giovedì 5 maggio 2022

Ranieri Teti “La vita impressa” Book Editore, 2022


Quando una vera e propria prosa creativa, libera comunque dai lacci di qualsivoglia canone, riesce a convincere e coinvolgere, sorge una sensazione di apertura, anche in questi nostri tempi incerti. Poiché allora davvero, come dice Laura Caccia nella sua nota, i nomi riescono a fondare l’esistere, bastano a fare la vita. L’esito è “La vita impressa”, appunto, di Ranieri Teti, per lunghi anni tra i redattori della rivista “Anterem” diretta da Flavio Ermini, e ora curatore delle edizioni omonime. Il testo, sviluppato nell’arco di quindici anni, è strutturato in brani ontologicamente costituiti da una frammentazione ricomposta dall’’ondeggiare ritmico, pacato, riflessivo, che determina nella concentrazione dei passaggi il riproporsi sempre più incalzante e assiduo del passato, degli episodi reinterpretati nella continuità inesausta e filtrata. La bellezza linguistica qui diviene nitore morale, “si vive, progressivamente entrando nell’ordito di un ritorno, con il rumore degli aghi nelle impunture... raccogliendo quello che la vita depone e lascia all’incanto, nel diario degli anni”. C’è un risuono in accenno di sinestesie cadute all’ombra delle polarità scoperte, quali fonti di energia semantica approntata alla condivisione dei segni in natura posti al deflagrare dei rimandi o percezioni instabili, coniugando il destino di percorsi negati, moti relazionabili a luoghi reinterpretati. Il tono letterario di Ranieri Teti trova nitidissima traccia di equilibrio denso e sapiente, enunciato nell’asperità della frammentazione dalla quale si origina il sussulto anelante e proficuo che abita lo spazio della pagina, dichiarando la peculiarità dell’evento. I segni riflessi decifrano costanti l’apparato udibile percepito e inalato nei successivi idonei espedienti, emissari di una tenuta compositiva capace d’invenire gli spunti tracciabili che dissolvono ogni rischio di deriva propria del paurare. Così l’esodo non è fuga, non impone scarto o scoglio ma imprime composizione di tracce a decretare esegesi ostinata. La solidità del vocabolo interviene a disgiogare come a promettere sviluppo di tempi nella costitutiva valenza delle parole. E’ una danza ospitata oltre le trafitture che si fa passo esplorativo, composto fonetico escludente l’indugio, in una nominazione comparativa e reiterante, pur nella volontà di mantenere il netto rigore di un equilibrio espressivo. E’ come accorgersi delle consistenze nei presidi, delle similari attenuazioni che collegano eventi lontani, riemerse opzioni di moto, come successioni di frequenze interpretabili “in un continuo esilio, con quello che resta del grido quando precipita il vento”; Ranieri Teti esplicita il contenuto dedicarsi alla possibilità di rallentare il processo analitico, concedendo una rigorosa meditazione coinvolgente le sfumature rivelate dagli elementi. La domanda circa il troppo o il troppo poco incessante nella composizione delle percezioni denota il carattere aurorale delle scelte lessicali, attraverso fascinazioni migranti oltre il solco della verifica dove può non mancare “il fango sulla portiera in questa fermata”. Indubbiamente emergono anche tracce di abbandoni, solitudini, divisioni, transizioni, ma il restante si fa corpo e intelaiatura di progressive visibilità completanti lo spazio abitato dalla potenzialità della parola pensata e pensante. A volte una vocazione all’anafora sottopone l’esprimibile al riscontro articolato nei rimandi di confine ed esilio verso l’epicentro del sentire e il veicolarsi delle trasparenze. L’elencazione conferma dimore pausate, versanti possibili, figure a scomparsa, profili a frotte nonché un diradarsi aperto a imminenze sospese. Ranieri Teti incide operazioni votate alla misura di una osservazione inerente ai tracciati rivedibili oltre gli orizzonti periferici, muovendo sempre il segno “all’improvviso quando il perduto si chiama ricordo”. Il linguistico reficiare nutre espedienti accorpati in attesa di sviluppi in accenni, comportando un idoneo rigore che essenzializza suggestioni a passaggio “tra i passi sul selciato come solo nel sonoro di un film, la portiera rimasta aperta e più in là il mare”.

  Andrea Rompianesi

 

 


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