C’è
sempre nell’opera di Andrea Rompianesi, sia in prosa che in poesia, un elemento
filosofico che lo contraddistingue. In questa nuova silloge l’autore si cimenta
apparentemente con fotogrammi come da film d’essai, ma al di là delle
immagini emerge chiaramente una diagnosi, ora estremamente realistica, ora
ironica, ora sarcastica, ora sentimentale, che richiama, in maniera più o meno
esplicita, quello che Heidegger in Essere e Tempo affermava: il bisogno
ontologico di ricercare la natura costitutiva degli oggetti a partire dal
soggetto. Lo stesso Husserl aveva indagato la soggettività in relazione agli
oggetti. Non a caso in una nota finale, che non va sottovalutata, l’autore
rivela che “l’ambientazione di questo testo ha trovato i caratteri nel dato
autobiografico, nel completo coinvolgimento d’autore. La costa di ponente è
quella ligure di Diano Marina, vicino ad Imperia, con una particolare
attenzione alla località di Sant’Anna dove si trova l’Hotel Arc en Ciel, dimora
di passate soste nel periodo dal 2002 al 2014.”
Ciò
che sta a significare questa postilla, estremamente personalistica, permette, a
mio avviso, di ricostruire una lettura che va al di là dell’esperienza
soggettiva di una vacanza sulla costa di ponente. L’aver insistito e
sottolineato, si può dire con nome e cognome, costa ligure, Imperia, Diano
Marina, località Sant’Anna, Hotel Arc en Ciel, periodo dal 2002 al 2014, mira
a spostare l’accento dagli avvenimenti e dalle cose, come, in artiglieria, avviene
con l’uso del falso scopo: inquadro un campanile, ad esempio, ma non sparerò su
di esso, il campanile è semplice punto di riferimento.
Ecco
allora che gli oggetti si materializzano nel soggetto, lo scrittore, il quale
diventa per ciò stesso mezzo importante e tramite di riflessioni e speculazioni
attorno a ciò che la vita impone e oppone. Già nella prima pagina il percorso
sembra ormai tracciato. Ci sono segni evidenti di aspettativa e di novità.
“Il
buio della notte è leggero, impalpabile, atteso ed aperto alla consolazione del
mare immobile.” Il buio rappresenta l’animo dell’autore
che attende risposte da chi, come il mare, rimane apparentemente immobile. Ed è
solo l’inizio. Nel prosieguo il “particulare” continua ad inseguire lo
scrittore come un’ombra: lo slargo, il parcheggio, le case, i corpi
seminudi, gli scalini, la spiaggia, le tazzine, i bicchieri e via dicendo. Il
tutto, poi, impone un viaggio a ritroso nel tempo e costringe a ripassare il
passato e a ripensarlo. “Penso ai tanti viaggi compiuti in passato; a come
il movimento sia stato adeguata necessità di una natura ipercinetica, ma anche
interessata a toccare fisicamente ciò che diciamo altro.”
La
costa di ponente assume quindi, sotto un certo aspetto, il valore e
l’importanza che per Proust ebbe la sua madeleine. Non dimentichiamoci
che in una silloge precedente di poesia Rompianesi ha pubblicato proprio un
volume dal titolo “Metrò Madeleine”.
In
tal modo il viaggio nel passato rappresenta un momento di autoanalisi, essendo
il viaggio, da sempre, un topos della letteratura che serve ad
approfondire non solo se stessi, sibbene il mondo che ci circonda. La
riflessione porta dunque alla conoscenza, riscopre quella parte di noi che non
sempre emerge, chiarifica scelte ed abitudini tanto che ci addentriamo sempre
di più in quell’impalpabile groviglio filosofico necessario per ripartire il
giorno dopo, magari con gli stessi gesti, le stesse volontà, gli stessi errori,
ma più consapevoli.
