“Som óm da
tèra e da lâgh / cressüt sótt ar ciel dar piân d’Agn / cur miracol da
gént e natüra dar Malcantón, ai spall.” "Sono uomo di terra e di lago
/ cresciuto sotto il cielo della piana d’Agno / col miracolo della
gente e della natura del Malcantone, alle spalle.”
Non
si può parlare di cultura dialettale dell’Insubria(1) senza
ricordare il poeta Fernando Grignola. Il poeta di Agno merita senz’altro un
posto d’onore, sia per la sua attività intrapresa negli studi della RSI, sia
per le sue raccolte poetiche, in maggior parte dialettali, sia per le sue
ricerche ed approfondimenti delle radici e delle tradizioni della sua terra
malcantonese.
Chiaramente in
questo contesto mi preme esaminare in maniera prevalente la sua scrittura
dialettale attraverso la lettura ed il commento alla sua produzione poetica. E
inizio dalla prima raccolta risalente al 1965 “Ur fiadaa dra mè gent”.
Il titolo stesso
denota la vicinanza del poeta al suo popolo, ma si noti quel “fiadaa”, cioè
quel respiro che sorte dalle persone e che il poeta definisce “sue”. Vicinanza
e affiatamento con una comunità e con le sue tradizioni. Un tutt’uno insomma
che permette a Grignola una comunione di intenti e di sentimenti, sensazioni e
aspirazioni, in cui quel “mè gent” non definisce possesso ma partecipazione,
immersione completa in esperienze totalizzanti e comunitarie, quasi come un
timbro particolare da presentare e presentarsi in armonia ed empatia.
Ho parlaa tüta la
vita in dialètt / par mia strasciàa regórd / e mia desmentegà paròll
cun l’uduu / d’una manéra da stà al mund / barundinàda, sbatüda in
dal rüd /dai mè gent ch’a strepa radìs.(2)
Ed è lo stesso poeta che in un’intervista, rilasciata a Giuseppe Zois sulla “Rivista di Lugano” nel 2021, confessa la sua scelta dialettale e l’amore per la sua terra: “La folgorazione con il dialetto ci fu con un concorso a premi del “Cantonetto”, grazie al quale entrai in contatto con Sergio Maspoli e con l’avvocato Pino Bernasconi, che considero un mio maestro, anche per la stringatezza che mi insegnò. Un editore locale, Elmo Bernasconi, nel 1965 mi tenne a battesimo con il dialetto, pubblicandomi “Ur fiadaa dra mè gént”.
Già qui emerge nitido il legame con il mio Malcantone, il lago, le
sagre, la convivialità.”(3)
Da sottolineare,
dal punto di vista stilistico, pure il rotacismo linguistico che è recupero e
mantenimento di una tradizione dialettale vetusta. Lo indica in modo
inequivocabile, in una nota introduttiva alla raccolta “Ciel da paròll”,
Franco Brevini, cultore di dialettologia, scrivendo: “L’orgoglio
municipale si spinge fino all’adozione dell’antica varietà malcantonese di
Agno, con il suo caratteristico rotacismo: una scelta arcaizzante, che si
propone di celebrare fino dal piano linguistico i valori di un microcosmo, sia
pure dalla prospettiva feriale dell’Alltagsleben.” (4) (5)
Importante per la
sua carriera poetica fu anche l’amicizia con Pino Bernasconi, grande
conoscitore e interprete della letteratura del primo novecento italiano (in
primis: Ungaretti, Quasimodo, Pavese). “Aveva lo
studio in Ca’ Brenna, a Lugano. - spiega Grignola nella succitata
intervista - Gli portavo le mie poesie che erano sempre troppo lunghe.
Lui, sigaretta Turmac in una mano e matita nell’altra, spesso giù a un tavolo
del bar Argentino, mi tirava su una riga e con due parole ricavava una sintesi
che gli invidiavo. A volte mi leggeva poesie che scriveva sul retro di quelle
scatole bianche di sigarette. Me le leggeva declamandole e poi me le spiegava.
Un vero maestro di essenzialità”.
Ed è
evidente che una tale essenzialità è stata di grande aiuto all’opera del
Nostro. Infatti si possono
trovare nella sua poesia prodromi pastorali (riferiti a Pavese) ed ermetici
sicuramente rilevabili dal verseggiare breve, dall’uso di una sintassi
nominale, da una punteggiatura vigile e mai sovrabbondante, dalla ricerca di
musicalità particolari secondo il dettato ungarettiano per cui “la parola ha
valore come suono”.
