Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
lunedì 22 aprile 2024
Sandro Gros-Pietro, L'abbaglio del Comandante, Genesi Editrice, Torino, 2024
domenica 21 aprile 2024
Enea Biumi, La sumènza du la nòcc, Il seme della notte, Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero, 2014
Le semplici cose della vita nella
poesia del primo Biumi
Una poesia, quella del primo Enea Biumi (nom de plume di Giuliano Mangano), più precisamente la poesia di una raccolta risalente a qualche tempo fa, Il seme della notte (Scrittura creativa edizioni, 2014), che presenta in primo piano le semplici cose della vita; una vita povera, ma autentica: le monachine del focolare, le lucciole, “la gazzosa”, il paiolo per la polenta, “il cortile dove si giocava con la palla”, la canna della bicicletta, dove il bimbo veniva trasportato dal padre. La poesia si scarnifica, si riduce a una secca enumerazione, si fa oggettuale, fermandosi a un passo dal silenzio: (“il lampadario/ il tavolo/le sedie”).
Anche le
similitudini sono prese dalla vita di ogni giorno; il tempo è “come un panno di
bucato”.
Lo sfondo è
dato dall’universo familiare, dall’ambiente
paesano, dagli spettacoli naturali, che destano una meravigli attonita
davanti al sensibile; si tratta a volte anche di notturni di placida bellezza,
contemplati in solitudine, ma anche in una solitudine a due (p 15). Spettacoli
che la natura offre gratis, perché tutte le cose che “valgono” sono gratuite. Una
natura che ha qualcosa di sacro; e infatti l’abbattimento di un albero è
qualcosa di esecrabile non solo da un punto di vista eco logico; la condanna
però resta implicita, senza bisogno di alcun commento e perciò risulta più netta.
Già la prima
lirica è una traduzione libera dalle Bucoliche virgiliane e quindi ci
offre l’humus, la cornice da cui la sua poiesis muove. L’ambiente campagnolo si respira quasi nella
puzza “di letame”; perché la vera poesia interessa spesso tutti i sensi, non
solo la vista. E quest’odore di letame è l’equivalente olfattivo di un senso
terragno e corposo delle descrizioni, che il dialetto favorisce, come ben sanno
i lettori di Carlo Porta. Senza contare che il dialetto conserva anche capacità
allusive che la lingua della comunicazione ha cancellato. E perciò meritoria è
l’opera dei poeti che proprio per questo usano quella che una volta era la
lingua materna, così contribuendo anche a preservarne l’esistenza. Perché il
libro di Biumi è scritto in dialetto, con traduzione, se così si può dire, a fianco
Spesso si tratta di un quadretto nitido, che ha la purezza
di un idillio, con coda gnomica nell’explicit.
A volte la
breve opposizione non è incrinata da alcun sentimento. Si presenta in un presente
eterno, fissato in gesti quasi ieratici.
A volte il
quadretto è incrinato dalla nostalgia e
allora si ha l’uso dell’imperfetto, il tempo appunto della nostalgia, accompagnata
da un desiderio di pace, per una coscienza “sempre in guerra”.
Non manca l’amore nelle corde del poeta ed è visto come “qualcosa che vale”, simbolizzato “nei due occhi neri”, in un “angelo”. E infatti con una dichiarazione, anzi con una doppia dichiarazione d’ amore termina il libro.
Il futuro
appare a volte come un” “sentiero in mezzo a un bosco”, ma, sembra dirci Enea,
bisogna andare avanti. L’inverno diventa Il correlativo oggettivo o, la metafora della vecchiaia. La morte aspetta tutti e ciascuno, come in una
“gran piazza/ dove una mano sorteggia il tuo destino”. Allora sembra prevalere la
paura, il desiderio di fuga, ribadito in
martellanti anafore. Ma la paura non riguarda il Matto, il diverso, che il
poeta sente, simile in questo ad Hanno dei Buddenbrook, come amico, come
fraterno, e rappresenta forse la poesia, l’alterità.
Della fine l’io lirico ha una coscienza acutissima, dolorosa, che lo porta, in un’atmosfera da Sera del dì di festa, a chiudersi, ascoltando “i fuochi d’artificio dell’ultimo dell’anno e quasi prendere congedo anticipatamente dalle gioie effimere del vivere.
