lunedì 22 aprile 2024

Sandro Gros-Pietro, L'abbaglio del Comandante, Genesi Editrice, Torino, 2024



«Si Deus est unde malum? Et si non est, unde bonum?» Così Boezio nel suo “De consolatione philosophiae”.

È quello che mi è venuto in mente ad una prima lettura di questo intrigante e nuovo romanzo di Sandro Gros-Pietro. Da una parte il male aleggia nella mente del protagonista, il Comandante Guglielmo Picasso, e dall’altra un bisogno ontologico di bene (riflesso nel sentimento d’amore) lo insegue fino alla fine. Una dualità che induce costantemente il lettore a una revisione di ciò che ha letto e leggerà.

E non è certo una novità per lo scrittore torinese la riflessione su tale dicotomia. In effetti, se andiamo alla sua produzione precedente, potremmo inserire questo nuovo romanzo come fosse una continuazione di “Fratello cattivo” e di “Le farfalle di Paciolo”. Ma proprio perché ne “L’abbaglio del Comandante” sono ineriti altri messaggi in diversificati contesti è necessario superare il conflitto fra Male e Bene, per ricondurci a contrasti ossimorici come quello tra Amore e Morte, oppure Ricchezza e Povertà, o ancora Libero arbitrio e Predestinazione. Tutti temi presenti nel romanzo e affrontati con dovizie di immagini ed esempi.

La narrazione inizia con un aforisma: “Non si è mai vittime senza avere colpe sulla coscienza”. E da subito veniamo catapultati in una profonda e seria considerazione filosofica alla quale fa seguito la simbologia di un “naufrago” che si inabissa in un “gorgo”. Ma la riflessione dura poco. Viene spazzata via dalla realtà del protagonista, il Comandante Guglio Picasso, e immediatamente si intuisce come il reale non sia nient’altro che una dimostrazione del pensiero, ovvero una specie di exemplum atto a rendere visibile e concreto ciò che è astratto.

Il romanzo prosegue in questo clima di esame di coscienza serale, ovvero di una laica analisi di se stesso. Guglio Picasso racconta la propria vita, i propri desideri, le vittorie e le sconfitte in un clima di atemporalità. È la riflessione interiore ad avere il sopravvento. E si sa che la riflessione non ha diacronia, un prima e un dopo, ma un nunc et hora. L’ieri e il domani ristanno nell’oggi in una successione non programmata né programmabile, con una casualità quasi sconcertante. L’abilità dell’autore sta nel saper attrarre a sé il lettore in una specie di abbraccio amichevole che è in fondo una mossa avvincente e sapiente all’interno di momenti apparentemente lontani o sconnessi ma debitamente uniti e intelligibili.

Dal secolo scorso, con l’Ulisse di Joice e con la narrativa sveviana, ci siamo abituati a seguire il flusso della coscienza, per cui l’acronia, dettata da continui ed improvvisi flash back (analessi e prolessi) che spezzano la sacralità del racconto, rompendo di fatto il filo della trama, vale a dire la cosiddetta fabula, non disturba, anzi rende più interessante la vicenda che si incentra soprattutto sull’autoriflessione interiore del protagonista. È da questa incessante analisi che il lettore comprende e rinsalda la diacronia delle vicende e il loro apparire nel tempo.

Nelle elucubrazioni del Comandante emerge la sua voglia di primeggiare che nasce, sembra di intuire, dal bisogno di riscatto della propria famiglia, un tempo famosa e ricca dinastia genovese di armatori ed ora decaduta e quasi del tutto dimenticata. Dimentica non certo dal figlio che conserva la casa avita come un Mausoleo, in cui lui stesso ama rifugiarsi per sopravvivere alle incongruenze della vita e alle sue numerose fatiche, fisiche e psicologiche.

Tuttavia il desiderio d’essere il primus (non certo inter pares), è pure il frutto di una mentalità, caratterizzante il fine novecento, giunta a noi tramite l’edonismo reaganiano e il berlusconismo tutto italiano. Di fatto Guglio Picasso riesce a “redimere” socialmente ed economicamente la sua famiglia: diventa armatore ricco, e forse anche stimato, dopo essersi vendicato, con un espediente, non molto nobile per la verità, delle ingiustizie subite da un altro armatore, Angelo Lupi, effettivamente mafioso e fuori legge. Tutto ciò però non gli permette tranquillità e serenità. I conflitti sono sempre in agguato, soprattutto quelli amorosi e famigliari. Nonché i rimorsi.