Certo non era
facile in quel periodo far uscire un volume in vernacolo. L’ostracismo nei
confronti della produzione dialettale rimaneva alto nonostante le prove di un
Noventa, di un Tonino Guerra, di un Albino Pierro, dello stesso Pasolini.
L’opera dialettale era considerata di serie b, o per lo meno periferica, borderline si
direbbe oggi, troppo intrisa di nostalgia per il passato, non al passo coi
tempi. Non si era compreso, o non si voleva comprendere, che la forza del
dialetto stava proprio nel sapersi svincolare da ogni formula accademica e
d’élite, senza per altro dimenticare il presente e l’attualità. Forse l’essere
o sentirsi ai margini della letteratura ha permesso a Grignola un primo
notevole risultato poetico condotto entro i binari di una sensibilità che
guarda e descrive ma che non giudica e non sentenzia. (6)
Se ripercorriamo
questi suoi primi versi notiamo essenzialmente una capacità di scrittura che
cattura il lettore conducendolo fra la natura attorno ad Agno, le strade del
Paese, le persone ancora semplici e dipinte all’interno di un paradigma
incancellabile.
"Un lampion
/ un tombin / cünett, triföi, slavazz, / risciàda che sbadagia
/ ra noia da sta’ arm und (7) "
"Un bagai coi
öcc lüsent / l’ha già truvat ‘na pozza / par faa ciff-ciaff…(8)"
Tuttavia sarebbe
stata riduttiva la poesia di Grignola se si fosse fermato solo ad una
rappresentazione nostalgica di un mondo che andava scomparendo. Il Nostro,
abbiamo costatato, rielabora il suo vernacolo immettendolo in una tradizione
che non dimentica il percorso della poesia novecentesca italiana. Ma non solo.
In verità,
nonostante questi suoi riferimenti all’esperienza ermetica Grignola non
tralascia l’aspetto sociale. Il poeta non può essere un’isola senza
correlazioni. La realtà che gli si presenta è sintomo di fatiche, di rinunce,
di ingiustizie. Del resto alla fine degli anni sessanta, in Europa, si andavano
affermando movimenti che avrebbero voluto cambiare modi e stili di vita. E già
in poeti come Pasolini, Buttitta, Baldassari, Masala, Loi, la sottolineatura
sociale si faceva strada sfociando a volte, e in alcuni scrittori, in vera e
propria rivolta.(9)
Ma se in
questa prima raccolta il sociale si presenta quasi timido e in soggezione
rispetto ad altri temi, nella silloge seguente dal titolo “La sonada senza
nom” l’aspetto civico ed etico si amplia mostrando capacità di letture del
mondo sicuramente non convenzionali, soprattutto se si pensa a quel nucleo
coeso di etnia ticinese che si trincerava dietro fenomeni xenofobi e di palese
chiusura.(10)
Chiarificatrice è
la lirica Ra mè puesìa, in cui il poeta
accanto all’esaltazione della Natura, offre una riflessione politico-sociale
per nulla scontata.
Ra mè puesìa la gh’a indòss
/ i odùu selvàdig dra tèra / che ma ‘ncrusiava gobb / da fioròtt
/ a regalzà fòss da carlon / e patati in temp da guèra. / (Ra
tèra, / a vèss bon da scultàla, / la marmogna / la parla
/ la spantéga i stagion da l’om / la fa grand un pòpol / o la
ciama aiut.) // Cuscienza che da là ‘sta mè tèra / freguia d’un
nagot, / sa slarga cultura d’altra gént / e civiltà ch’a fai ur mund
d’incoo. // (Ancha tanti infèrni d’innucént / da sempru sterminat a
miglion / pa’l diu di guèr e di danée. / Ganassà infingard da
cunfeérenz / tàia e medéga.)(11)
La novità di questa
seconda silloge non consiste solo nei contenuti tematici, bensì nello stile più
attento all’uso “moderno” del dialetto, dove rientrano termini anche stranieri
e dove l’autore abbandona, anzi ripudia con forza, l’uso della parlata
vernacolare in direzione esclusivamente comica.(12) Sulla
stessa linea si porranno altri autori dialettali, come Tolmino Baldassari o
Nino Pedretti, che rivendicheranno il valore del vernacolo come forza e
propulsione di denuncia, nonché di filosofia di vita.(13)
Grazie a questa
particolare visione o linea ispiratrice, Grignola non dimentica il lirismo,
anzi lo esalta, e le sue composizioni assumono il valore di un espressionismo
linguistico non indifferente. Così la pennellata poetica richiama le pennellate
reali di grandi artisti e l’effetto, direi, è parallelo alla pittura. Si chiuda
gli occhi e si ascolti questa breve lirica tutta incentrata sui colori.