Fabio Dainotti
mercoledì 10 aprile 2024
Paolo Di Paolo “Romanzo senza umani” (Feltrinelli Editore, 2023)
Andrea Rompianesi
lunedì 8 aprile 2024
Salvatore Smedile “La volontà dell’ovest” (Book Editore, 2024)
Ci sono sonni
esposti ai mutamenti e veglie che intensificano lo sguardo. Oltre l’approccio
del dire c’è un ritmo cadenzato che naviga in versi brevi assunti a struttura
verticale, nella composta essenzialità dei rimedi. C’è un muoversi sul suolo
non distratto che identifica una meta fisica da raggiungere attraverso il
sentire della percezione. In questo caso la meta è Santiago di Compostela e il
poeta/viandante Salvatore Smedile che con il suo “La volontà dell’ovest” ci
accompagna attraverso le tappe di un procedere e, allo stesso tempo, riassumere
l’esperienza rivolta a Finisterre, là dove l’orizzonte del mare comincia e la
fatica della terra finisce. Certo “le ore cadranno dalle tasche/ piene di
memorie/ che non si potranno/ raccogliere con una mano”; l’incontro scandisce il
repertorio dei frammenti colti dal poeta nel caleidoscopio di figure, correnti,
discese, soste, passaggi...”a volte tutto fugge/ senza lasciare tracce;/ a
volte tutto rimane/ senza che si perda nulla”. L’autore sembra non voler
limitare il suo dire alla necessità di un esito univoco ma, come nella migliore
tradizione dello spirito del viaggio, in realtà il cammino stesso, osservante e
pensoso, è già risposta e significato. Qui però sembra che un sottile strato
d’inquietudine rivolga la sua attenzione alla presenza del timore; quello di
confondere la caducità degli episodi con la frequenza insorgente della
pulsione; la separazione implica sensibilità della cura, tremito operoso, dove
le questioni dell’anima hanno estensioni impreviste, diciture incompiute, voci
apprese che sono già echi. “Nelle orecchie una voce/ che cerca di svegliarmi/
da un oblio che dura/ da una vita” scrive il poeta “all’arrivo sarà/ più
comprensibile/ questa opposizione”, ma è solo un auspicio che non inganna poiché
l’arrivo è sempre e soltanto un nuovo inizio. Ad un certo punto, nel libro di
Smedile, “il mare è nell’aria”: “Lo dicono le pietre/ i piedi, le scarpe/ i
volti, i profumi/ i rumori”. L’elemento, la sua grandezza accoglie e sembra che
davvero, come ha espresso in un suo titolo Giuseppe Conte, non si possa finire
di scrivere sul mare. Non può mancare, comunque, l’ansia metafisica del “come
tornare con la mente/ dove siamo stati con il corpo?/ Dove eravamo quando
ancora/ non eravamo noi?”. Forse potremmo osare dire che eravamo negli occhi
dei figli, i doni lungo il cammino sacrale, distaccato ed unito ai sussulti
delle domande che nutrono la poesia. Ecco perché, scrive Salvatore Smedile, “E’
ora di andare/ di tornare da dove siamo/ partiti”, in un ciclo fertile che ci
fa pensanti in tumulto, anche quando “sembra impossibile/ essere stati il
cammino/ che non abbiamo deciso”.
Andrea Rompianesi
domenica 31 marzo 2024
Alessandro Assiri “Abitarmi stanca” (Puntoacapo Editrice, 2023)
Andrea Rompianesi
mercoledì 13 marzo 2024
Gianfranco Galante, Ti "racconto" perché, Circolo Scriptores, Varese, 2024
Si potrebbe definire lo scritto di
questo testo “Ti racconto perché” come un poema d’amore e sull’amore.
Infatti, a mezzo tra una serie di racconti, di poesie e di saggio, ci stanno
una riflessione importante ed un invito. La riflessione è appunto quella
riguardante l’amore in ogni sua forma e dimensione, l’invito riporta il lettore
ad un esame di coscienza su di sé e sul mondo che lo circonda.
