venerdì 17 novembre 2023

Silvia Comoglio “Il tempo ammutinato” (Book Editore, 2023)


 C’è tempo che confonde e che consola, detiene e smarrisce, dove gli accostamenti inesausti trovano infine una proporzione, una misura che determina quel confronto dei tratti inesauribile e nomade, anche riottoso e labile. Tutto questo in partiture, in quelle comparse duttili, nella proposta di definizione: complesso di molti righi, collocati l’uno sotto l’altro e riuniti tutti da una graffa sui quali si scrivono le parti, per le singole voci o strumenti, da eseguirsi simultaneamente. Così l’accenno all’opera “Il tempo ammutinato” di Silvia Comoglio, una delle voci poetiche più interessanti della sua generazione. Qui il passo musicale, fonetico, intende distribuirsi nello spazio della pagina, in un’accezione anche visiva e grafica, per esprimere esistente pensiero e parola in un movimento continuo che si fonda sulla natura profonda della parola stessa ben sapendo che, come afferma Flavio Ermini, l’esperienza poetica del pensiero coincide con il moto nascente della lingua, e per Comoglio la lingua stessa è agile e imprevista, lieve e profonda, strumento di navigazione lessicale e metronomo per conoscenze esperite. Il rigore dell’attenzione alle pause e agli spazi è nettamente rivolto alla percezione sonora di una complessità che muta in attimi e in tempi. Si potrebbe essere tentati, ad un primo impatto di lettura, di collegarsi inevitabilmente alle strutture inerenti un certo simbolismo, dove l’ascolto dei suoni in quanto tale si conferma  primario. Qui, però, a giudizio di chi scrive, non viene mai annullato l’equilibrio decisivo significante/significato ma, piuttosto, reinterpretato alla luce di suggestioni dense di una prospettiva ulteriore; tale da rivelarsi quasi catartica e coinvolgere le seduzioni paniche rielaborate negli accostamenti e nelle percezioni sensitive trasfigurate in canto visibile nella spazialità della pagina. La capacità di sentire un’immagine, quasi una vissuta sinestesia accorpata alla ricercatezza del termine proprio, verso una poesia di estrema raffinatezza formale non vincolata al limite del primo senso. “dunque, fu detto, la portata di ogni nuovo tempo/ è fiorire in rottura di parola nel Sempre che si accosta/ ad ogni nostra ombra” e “è allarme, allora, la voce/ che prego di guardare/ nel dono del suo peso?”... è poesia che davvero fluisce in iterazioni e rimandi, sviluppa negli spazi e nelle differenziazioni grafiche la definizione dei ritmi indissolubili che non possono essere altri né separati. Partiture da leggere ad alta voce, quelle di Silvia Comoglio, in una pianificazione di accenti tonali aderenti ad un dettato stilistico di rigorosa caratura. E’ canto, quindi, preghiera, invocazione, trama d’acque e terra, notte insonne e curva infinita, pelle e brocca, ombra contro fiore. E’ tracciato il sentiero, la sosta, nell’incursione del corsivo, dell’istante sospensivo e allusivo che l’autrice bilancia sulla pagina con grande perizia in una sorta di orchestrazione sillabica di senso e suono. “...allora, fu detto, è acuta forma di radice/ lo sguardo appena srotolato in sillabe di nomi/ incessanti e già caduti”; il ritmo fascinoso dei versi incalza e seduce, in riaffioranti rapsodie a flusso regolato, “amo il solo amare che appare in orizzonte/ del tutto senza ciglia: terra comparsa alla mia porta,/ come, come mondo, ai margini del mondo”. L’autrice compone fragranze di suggestioni, strepitii vegetali, veglie d’aurora e di crepuscolo, sillabe ed echi, nostalgie di onde, sensibilità spirituali. Ma più si tinge l’affresco di cromatismi alla Magritte, le sue luci in contrasto qui rese nella solidità densa e nello stesso tempo fluida dei vocaboli posti a soccorrersi e a sorreggersi nella danza percettiva delle compiute attinenze. Voce, quella di Silvia Comoglio, capace davvero di perfezionare una partitura nel mirabile senso dell’esecuzione stilistica più alta, virtuosa, “che ebbe in una stella  il suo tutto incandescente,/ la sua netta  terra  di preghiera”, ricordando che il tempo ammutinato è tempo dinamico che “muove” sommossa di un sentire apicale, dove s’identificano le “...incognite tue rose, plasmate-“.

                                                                           Andrea Rompianesi

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