D’estat
i carlonèr su’r mè Pian / i s’ciòpa in d’una vampàda / de sang ross
/ viòla e brunz aranzon / ch’i pizza l’orizzunt // Pussée ‘n su,
ra spianàda / sota ‘l suu turmentat di girasuu / la ‘ncoca i öcc da
giàld viv / e lus preputént. // …Vegn a gala l’òr e i suu pizzat
/ dar spatolat disperat / dar Van Gogh e dar nòss Corty.(14)
Dopo tredici anni
di silenzio, forse dettato dalla freddezza con cui l’ultima sua opera è stata
accolta, esce nel 1983 “La mamm granda da tücc” (La nonna di tutti) in cui
Grignola riprende le tematiche sociali degli anni settanta rivitalizzandoli e
mettendoli in rapporto con la terra (la mamm granda) che diventa sacra e
venerabile, che va rispettata e non calpestata. In caso contrario saremmo noi
ad essere calpestati e a morire, perché rimaniamo senza riferimenti, orfani,
costretti all’esilio, indifesi davanti al nuovo che avanza e che ci fa sentire
“biott”.(15)
Quand i ma ciama pueta / ma par de vèss un péss / fora da
l’acqua. / Voi miga passà pa ‘n blagon / ch’a roba tesor / a
r’umiltà dar mund. // Mila lavarìn sur s’ciopàa / di arnìsc ar lagh
/ i canta invéce dumà da l’om / che sa sculta denta da luu
// par sentì i fracasséri dar Silenziu, / i Altri, ur Mund: tutt quel
/ c’ha pénsum Grand sura da num. (16)
In culture
diverse e distanti anni luce, come quella Incas e Andina, esiste il medesimo
sentire nei confronti della terra, venerata e rispettata, chiamata “Pachamama” (La
madre terra), perché la terra è la Gemeinschaft, comunità vivente, è
quella che produce cibo ed esistenza, quella che
fiada coi ort
/ pena vangaa, coi fòss / da la vigna ch’a rebütta / e sgonfia i
firàgn. (17)
Non c’è chi non
veda una universalità di giudizio, una filosofia che attraversa secoli e popoli
e che si rifà all’umanità insita in ciascuno di noi. La verità è che dobbiamo
essere in grado di ragionare, di non lasciarci sedurre dal progresso che “intossega
l’aqua, l’aria”, che contamina perfino “ul noss dialett”, dobbiamo fare
attenzione e non lasciarci sedurre dal nuovo, dalla tv, dal lusso senza senso,
perché
coi danéé
/ em cambiaa i penséé, la manera da viv / e da guardass in di öcc.
Sem pü nüm.(18)
Grignola insiste su questo concetto. Non come rimpianto ma come lucida presa di coscienza della realtà. Confronto, questo, che avviene “tra la lucida coscienza razionale imperante, la superficiale logica del profitto, e il bisogno, sia pure impercettibile, del senso religioso dettatoci dall’ignoto che confusamente avvertiamo dentro e fuori di noi. – così confesserà il poeta nella postfazione alla silloge “Lüs” –In certi momenti dell'esistenza, posti dì fronte a interrogativi profondi, il perché del nostro stesso nascere, vivere e morire. O mistero del creato.”
Nel
1987, con un’introduzione a cura di Franco Loi, esce “La pagina striàda” che
prosegue il precedente discorso sulla cosiddetta civiltà moderna in un modo,
forse, più amaro e sconsolato. In effetti il poeta si dice impossibilitato a
riabilitare l’uomo perché la poesia è debole e fragile e il male è più forte.
Anche la storia diviene oggetto di contestazione per il fatto di essere
incapace di risolvere le ingiustizie e diventa addirittura “pelanda” e come una
prostituta si ripete in continuazione e inesorabilmente tanto che noi
diventiamo “scendra ch’a smòrza l’alegrìa”.