Ora, i racconti si potrebbero
paragonare a degli exempla(1) che supportano considerazioni e
valutazioni dell’autore, mentre le poesie traducono in sintesi le più svariate
emozioni dovute a storie e accadimenti inerenti l’amore stesso.
Variegate sono le situazioni, ma una
sola è la soluzione. Essa si traduce nella consapevolezza che l’uomo è un
animale pensante, cosciente, dotato di una propria volontà e di un libero
arbitrio che lo distinguono e lo fanno unico al mondo. Per questo ontologicamente
si rende necessaria un’educazione all’altro, alla sua comprensione ed
accettazione, e per questo basta una parola semplice che tutto racchiuda:
amore. E non è la prima volta in cui Galante ci dà lezione, attraverso le sue
opere, di moralità, civiltà e buon costume. Attenzione: moralità e non
moralismo.
Si tratta allora di un trattato
sull’amore? Certamente, ma non in senso filosofico sebbene poetico. Come ebbe a
sottolineare Kant in un famoso detto: il cielo stellato sopra di me, la
legge morale dentro di me.
Alcune riflessioni qui inserite erano
già presenti nel De amore di Andrea Cappellano, come ad
esempio: Nei piaceri d’amore non sopraffare la volontà
dell’amante, oppure Conserva la castità per l’amante, ed
anche Nel dare e nel ricevere piaceri d’amore mai deve mancare il senso
del pudore. Ma Cappellano fu un autore medievale, con tutti i limiti che
noi sappiamo e che non starò a sottolineare.
A tal proposito mi sovviene
l’episodio dantesco di Paolo e Francesca, condannati non perché si amano ma per
il fatto di essersi lasciati trascinare dall’irrazionalità della passione. Ed è
una testimonianza, che l’amore è un elemento principale della condotta umana:
da lì parte il tutto. Come lo dimostrano anche le parole di Cristo, o di
Agostino d’Ippona che sostenne: “Ama e poi fa’ quello che vuoi”, perché
era sicuro che l’amore conducesse solo al bene.
Dante attraverso quell’episodio del V
Canto della Commedia condannava i romanzi cosiddetti d’amore che conducevano i
lettori ad una pedissequa imitazione dei protagonisti.(2) Oggi non è più
così. E non so quanti leggano ancora romanzi rosa, appassionanti e appassionati
(lontane sono Liala, Delly, Mura, Guido da Verona, Pittigrilli). Oggi è la
stagione degli influencer: questi sì, imitabili ed imitati e forse
pericolosi, su alcuni aspetti, come lo fu, secondo l’Alighieri, Chrétien de
Troyes con i suoi Lancillotto e Ginevra. Di per sé lo svenimento alla fine del
Canto del Poeta dimostra come l’equilibrio amore-passione e
razionale-irrazionale sia labile e il loro confine indefinito e indecifrabile,
cui nemmeno Dante, soprattutto in età giovanile, poté sottrarsi(3).
Ma esistono purtroppo anche
comportamenti inaccettabili tra amanti, meglio tra marito e moglie, ben
sottolineati dall’autore e del tutto condivisibili. Non so se Galante abbia
visto il film della Cortellesi “C’è ancora domani”, tanto giustamente celebrato.
Di sicuro, però, il modo in cui in questo racconto-saggio viene descritto il
rapporto uomo-donna è una chiara esaltazione di una unicità di legame
paritario, attraverso la gentilezza, la comprensione, la non sopraffazione
dell’uno sull’altra.
Nella seconda parte del testo,
l’autore si sofferma sulla valorizzazione di altre culture, di altri saperi, di
altri costumi. Ecco allora che da una prospettiva del singolo la visione
offerta da Galante ci riconduce alla collettività. Un tempo, sostiene, gli
emigranti eravamo noi italiani. Oggi noi siamo terra di immigrazione. Per
questo dobbiamo saper accettare il diverso da noi.
Dalla “comprensione” empatica verso
l’altro al discorso sulla guerra il passo è breve e naturale. La pace in fondo
è un problema d’amore.
Così il libro diventa un vade
mecum importante se non necessario da sistemare sul proprio comodino e
sfogliare prima di addormentarsi, per un confronto con se stessi o per puro
piacere intellettuale nella lettura di poesie e racconti come fossero favole o
parabole divertenti oltre che esplicative e didascaliche.
