lunedì 20 maggio 2024

Enea Biumi "Visighéri da vùus - Confusioni di voci", Genesi Editrice, Torino, 2024

 




“Magia del linguaggio attraverso le visioni surreali e astratte della lingua dei poeti” di Enea Biumi

“Visighéri da vùus. Confusioni di voci” è una raccolta di poesie di Enea Biumi, pseudonimo di Giuliano Mangano, edita da Genesi, Torino 2024, risultata vincitrice al premio “I Murazzi per l’inedito 2024 (Primo premio assoluto di Poesia)”. La motivazione di giuria parla di un viaggio: il primo nella memoria, il secondo «… è un viaggio in differenti luoghi, in direzione d’Oriente, culla della civiltà mediterranea, ma contaminato con il presente di Agatha Christie sull’Orient-Express, per arrivare fino ad Istanbul, poi Cipro e Nicosia, mezza turca e mezza greca, in uno sfavillio di percorsi immaginari e di annotazioni da turista fai da te». La poesia è viaggio: il viaggio di Ulisse, il viaggio di Enea, il viaggio di Dante. Come annota Sandro Gros-Pietro nella prefazione: «La confusione delle voci è sempre considerata come La Voce per antonomasia, perché già per i Latini valeva il proverbio vox populi, vox Dei». Le leibniziane petits perceptions ci permettono di cogliere il Sublime, cioè l’Assoluto: esse est percipi. E poi soprattutto il vernacolo, il dialetto nasconde una sapienza arcana, orale che si traduce sempre in termini poetici o, meglio, “poematici”. Lì s’asconde quella “antiquissima Italorum sapientia”, lì quello Omero collettivo: il cieco è colui che vede l’altro mondo, ha accesso al mondo divino. Il poeta è, come diceva Turoldo, profeta. Enea mi fa ricordare il mio conterraneo Albino Pierro: «Mò penze ca si spìccete stu chiante/ rumagne schitte iè e lu campisante». Se finisce il canto (della poesia), non ci resta che la morte. Il canto dei poeti era equiparato da Albino al pianto delle prefiche. Io ho assistito da bambino ai loro canti, simili a nenie per far dormire i “pargoletti infanti” di Ariosto. La poesia canta la vita, la poesia canta la morte. Poesia è la ninna nanna. Poesie snodavano i cantastorie. C’era una correlazione felicissima tra vita e morte, tra vecchi e bambini, una “corrispondenza d’amorosi sensi”. In “Sfulcitt” (2022), Enea parla della poesia/vita: «La vàrdi vugà via/ tutt a un bòtt/ senza paròll,». «La guardo volar via/ improvvisamente/ senza parole». Il “carpe diem”: «Chi vuole esser lieto, sia, / di doman non c’è certezza».

Visighéri da vùus
Ma crüzian ul cò
‘me barabitt dra Madòna du Munt

(Confusioni di voci/ mi tormentano la testa/ come briganti della Madonna del Monte).

Non sapevo che anche al Nord ci fossero i briganti: vedete come si somigliano Sud e Nord! Le voci dei briganti spaventavano i pastori nei boschi, le vergini che si recavano al fiume a lavare i panni ed a lavarsi, con ceste di robe sui capi. Il brigante, nell’iconografia dell’inconscio collettivo, rappresenta una figura ancestrale avversa. Sono le voci demoniache dell’Es di Groddeck e di Freud: voci dall’inferno.

Me végnan giò vùus senza rasùn
Dumà a vardà föra dul scür
Cul mund ca’l va sòtt sùra

(Mi raggiungono voci senza ragione/ solo a guardar fuori della finestra/ con il mondo che va sotto sopra).

Sono voci irrazionali che esprimono il forte disaccordo tra il “fanciullino”, il Peter Pan che è sempre in noi e l’adulto. Il poeta, affacciato alla finestra, vede un mondo sconvolto. Già l’affacciarsi alla finestra oggi è diventato uno stare ore e ore al cellulare. Eppure, i proverbi antichi dei nostri paesi sperduti dicevano: «La vita è un’affacciata di balcone». Io ricordo quando nei vicinati la gente si parlava dai balconi. Che bello! E ricordo che raccontavano di una vecchietta la quale, recatasi a votare alle elezioni, diceva: «U munnu s’è vutatu cap cha sotta e he votu pù cappera che vi fotta». In dialetto è un’altra cosa. Il vernacolo conserva sempre un’espressività ed una genuinità che il linguaggio corrente ha perso, con espressioni neo-futuristiche (+ x). Questa raccolta di Enea è bellissima: il poeta non si smentisce. La prima parte è un viaggio nei “topoi” dell’anima, la seconda è un viaggio verso oriente, con le sue tappe. L’oriente è la culla del Sole, della luce, della civiltà. L’occidente fin dall’antichità, rappresentava il paese dei morti: «… l’occaso… pien di voli». L’occidente è il luogo del “tramonto”. In questa “psicografia”, in questa topica poetica dell’anima, cogliamo finemente l’interiore e l’esteriore che s’abbracciano.

Vincenzo Capodiferro

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