venerdì 28 novembre 2025

Nina Nasilli “L’Orsuta” (Book Editore, 2025)


 

Corporatura inerente ad un elemento vitale che sorge e immette nella pagina la complessità del rilievo natura, nella efficacia prosodica di un’intesa, come nello sviluppo asimmetrico dei passaggi versificati. E’ davvero intensa e originale la voce di Nina Nasilli in questo suo esito poetico “L’Orsuta”. Assonanza e iterazione compongono già inizialmente una tessitura di rimandi: “cavaliere bardato d’armi fulgenti/ e valido scudo/ pretende anche la schiena/ nuda del nero cavallo/ nero-selvaggio/ che schiuma”. L’approssimarsi è alle scadenze dei tempi ritrovati in una partecipazione sempre umorale, di una consistenza sensuale e vibrante, al verso breve coniugata in uno spessore che deterge e rende una limpidezza svelante. Condizione di estraniato abbandono collettivo impone la ricerca di una necessità che Nina Nasilli ben individua nell’urgenza che chiama a ritrovare capacità d’ascolto e vocazione relazionale, come disciplina d’attesa e forza compiuta nell’intreccio dei pensieri ma anche di auspicabili vicinanze fisiche e ritrovati riconoscimenti lievi e provati, tendenze liberate in origini capaci di accogliere nella sospensione che ci fa umili; “albeggia il fiume/ là in fondo/ dove lo sguardo quasi/ più lo raggiunge”. La materia è testimone apparentemente inerte di un possibile salvataggio quotidiano, condotto ai lati della fragilità panica, della prospettiva liminare attesa tra le forre dell’imprevisto misurato. Si è dove il segno si fa parola, lemma, sintagma, vocazione partecipata nella coerente semantica che imprime il rigore stilistico in verticalismo figurato a flusso discenditivo. La domanda sul senso delle cose e sul fare nelle cose coniuga le stagioni in una trasposizione scritturale che si essenzializza e non esclude anche occasioni raffigurate in diversità di caratteri. “Se apprenderlo potessi/ sarei foglia/ o filo d’erba” scrive Nasilli in un’eco alla Whitman da coincidenza di spirito e natura. Ed è poi un richiamo alla responsabilità dell’uomo, al di là di tempi e osservazioni, arti e corpuscoli, riconoscersi deboli, minuscoli...”ma sei formica/ visto dall’alto” con un insegnamento che ci riporta a quell’anonimia di formiche che fu di Domenico Cara. Ancora l’attenzione del verso si sofferma sulla consistenza tangibile del corpo, e del corpo estraneo. La mancanza e l’assenza, il dono non desiderato, ma anche l’inesorabile fuga da quella bellezza che condiziona e sconvolge. C’è un sentire che è memoria partecipe e considera il “tu” nella versione che si pone in attesa della più intima adesione quale concentrato di spunti personali: “dal disarmo resta/ un profumo d’ebano/ e sapone:”, come altro da dire o intendere, accennare, quando “nessun contorno/ a confermare il nostro/ debole ricordo./ Nessun paesaggio”. La sezione eponima sviluppa una sorta di danza linguistica veloce e allitterante, dove le condizioni si addentrano nell’esegesi di rimando e riflesso: “E’ il sentire.../ sentire che si abbruna/ si aggruma/ e si inorsa”. Quindi l’Orsuta è animata nel suo “irto pelo”, qualcosa che si distingue nel vibrare vissuto, l’annidarsi nelle forme del gesto che sa difendersi ma anche aggredire con bramosia vorace e desiderio famelico, nella innocenza sostanziale dell’approccio. La domanda che ancora l’autrice interpreta è corso naturale, così come vita di chi resta, inesorabilmente piccola, assenza presente di chi manca, tratto che inciso nel verso breve si fa traccia semantica di una percezione tra le cose, tra i colori a scorgersi nel bianco, nell’azzurro, nel rosso. Continua aperta una dicitura che conduce attraverso rimandi fonetici  e reiterazioni di parole- chiave e di ruoli al limite dell’elemento interpretabile oltre il contenimento contingente. “Tu gemi il tuo silenzio/ a mezzanotte – (che è)/ del giorno il punto più infedele/ al giorno/ e nessuno crederà/ a questo tuo grido immondo” scrive Nina Nasilli, nella condensazione del percorso, nella sua stessa interpunzione dove si coglie la pausa della domanda partecipe, il tentativo ermeneutico nella compresenza delle intuizioni, delle trasformazioni, della suggestione inerente ai ricordi e alle speranze: “arrossisce anche il palmo della mano/ approssimando allo stelo/ e le dita girano la testa all’indietro/ per non violare di più il suo segreto”; attenzioni rivolte alle innumerevoli creature nella fascinazione di un succedersi attraverso una versificazione che giunge allo iato espresso all’interno dello stesso verso, veicolando, nell’esito finale, anche un riferimento alla poesia di Marina Cvetaeva. Un tracciato poetico, questo di Nina Nasilli, dove si dà voce all’inespresso, a ciò che spesso rimane intraducibile ma che interroga nella forma più intima, “e anche tu- quello che fai/ lo gridi ancora dal Silenzio”.

                                                                                                                                             Andrea Rompianesi

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