“È un veleno intossicante, che ramifica in formazioni sempre più estese e asfissianti” esclama a un certo punto della sua riflessione a proposito dell’ex armatore e rivale “Stringe d’assedio l’erbetta verde, la soffoca, la fa deperire. Col passare del tempo, l’alacre e discreto prato verde, morbido come velluto, sopperisce all’invasione della sterpaglia desertica e gialliccia.” Quel prato verde infestato da erbacce è la metafora della sua coscienza sporca e tormentata. Sporca per aver commesso atti illeciti e fuori legge, tormentata peri continui assalti di dubbi, incertezze e ambiguità esistenziali.

Infatti, complessi fattori psicologici ed emotivi, nonché avvenimenti contrastanti, conducono il protagonista, una volta realizzata la sua vendetta, a dover scegliere tra l’Amore e la Morte. Non si tratta tuttavia di reminiscenze romantiche riscontrabili in romanzi novecenteschi o in drammi classici, né di semplicistica trama telenovellistica. Per comprenderlo è sufficiente un breve accenno ad alcuni avvenimenti.

Dopo aver vendicato l’amico Gigi, che pure gli aveva rubato la moglie, e che era stato ucciso da quel tale Angelo Lupi, usurpatore della propria ricchezza famigliare, e suo rivale, l’amore diventa vitale in un incontro casuale con un’infermiera etiope. L’amerà con tutto se stesso, incondizionatamente. L’amerà fino ad aiutare lei ed i suoi in una emancipazione totale dalla miseria. Da lì si dipartiranno altre azioni, altre elucubrazioni, altri sentimenti. Sulla stessa linea sarà il comportamento del Comandante Picasso, ormai anziano, quando verrà a conoscenza d’aver generato con un’altra donna un figlio, attualmente perseguitato dal regime putiniano. Lo riconoscerà, prima di tutto, e in seguito lo salverà attraverso stratagemmi e soprattutto attraverso la sua potenza economica e la notorietà del proprio nome.

Ora non è il caso di spoilerare ulteriormente il romanzo. Vanno però sottolineate ancora tre cose.

La prima riguarda il titolo e la dicotomia presente costantemente in quest’opera di Sandro Gros-Pietro. Infatti, il termine “abbaglio” ha un duplice intendimento: da una parte sta a significare “lampo”, “illuminazione”, dall’altra “errore” (il lettore lo scoprirà solo nell’ultima pagina del romanzo, che disvelerà in una sorta di epifanica illuminazione il vero scopo delle azioni di Guglio Picasso). L’autore mette quindi a disposizione del lettore un ossimoro, (come lo sono la Vita e la Morte, il Male e il Bene, l’Amore e l’Odio) atto a delineare e comprendere l’esistenza stessa del protagonista.

La seconda è la molteplicità delle lenti che si possono utilizzare nell’analizzare il romanzo, ricondotte per semplicità a tre fondamentali: quella morale, psicologica e sociale. L’etica, ad esempio, è ripetutamente ignorata dal protagonista che si sente sempre super partes. Questo desiderio che può derivare da una varietà di motivazioni, tra cui la ricerca di autostima, il bisogno di riconoscimento sociale, la competizione, conduce Guglio Picasso in una eterna lotta con il mondo e con se stesso. La lente psicologica è quella che traspare nel romanzo attraverso elementi e istanti che accompagnano le innumerevoli riflessioni del protagonista, mentre l’aspetto sociologico lo si nota dagli avvenimenti che compongono il quadro storico generale in cui operano i vari personaggi. Se da una parte una delle caratteristiche della società attuale, modellata su standard trumpiani o, per rimanere in Italia, berlusconiani, è una ricerca smodata di successo, dall’altra rimane un quadro abbastanza sconsolante di un impatto negativo sul senso di comunità. Si va cioè a sostituire il bene sociale col proprio bene, minando in questo modo la solidarietà per perpetuare, in una mortale competizione, disuguaglianze e sopraffazioni. Sembra quasi di ritornare all’antico detto “homo homini lupus”.