Se per
Ungaretti l’allegria era un naufragio, con tutto quello che il naufragio
comportava, soprattutto in simbologia e metafore, in Grignola l’allegria
diventa cenere dato che la redenzione è solo un sogno, un’utopia.(19)
Paròl biott / innucént come tatorìn / ‘pena nassùt / i
spaciuga ra geometria mata / di ghirigori slargat / e revoltada
repeton / in stralusc infinìt d’ar // sterminada nuvola da sturéi
/ a ròsc ch’a scuriss ur ciel / par piombà giò negra
/ stralunàda / a posàss in dra nòcc / di cannétt. / / Ra me
puesia chissà ‘nduva / la và a posàss.(20)
Da questo
insopprimibile pessimismo che accompagna l’impotenza del poeta a poter cambiare
le cose nasce “Ciel da paroll”, dove ancora una volta assistiamo alla
volontà di ripartire dalle origini, ai radiis, perché solo da lì trae
linfa la vita. Ed è una specie di ritorno alla prima raccolta, ma con una
consapevolezza maggiore. Si tratta di una elegia del passato che riemerge in
continuazione e che permette a livello poetico di affrancare la metafora della
vita sui due paralleli cari a Grignola: paese e dialetto. Non esiste il tempo
se non nella fuga dell’oggi. Tuttavia non solo nel mondo contadino si
ritrova l’eden, il principio e la fine dell’esistenza, il paradiso
perduto.(21)
La sua ispirazione
da una parte rimane “l’uomo con
tutta la vastità del suo sentire”, dall’altra sono le “meraviglie della natura
con il prodigio conosciuto e sempre inedito delle stagioni, con fiori, piante,
prati, pascoli, boschi, colline e animali. È un infinito che si spalanca
davanti agli occhi e va dritto al cuore. Già aprire gli occhi al mattino,
osservare l’alba, lo spuntare del sole, questo miracolo incantevole”.(22)
Tra l’altro non va
dimenticato che fin dagli anni settanta, Grignola intrattiene un’amicizia
poetica con Biagio Marin, sia per identità di intenti che per spirito
vernacolare. Questa amicizia porterà i due poeti ad uno scambio epistolare da
cui si deduce non solo una riflessione su se stessi e sulla loro poesia, bensì
anche un cercare di capire e carpire il segreto del far poesia e di ciò che ne
resta. (23) (24)
A “Ciel de paròll”
seguiranno le raccolte “Radisa innamurada – Poesie 1957-1997” (1997), “Visìn
luntàn” (1999), “Lüs” (201) e “Paròll biott” (2016). In queste ultime sillogi
dialettali il poeta di Agno non farà che confermare quanto sottolineato in
precedenza. È tuttavia interessante soffermarci anche sulla particolare visione
religiosa, di ispirazione e aspirazione, che traspare nella silloge “Lüs”.
Il poeta di Agno
rivela l’esistenza di un qualcosa insito nella stessa umanità. L’uomo
tende a Dio nella ricerca di ciò che percepisce come ignoto. È importante però
che ciò non avvenga attraverso dogmi, ma attraverso una sincera ricerca,
una “apertura cosmica nello stupore per i miracoli della natura e delle
sue stagioni rapportati all’uomo-formica dell’universo.”(25)
Par indüinàtt in dr’aria, Signur, / m’è
tocât andà fora dar paés / parchè par strada, in piazza e tra i cà
/ i lampión ar neon i scancèla / ogni altra Lüs.(26)
E
si noti il termine Lüs scritto maiuscolo: riferimento evidente alla
Luce di Dio che trova menzione anche in altre liriche della stessa raccolta in
cui si ravvisa una tensione particolare a cogliere l’immanente, un desiderio di
infinito, un tuffarsi nel mistero della vita e della morte. Il poeta è
costretto ad allontanarsi dalla civilizzazione (simboleggiata in quel neon –
una luce nuova che al posto di illuminare oscura il cielo, cancella
l’illuminazione naturale della luna e delle stelle, e fa da contrapposizione
alla Luce vera di Dio)(27)
Più esplicita
ancora quest’altra lirica con ex ergum di Biagio Marin:(28)
Ogni volta che fregüia incantàda / da lüs
piena e silenziu / rimiri la cüpola celèsta /
immensità sür mè pian d’Agn / magón d’anima bióta / mi Ta
respìri, Signúr.(29)
Sintetizzando
allora, a questo punto e a mo’ di conclusione, la poetica di Fernando Grignola,
avvio una mia particolare riflessione in base a quello che ho potuto constatare
durante la lettura dei testi del poeta di Agno. Mi rendo conto che,
probabilmente, uscirò dalle righe attribuendogli intenzioni che forse non erano
le sue. Ma la poesia possiede anche questo di magico: trasporta il lettore
verso lidi inaspettati allo stesso autore.(30)
Di primo acchito mi
viene spontaneo riflettere come il dialetto abbia valore e dignità poetica non
meno che la lingua. In dialetto si può scrivere anche di filosofia, di vita, di