Sotto
quest’ottica l’introspezione coglie necessariamente ciò che sta più a cuore
all’autore: la filosofia. “Una credenza popolare ritiene che la filosofia
sia disciplina astratta; niente di più lontano dal vero. La filosofia è di una
concretezza assoluta… non solo gli enti, le cose, sono… ma l’essere
stesso, in quanto tale, è.” E per dimostrarlo l’autore fa sì che,
immediatamente, il pensiero divenga oggetto che, momentaneamente, si incarna in
una madre bionda, di una magrezza anoressica, che scende da una vettura
rossa accompagnata da tre bambini tanto identici da sembrare cloni. Più
tardi gli oggetti saranno la bicicletta, i chioschi con pareti rugginose, un
bar, il piccolo market, un complesso alberghiero.
La
realtà, il concreto, l’oggetto: tutti elementi riconducibili ad una filosofia
dell’essere e che diventano altrettanti simboli di un’esistenza meditata: una
specie di correlativo oggettivo montaliano che si traduce in una molteplicità
di slide o fotogrammi su cui posare lo sguardo critico e imparziale,
vista l’estrema soggettività dell’esperienza. “Il cielo terso conduce a
rinnovare le immagini di altri luoghi, rivisitati, forse reinterpretati anche,
come vere sequenze.”
L’insistenza
con la quale Rompianesi propone la visione del paesaggio circostante impone
comunque una meditazione, che ipso facto, diventa confessione. “Confesso…
sì, voglio confessarmi” e nella confessione una preghiera: “Non sappiamo
né il giorno né l’ora… dunque dobbiamo stare pronti, con le lucerne accese.” La fede dell’autore si consolida mentre
prosegue il cammino e “l’attenzione elude la morte; ma quest’ultima non è
che una puntura di spillo, talmente rapida da trasformarsi in sollievo.”
In
questa disanima in cui prevale l’argomento ontologico, cosmologico,
teleologico, si inserisce un elemento da non sottovalutare, ancorché in
secondo piano rispetto al resto: l’attenzione linguistica, dimostrata dal
fatto, ad esempio, di scrivere vólto per indirizzare immediatamente il
lettore ad una giusta ortoepia, o di scrivere spazî, con l’accento
circonflesso, per evidenziarne il plurale, e soprattutto il voler stigmatizzare,
in una specie di diascopia, il vizio tipico italiano di utilizzare vocaboli
stranieri (in prevalenza inglesi) per cui “siamo diventati, da tempo,
vittime felici di un colonialismo linguistico approssimativo e insopportabile.”
Per questo, ironicamente, lo scrittore conclude affermando di voler approfondire
lo studio dell’inglese solo “quando la maggioranza degli inglesi si
impegnerà in una acquisizione approfondita dell’italiano.”
Tanti
sono i momenti di ripensamento, tante sono le occasioni che attraversano la
vita apparentemente oziosa o da spiaggia, come si suol dire, presenti in queste
pagine che offrono al lettore emozioni poetiche e ragionamenti filosofici.
Siamo di fronte ad un lavoro di sintesi in cui la poesia diventa prosa e la
prosa si fa poesia. Ed alla fine, come in una pellicola, le numerose tracce che
l’autore ci propone ci permettono un’analisi del presente, o per lo meno, il
tentativo di analizzare e ripensare l’esistenza in un raffronto confronto con
le immagini e le riflessioni qui esposte.
“Allora
ci sarà, forse, in qualche piccolo anfratto delle nostre definizioni,
categorie, speculazioni, sillogismi, il tenace tempo noetico che, compiendosi,
assolverà il presente per farsi comunione; ci sarà, infine o all’inizio, la
piena coincidenza di essenza e di esistenza.”
E quasi a sviluppare un trait-d’union, come fosse
una legatura musicale, tra la prima ed ultima pagina, in pieno stile e
riconoscimento cinematografico, con una vena sottilmente ironica, ecco apparire
una sagoma umana, un uomo, un amico, sempre più somigliante a Jack Nicholson
(…) ancora più somigliante a Jack Nicholson.
Enea Biumi
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