo si sofferma poi sulle
radici di una narrazione originaria. E qui Toniolo opportunamente evoca, nel
senso espresso da Kafka, l’evidenza della parola giusta che conduce, e di
quella non giusta, forse piuttosto esatta, che seduce. I legami sono
costitutivi di relazioni attinenti alla vita e alla morte, nella consistenza di
un durevole approccio che evidenzia nella scrittura letteraria l’ostinazione di
senso, la ricerca di senso, in un’accezione sostanzialmente teologica, intesa
non specificamente come anagogica. Allora le parole possono stare nella soglia
tra la vita e la morte, tra la verità di una cosa e la cosa stessa, forse tra
l’essere di un ente e l’ente stesso: la soglia che costituisce la rivelazione
creativa. Esondano agnizioni che portano a riferimenti di abissi in cui il
totale accedere convoca partecipazioni ancestrali, determinazioni maieutiche,
figure come quella di Abramo, il cavaliere della fede che annulla il timore
della disperazione, della malattia mortale, nell’espressione voluta da
Kierkegaard. Qui, però, il segno è affidato all’accenno della singola
individualità che si ritrova a contenere il confronto con il mistero e il suo
richiamo; il suo inesorabile porsi, la traccia gravosa della solitudine che ci
fa ostinati ma che, nello stesso tempo, ci coinvolge nella seduzione della
presenza. E a questo punto non si può evitare di sentire un riferimento
costruttivo che ci riporta alla mente proprio quella dottrina heideggeriana
dell’arte come messa in opera della verità, nella valutazione di un approccio
che coinvolge un “accadere” di aperture storiche e linguistiche in cui, come in
anni ormai lontani aveva sottolineato Vattimo, ogni conformità e verifica
diventano possibili. Ma oltre la fondazione, l’opera è sfondamento. Anche se,
per chi scrive questa nota, il senso di questo sfondamento si allontana dalla
interpretazione citata, e acquisisce una valenza più propriamente e
necessariamente metafisica; così come anche la poesia può determinarsi come
poesia dell’essere. Scriveva Goethe, pur ammettendo tutte le sfumature anche
contraddittorie che hanno caratterizzato le sue espressioni: “l’uomo quando è
commosso sente profondamente ciò che è infinito”. Appare forte il senso della
perdita dei ruoli più intimi e l’accostarsi alla testimonianza di chi rimane a
raccontare un dolore che è separazione e ricongiunzione nello stesso tempo ma
sotto un diverso aspetto; ben al di là di un teatro dolente, come viene
tratteggiato in un andare “tra ciottoli d’ombra tra i cipressi”. Così
s’intrecciano stimoli che esorcizzano una storia con un’altra, come da titolo
di una prosa che evoca la torre di Holderlin o la prigione di Bonhoeffer. Notti
e fughe negli spazi tra fiume e vento, nei tanti modi che accompagnano al
congedo. Conclude il libro una postfazione o, meglio, un vero e proprio breve
saggio di Arnaldo Colasanti che evidenzia la natura di una prosa esprimente
l’iterazione, una sorta di soluzione che affronta e supera il tonalismo
paratattico, sfumature capaci di ricordarci le suggestioni di un autore come
Peter Handke. Notando però, da parte di chi scrive queste osservazioni, che, in
realtà, non sussiste contraddizione tra metafisica e concretezza. Proprio
perché la metafisica stessa, essendo discorso sull’essere, affronta tutto ciò
che essendo, proprio perché è, non può non essere anche concreto, in una
peculiarità che comunque certo non esclude le distinzioni ontologiche, ma le
amplia. Così come concreti e tangibili sono il dolore e il farsi prossimo, temi
sostanziali dell’opera di Michele Toniolo, esito di grande maturità letteraria.
Andrea
Rompianesi
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