eternità, e non solo e sempre di comicità e bosinate. La lingua è l’identità di
un popolo, così come identitarie lo sono le sue radici, le quali non vanno
dimenticate, ma nemmeno ricordate con nostalgia o con rimpianto. Le tradizioni
di un paese vanno allora vivificate e tramandate con forza e con dignità, senza
dover gioco forza costituire una giustificazione alle divisioni e alle
sopraffazioni, ricordando che il male dell’uomo deriva anche dalle barriere
etnico-sociali inutilmente innalzate e diventano ipso facto ostacolo
di felicità, non solo per chi le subisce ma pure per coloro che le
costruiscono. Recuperare la parlata locale non significa chiudersi in una torre
d’avorio, bensì condividere con altri, anche di lingue e tradizioni differenti,
esperienze e sentimenti. Non per nulla lo stesso Grignola si farà interprete di
poeti dialettofoni di altre regioni. Ne abbiamo una prova con l’amicizia
pluriennale con il gradese Biagio Marin e la traduzione, ad esempio, dei versi
dell’abruzzese Pietro Civitareale.(31)
In questo contesto
penso che la poesia non appartenga al singolo poeta, ma sia di tutti e tutti
sono i protagonisti nella e della poesia. Il poeta non
possiede ma partecipa, non esclude ma include. Il poeta a volte denuncia ma non
risolve, né può rinunciare a mostrare le problematiche o gli errori per un
falso sentirsi isolato dalla comunità. E in questa àgape tutta laica
e terrena viene da sé che la Natura sia lo spazio adibito all’incontro con gli
altri, diventando altresì luogo non tanto di contemplazione quanto di
immedesimazione, al limite del panismo. Se la Natura è di tutti e tutti devono
utilizzarla con responsabilità, sarà opportuno riconoscerne la venerabilità ed
ubbidirle come fosse una madre. Violentare la natura è violentare se stessi
togliendo parte del futuro ai nostri figli e nipoti che difficilmente ne
potranno usufruire.
Ritornando, da
ultimo, a considerazioni letterarie mi sembra importante non dimenticare la
contemporaneità. Scrivere del nostro quotidiano, cioè di quello che la cultura
tedesca chiama Alltagsleben, ha di pe sé un enorme valore. Senza di esso
anche il passato verrebbe meno. Per cui è vitale rinnovare anche la parola,
vernacolare e non, lasciando da parte il rifiuto di inserire nuovi e moderni
vocaboli, anche di provenienza straniera, facendo sempre attenzione però che il
loro utilizzo non diventi lo sfoggio inutile e superfluo di termini che
possiamo trovare tranquillamente nella lingua madre.(32)
Detto questo, lungi
da me l’addossare consigli moralistici od etici a Fernando Grignola. La poesia
ha dei binari tutti suoi. E come sosteneva Maritain la moralità dell’artista
rimane nella sua opera, non in altro. Sta poi al lettore interpretare e cercare
di capire. Il tutto logicamente in maniera soggettiva attraverso una propria
esperienza personale.
Enea Biumi
Note
1) A parte il folkloristico desiderio – mai sopito – di annettersi alla Svizzera italiana, c’è sicuramente un substrato culturale identitario – e nei costumi e nel linguaggio – che lega il Canton Ticino e l’Alto Varesotto. Non per nulla si parla di “regio insubrica”. Il Concorso che la Famiglia Bosina indice per l’acquisizione di Poeta bosino dell’anno ha visto la partecipazione di alcuni poeti ticinesi fra cui la poetessa Anna Maria Mion che si è aggiudicata nel 2009 il primo premio con la lirica “Fümm in d’un boff”. Nell’Antologia “I stràa d’ra Puesìa”, pubblicata nel 2010 dal Cenacolo dei Poeti e Prosatori varesini e varesotti, sono presenti autori ticinesi, come ad esempio il poeta Edo Figini. A Bellinzona esiste un “Centro di dialettologia ed etnografia” (l’attuale presidente è il dott. Paolo Ostinelli) la cui documentazione non si limita solo all’area ticinese bensì alla parte vernacolare italiana.
2) "Ho parlato tutta la vita in dialetto / per non stracciare ricordi / e non dimenticare parole con l’odore / d’una maniera di stare al mondo / modellata, gettata nell’immondizia / dalle mie genti che strappano radici”
3) Nella postfazione alla raccolta “Lüs” Grignola scrive: “Giunto alla soglia dei settanta, un’età non sospettabile di velleità ma piuttosto incline alla introspezione, sono soddisfatto di avere dedicato tutta la vita creativa a testimoniare la dignità del dialetto. Non soltanto come linguaggio della comunicazione nella quotidianità della mia gente, ma pure come congeniale espressione della personale ‘lingua della poesia’ di pari dignità, appunto, della poesia espressa in qualsiasi altra lingua del mondo.
