lunedì 27 maggio 2024

Mauro Germani “Prima del sempre” (Puntoacapo Editrice, 2024)


 

E’ un aprirsi in natura di poemetti in prosa o, come nell’accezione meno da ossimoro, una serie di brani in prosa poetica che esalta l’opportunità della ricezione dell’ascolto contratto in un testimoniare la presenza quando si assesta grafia in piano. Scriviamo di “Prima del sempre”, opera antologica di Mauro Germani, sviluppata su un lungo arco temporale che va dal 1995 al 2022. Ombre e parole, sedimenti filtrati nell’accorto condurre ad un passo dalla voce emersa da spalti in fiamme dove si salva “la cera che è stata infanzia e perdono”, ponendosi nella prospettiva che coglie “e sa il desiderio delle vette, dei nomi dispersi”. Il poeta sviluppa elencazione in ciò che promette riparo ma non ostacola la presa d’atto, tra parole inaudite, luci bagnate, cieli riconoscibili prima dell’evento albale. Sembra di percepire sussurri di voci, rintocchi, alla luce di rugiade invernali. Strade e macchie, veglie e partenze, sogni e rovine. Ma l’elemento decisivo che forse Germani esprime o tenta di interpretare è quell’indicibile che costituisce il mistero della nostra stessa condizione e che ci conduce alla consapevolezza di una poesia che è domanda. Nell’autore il senso della condivisione e compassione è integro, maturo, coerente con le tracce dei riattati strumenti necessariamente riprodotti e temprati dalla determinazione sintattica, calibrata su di un equilibrio contenuto. “Sono i poveri, le parole saltate. Piangono la stessa agonia, il grido strappato agli ulivi”; un dire che si veste d’intuizione civile, di prospettiva sensibile alle urgenze etiche. Così è l’attenzione rivolta agli affetti più forti, alcuni perduti in senso fisico ma trattenuti nella relazione spirituale che emerge oltre le cose, in attimi vissuti nei loro mutamenti, in una vocalità di metafisica concreta, pensando a Florenskij. “E una pace sembra scendere di lato, spiare dalle chiome invisibili...”, attirare le possibili alternative che si vestono di nostalgie ma anche di attese, scenari incisi là dove il pensiero rimanda alla consistenza dei quesiti irrisolti, alla caratterizzazione dell’esteso tratto insorto dopo riti e diluvi, nella espressiva capacità di rivederci “come saremo ancora bambini nella luce alta di giugno, insieme per sempre, nell’attimo preciso del vento”. Per Mauro Germani è determinante cogliere l’afflato spirituale in un confronto serrato con le cadute, le depresse scomposizioni dei pulviscoli attinenti alle maree, incalzati dalla brevità dell’asserto prosastico inciso nella gravità della pagina, in un tendere quasi ad esito escatologico. Dalla sezione “Livorno”, città d’origine della madre, la poesia assume l’impianto proprio della versificazione attraverso uno spezzare i tempi su modalità contratte, dicibile in una comparsa di lessico limato in sequenza...”ma d’improvviso/ un vento si alza/ ed è sogno, terra/ appena di luce/ appena di vita// prima dell’onda”. Scorrono poi, nella ricerca dell’autore, bellezze e frantumi, lumi e volti, schegge quasi frequentatrici di mastabe (per citare Sereni), lontananze e confini. Altra voce interrotta nelle dimenticanze urbane, nella compostezza delle strofe brevi a riecheggiare umori d’infanzia, segnature rivedibili alla luce della riflessione mite che allunga in verticale, ad un certo punto, il passo; dilata le strofe stesse producendo una continuità di richiami. “Dimmi cos’è la vita/ adesso che non c’è più/ Livorno e nemmeno/ Milano, solo/ una pianura di luci/ basse nella nebbia”. L’ultima parte del testo si fa preghiera, sentimento del dolore e della pietà, nella vocazione al riscatto in un dono che, davvero, si pone eucaristico “...quel suo/ pane straziato,/ quel calice/ d’ogni ferita”.

                                       Andrea Rompianesi

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