La terza ed ultima questione è di natura filosofica-letteraria. Ho citato inizialmente Boezio, ma la vexata quaestio tra Bene e Male travalica il tempo e le ere e porta inevitabilmente con sé altri e non meno leciti interrogativi. Come in un fuori programma, vengono a galla nel romanzo confronti, asserzioni e citazioni. Andando in ordine (di pagine e non di tempo) si leggono alcune frasi che a mio avviso sono mattoni importanti nella decostruzione del racconto. E sono quelle sottolineature che ti danno il “la” e ti fanno comprendere, o per lo meno intuire, che il mondo di Guglio Picasso è il “nostro” mondo, che la sua filosofia e i suoi ideali, se non stiamo attenti a non farci ingannare e sopraffare dai luoghi comuni, potrebbero essere la “nostra” filosofia e i nostri ideali.

A tale proposito, riporto una frase che più mi ha affascinato e sulla quale forse si può costruire tutta la trama del romanzo. Eccola: “Plaisir d’amour, mister Guglio, ne dure qu’un moment; chagrin d’amour dure toute la vie”. Un aforisma sull’amore, oltre tutto in bocca al mafioso armatore Angelo Lupi, che però decifra e disvela la natura dell’animo del protagonista. Su questo aforisma si innesteranno azioni nonché interessi dello stesso. Se sostituiamo Plaisir con il Bene e Chagrin con il Male, abbiamo la cartina di tornasole di tutto l’intreccio del romanzo.

Ecco allora che l’abbaglio del Comandante porta in sé notevoli interrogativi esistenziali. Ci obbliga ad uscire dalla metafora per addentrarci nel vivo della realtà quotidiana, a meno che non si voglia rimanere indifferenti a ciò che oggi accade intorno a noi. Sebbene non sia del tutto corretto attribuire ad un romanzo o ad un autore un’impronta didattica, è pur evidente che la letteratura abbia implicitamente una sua validità morale: quella di farci riflettere.

Negli anni novanta del secolo scorso si è dato avvio a sistemi di vita e concezioni facilmente riconducibili al nostro Comandante Guglio Picasso. La televisione ha invaso le nostre menti condizionandone spesso le idee. La civiltà industriale avanzata ha creato una non-libertà più temibile di una dittatura. La globalizzazione, che di per sé può essere un bene, si è rivelata essere anche e soprattutto un male. L’uomo a una dimensione, di marcusiana memoria, è divenuto quel “pensiero unico”, in cui chi pensa o agisce diversamente è allontanato, deriso, sconfitto.

Riassumendo, dunque, viene spontanea una riflessione riguardante sì le azioni del Comandante, ma non solo. Si tratta cioè di rivedere e rileggere la carta d’identità di tutti i personaggi del romanzo per avere coscienza di tutto ciò che è di contorno. Allora scopriamo la falsità di alcune esistenze, la loro grandezza inutile, il loro potere, la smisurata rincorsa del denaro, la loro fragilità psicologica, la mancanza di ideali.

Forse anche Guglio Picasso ha rivisto la propria esistenza in tale direzione. Forse avrebbe persino voluto rimediare ai suoi errori. Questo non lo sapremo mai. Le sue ultime decisioni sono per la salvezza del figlio. Ormai ottuagenario porrà fine alla propria vita che si dissolverà con lui nella cella ecologica del suo transatlantico.

Ma è veramente sua la volontà che gli propina l’eutanasia o sono le circostanze che gli impongono l’autodistruzione? Dove sta il libero arbitrio, ci si può chiedere, se il Comandante è comunque obbligato ad agire in quel modo per salvare il figlio dalle grinfie putiniane? Può essere che Guglio Picasso sia stato predestinato ad una vita come quella da lui condotta fin dalla sua nascita? O no?

Non c’è risposta, perché non è questo lo scopo del romanzo. La piacevolezza di un racconto non sta in ciò che può più o meno insegnare. Ma nel suo intreccio. Lo sosteneva già Maritain. Tuttavia L’abbaglio del Comandante è uno di quei libri che aiutano, autorizzano e incoraggiano analisi nell’affronto di realtà quotidiane e nel confronto di un mondo contemporaneo spesso di difficile decifrazione.



Enea Biumi

 

 

 

 

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