4) Cfr. F. Brevini, “Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo”, Einaudi, Torino, 1990.
5) In una lettera ad un amico Grignola esalta il rotacismo del dialetto proprio come recupero di valori linguistici antichi.
6) “In dialetto - come da sempre avviene nell’ambito della comune oralità discorsiva - anche nel distillare la forma ‘alta’ della poesia, si possono esprimere emozioni, sentimenti e stati d’animo, estesi a1l'umanità di fronte agli accadimenti del mondo in cui viviamo. Quindi, ben al di là del nostalgico rimpianto passatista dello scontato orticello di casa della tradizione vernacolare all’ombra del campanile. (Postfazione a “Lüs”).
7)“Un lampione / un tombino / cunette, trifoglio, erbacce / acciottolato che sbadiglia / la noia di stare al mondo”
8) “Un bambino con gli occhi lucenti / ha già trovato una pozza / per fare ciff-ciaff…”
9) Lo stesso poeta afferma che c’è un sentimento che prevale nelle sue composizioni ed è “la solidarietà e la compartecipazione per il mondo operaio, che ho conosciuto dal di dentro. Prima di essere assunto in Posta, mio padre mi mandò a lavorare in una piccola fabbrica di pipe. Lavoravo per ore a un tornio su blocchetti di radica da perforare. C’erano gli aspiratori, ma la polvere che si respirava e che rimaneva addosso, nei capelli, è inimmaginabile.”
10) “L’attitudine all’ispirazione ‘pensata’ sempre istintivamente nella lingua delle radici, il dialetto, mi offre qui l'occasione per ribadire come questa scelta sofferta, per me non sia mai stata dettata da presunzioni d'identità, o da assurde pretese di affermazione o distinzioni contro l'alterità di lingue ed etnie dell’odierna plurisocialità.” (Postfazione a “Lüs”).
11) “La mia poesia ha addosso/ gli odori selvatici della terra/ che mi ripiegava gobbo/ da ragazzotto/ a rincalzare solchi di granoturco/ e patate in tempo di guerra.// (La terra,/ a saperla ascoltare,/ sussurra/ ti parla/ sparpaglia le stagioni dell’uomo/ fa grande un popolo/ o supplica aiuto.) // Coscienza che oltre questa mia terra/ briciola d’un niente,/ si dilata cultura d’altri popoli/ e civiltà che hanno fatto il mondo contemporaneo.// (Anche tanti inferni di innocenti/ da sempre sterminati a milioni/ per il dio delle guerre e dei soldi.// …Blablà d’ ipocrite conferenze.)”
12) “A scrivi sti puesii / perchè l’è mia vera / che in dialett / ul mund al sa veda / dumà in businàda.” (Scrivo queste poesie / perché non è vero / che in dialetto / il mondo si veda / solo nelle bosinate)
13) Nino Pedretti “Al vòusi” (Le voci); Tolino Baldassari “È pianofórt” (Il pianoforte)
14) “D’estate le distese di granoturco sul mio Piano / esplodono in una vampata / di sangue rosso / viola e bronzo arancioni / che accendono l’orizzonte. // Più in su, la spianata / sotto il sole tormentato dei girasoli / ubriaca gli occhi di giallo vivo / e luci prepotenti //…Vengon a galla l’oro e il sole accesi / dalle spatolate disperate / di Van Gogh e del nostro Corty.”
15) “E sem chi biott cumè furastéé / d’estaa a l’umbria di semafori / che ga tö ‘l fiaa.” (E siamo qui nudi come forestieri / d’estate all’ombra dei semafori / che gli tolgono il fiato)
16) “Quando mi chiamano poeta/ mi sembra d’essere un pesce/ fuori dall’acqua./ Non voglio passare per un borioso/ che ruba tesori/ all’umiltà del mondo.// Mille cardellini sull’esplodere/ delle acacie al lago/ cantano invece soltanto dell’uomo/ che si ascolta dentro// per sentire i frastuoni del Silenzio,/ gli Altri, il Mondo: tutto quello/ che pensiamo Grande sopra di noi.”
17) “Respira con gli orti / appena vangati, coi fossi / della vigna che fiorisce / e gonfia i filari.”
18) “Coi soldi / abbiamo cambiato i pensieri, il modo di vivere / e di guardarci negli occhi. Non siamo più noi.”
19) Si veda la prefazione a “La pagina striàda” di Franco Loi.