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1)
Exemplum: racconto veridico a scopo
didattico-religioso tipico della letteratura medievale, in cui il protagonista
alla fine raggiunge la salvezza dell’anima. Nel corso dei secoli assunse un
aspetto sempre più letterario, sino a confluire nella novella.
2)
“Quando leggemmo il disïato riso / esser basciato da
cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, // la bocca mi basciò
tutto tremante. / Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non
vi leggemmo avante”.
3)
Si veda a tal proposito “La vita nova” in cui
Dante tende a superare l’aspetto dolcestilnovista dell’amore cortese, portando
l’amore a più elevata essenza e facendo della donna il tramite per raggiungere
Dio.
Enea Biumi
martedì 5 marzo 2024
Lamberto Garzia “Live dealer” (Puntoacapo Editrice, 2024)
Croupier a vita inserito nelle interiezioni (intese come originate dal “gettare in mezzo”) estranianti per passaggi focalizzati in piani narrativi che si alternano e si intrecciano attraverso salti temporali e cromatismi linguistici imprevisti. Assalti di personaggi estromessi da una finalità determinata per condurre inestricabili mutamenti al suono di luoghi e tentazioni ludiche o carnali, nella ricorrente sonorità dei rimandi a quella letterarietà che sviluppa una vera e propria prosa creativa. E’ “Live dealer” di Lamberto Garzia, testo-mondo forse postmoderno ma per lo più pagine gravitanti intorno a luoghi distanti e quindi comparabili nell’accezione dell’apporto, come la Liguria e il Messico. Terre di confine alla evanescente possibilità di determinare ogni spazialità tracciabile in multilinguismo a preziosa conduzione letteraria, quale garanzia ricevuta nel ricorrente riferirsi a spunti di rigore stilistico come quello espresso da Tommaso Landolfi. L’avventura di Garzia è nel corsivo delle incursioni tipografiche stesse; nelle proponibili infatuazioni dei gesti autoriali, nello stesso Lamberto che si pone autore e personaggio innestato nella non trama, come espediente ciclico nel vissuto occhieggiare generi impavidi e sottolineature erotiche apertamente provocatorie, senza escludere rigori critici quando è ferita l’incisione di un muro che divide un confine, che preclude l’orientamento libero. E di libertà l’autore avvolge le pagine dove il linguaggio perturbante e intertestuale coniuga celati rimandi ed estensioni liminari, digressioni fruttuose e proposizioni filmiche. L’intreccio delle arti suona dal fervore ammiccante di uno Sterne all’encomio latinoamericano di un Puig o di un Bolano. Un infrascritto che si azzarda, nell’azzardo stesso del giocatore, a pretendere l’emanazione del “mutuus dissensus” perché il contratto di lettura accolga possibilità di ricezione anarchica ed eversiva. Ogni singolo passo del testo è tutto il testo e, nello stesso tempo, non è se non frammento di tessitura dirompente, certo astutamente ludica. Misura di inconciliabile pregnanza sollevata dal contesto di una marcatura ambivalente, a inneggiare l’eclatante alternarsi dei toni stilistici determinanti la costruzione del possibile, quasi inteso come opzione e dicitura di una lettura del mondo nella sua più estesa realtà interrogante. L’espressione già tratteggiata di Lamberto Garzia in questo testo personalizza il sé ma non intende forse mai richiamare l’asserzione riconoscibile, piuttosto alludere ad una incisione nelle pieghe del tessuto vivibile, comunque empirico, di una opzione sempre accertabile, se non del nostro limitato fare, almeno in una coincidenza dove vita e scrittura possano coniugare la peculiarità creativa dell’avventura e dove la scrittura stessa interceda a sorreggere l’inesausta apprensione del nostro desiderio, così costante stimolo e reiterata pena.
L'ANIMA nella Poesia di Prospero Cascini fotografata attraverso la PROPRIA, a cura di Salvatore Monetti
La poesia, in molte delle sue forme, è molto più di un semplice esercizio linguistico o di un passatempo estetico. Essa è da meditazione. ...
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