20) “Parole nude / innocenti come pargoletti / appena nati / scarabocchiano la geometria pazza / dei ghirigori dilatati / e roteati di slancio / in infiniti balenii d’ali // smisurata nube di storni / a stormi che oscurano il cielo / per piombare nera / stralunata / a posarsi nella notte / dei canneti. // La mia poesia chissà dove / va a posarsi.”
21) “L’impegno, con aperture fin dalla prima raccolta del 1965, è stato quello di sfatare l'errata convinzione, o prevenzione culturale, che in dialetto si può parlare (e scrivere) unicamente delle realtà confinate al mondo contadino, ai suoi ristretti orizzonti, e al linguaggio rurale adesso connesso di soli affetti, attrezzi, campi, stalle e cascine” (Postfazione a “Lüs”)
22) Dall’intervista di Giuseppe Zois più volte citata.
23) “Naturalmente la poesia deve essere atto creativo per restare poesia. […] Il linguaggio di tutti, di tutti i giorni, implica la meccanica ripetizione di parole e di frasi, e anche di contesti, che ha perduto ogni e qualsiasi originalità e perciò non può essere il linguaggio della poesia. […] Ogni poesia è una nuova lingua in creazione e che noi ricreiamo in noi” (Biagio Marin, Discorso sulla poesia, in Tra sera e note, Scheiwiller, Milano, 1968; e in Studi Mariniani, n. 4, 1995, a cura di Edda Serra).
24) Scriverà Grignola in una lettera a Biagio Marin che “la poesia vince la vita e la morte e ci fa immortali”
25) Flavio Medici, “La lacerazione del tempo in Grignola”, in GdP, Lugano, 4. 5. 2000).
26) “Per indovinarti nell’aria, signore / sono andato fuori dal paese / perché per strada, in piazza e tra le case / i lampioni al neon cancellano / ogni altra Luce”
27) “Il mio legame con la natura, con le ‘radici’, alla mamm granda da tiicc: la terra, come doni divini, alimenta fortemente questo interiore e umile confronto con quanto mi è umanamente incomprensibile, o con la grazia della creazione che appena intuisco.” (Postfazione a “Lüs”)
28) “Preghiera a Dio no’ xe parola: / xe fioridura silensiosa in sielo…” (Preghiera a Dio non è parola / è fioritura silenziosa in cielo…)
29) “Ogni volta che briciola incantata / di luce piena e silenzio / ammiro la volta celeste / immensità sul mio pian d’Agno // commozione d’anima nuda / io Ti respiro, Signore.”
30) È un’affermazione di Romano Guardini che volentieri faccio mia.
31) Cfr. “Paròl biott (Parole nude)”, Ed. Ulivo, Balerna (CH), 2016
32) Se pensiamo che l’usatissimo termine italiano “ragazzo” sia di provenienza araba, ci rendiamo immediatamente conto come certi ostracismi lascino il tempo che trovano.
Biobibliografia
Fernando Grignola nacque il 26 agosto 1932 ad Agnuzzo di Muzzano, ma crebbe ad Agno ed ivi morì il 22 agosto del 2022. Visse, come ebbe a dire, in "tempi grami" e ben presto fu costretto ad imparare un mestiere, nonostante la maestra Maria Boschetti Alberti insistesse con i suoi genitori perché lo facessero continuare a studiare. Purtroppo le circostanze non gli permisero di seguire quelle sagge ed intuitive indicazioni, tanto è vero che per quindici anni, Grignola lavorò come postino a Caslano, trasferendosi in seguito presso una ditta dove nei ritagli di tempo poté dar vita alle sue capacità di scrittura, così come aveva intuito la maestra Maria Boschetti Alberti. Nel 1976 si diede alla scrittura di testi radiofonici per la trasmissione “La domenica popolare” con la guida dell’esperto Sergio Maspoli, di cui dal 1985 al 1994 raccolse il testimone. Svariate furono le sue commedie sia per la scena che per la radio. Per la scena ricordiamo Ul bosch dal dinosauro portato alla ribalta dalla Filodrammatica Santo Stefano di Tesserete, nel 1981, e riproposto nel 1986 dalla Filodrammatica Caritas di Gordola con la regia di Quirino Quirici: la pièce narra le peripezie attorno al ritrovamento di uno scheletro di dinosauro, inventato da una piccola comunità ticinese per aumentare l’attrattività turistica del proprio villaggio. Con la stessa commedia, rappresentata nel maggio del 1992 al Teatro Cittadella di Lugano dalla compagnia del Teatro dialettale alla RSI, Grignola esordì anche come regista teatrale. Sarà poi la Filodrammatica Santo Stefano ad allestire i successivi testi del Nostro: Füm in cà nel 1982; La cà dal runch nel 1983; Brava gent, nel 1986, vicenda esilarante ruotante intorno a una balla di paglia rubata e a conigli amiantoattivi. Le tematiche che Fernando Grignola sviluppò nell’ambito scenico le ritroviamo, in parte, anche a livello poetico: si evince la nostalgia per il passato rurale che non dimentica però la realtà attuale, vale a dire l’Alltagsleben. Fu autore teatrale, certo, ma soprattutto anche poeta. Le sue opere di poesia hanno avuto prefazioni di Romano Broggini, Giorgio Bàrberi Squarotti, Fernando Zappa, Grytzko Mascioni, Franco Brevini, Franco Loi. Figura in antologie importanti sia in Svizzera che all'estero. Numerosi sono i critici che si occuparono dei suoi scritti. Tra loro possiamo citare i nomi di Mario Agliati, Dalmazio Ambrosioni, G. Bàrberi Squarotti, Silvio Bellezza, Giuseppe Biscossa, Franco Brevini, Luciana Caglio, Giovanna Ceccarelli, Pietro Civitareale, Giovanni Conti, Anna De Simoni, Gianfranco M. Fontana, Gabriele Ghiandoni, Franco Lanza, Mia Lecomte, Maria Grazia Lenisa, Franco Loi, Ottavio Lurati, Renato Martinoni, Flavio Medici, Giovanni Nadiani, Francesco Piga, Achille Serrao, Marco Tonacini, Andrea Zanzotto, Emilio Zucchi. La sua prima raccolta poetica Ur fiadàa dra mè gént fu tenuta a battesimo da Sergio Maspoli nel 1965 alla RSI. Fu amicissimo di Biagio Marin, col quale intrattenne un singolare rapporto d’affetto e di stima. Ne abbiamo testimonianza nella corrispondenza che il Maestro gli inviò da Grado (Si veda Radisa innamuràda, [Canzoniere poesia 1957-1997] Bioggio, 1997- 1998a). Sue poesie sono state tradotte in francese da Christian Viredaz, e in tedesco da Susanne Spahni, Choix de poésies - Gedichte aus vier Jahrzehnten, Solothurner Literaturtage, Soletta, 1998; in tedesco su Metaphorà, 3/4, 1998, a cura di Chasper Pult e Susanne Spahni, Lyrik und Prosa der lateinischen Schweiz, München; in francese su La revue de Belles-Lettres, 2/4, Genève, 1998, a cura di Christian Viredaz, Racine emplie d’amour, in Littérature de Suisse italienne. Grignola fu anche l’autore di Le radici ostinate, repertorio biobibliografico dei poeti dialettali della Svizzera italiana, del passato e contemporanei, Dadò, Locamo, 1995, segnalato al II Premio «Biagio Marin», Grado 1997, per la sezione Saggi sulla letteratura in dialetto di area italica. Le sue più recenti raccolte in vernacolo sono: La sonada senza nom, Agno, L.E.M.A., 1970; La mama granda da tücc, poesie e racconti, pref. Fernando Zappa, Pedrazzini, Locarno, 1983,1984a, Libro dell’anno della Fondazione Schìller; La pagina striàda, pref. Franco Loi, Pedrazzini, Locamo,1987, due ediz.; Ciel da paròll, pref. Franco Brevini, Bernasconi SA., Bioggio, 1991,1982a; Canzoniere 1957-1997, Radisa innamuràda, stesso Ed., 1997, 1998a, Premio Schiller 1998; Ur cör e la radísa, Lugano, Almanacco Malcantonese e Valle del Vedeggio, 1996; Visìn luntàn, pref. Franco Loi, Mobydick, Faenza,1999; Lüs, ill. di Silva Stegmüller-Grignola, Balerna, Ulivo, 2001; Paról biòtt - Parole nude, Balerna, Ulivo, 2016. La produzione, poetica e non, in lingua ha i seguenti titoli: Solo la voce e altre poesie, Agno, L.E.M.A., 1963; La vicenda del vivere, Agno, L.E.M.A., 1967; Uomini e colline, Firenze, Club degli autori, 1975; Solo nel cuore abbiamo, prefazione di Grytzko Mascioni, Fossalta di Piave (Venezia), P.L. Rebellato, 1981; Radici di terra e di lago, Agno, MB Promotion SA, 2005; L'uomo che veniva dal mondo, Balerna, Ulivo, 2011; Nel tempo che scorre, Balerna, Ulivo, 2012; Là dove cantava l'usignolo, Balerna, Ulivo, 2014; Radici dell'oralità perduta, Pregassona-Lugano, Fontana, 2016.