mercoledì 23 luglio 2025

Sofia Fiorini, Il passero bianco, Vallecchi, Firenze

Non bisogna lasciarsi ingannare dalla fluida leggerezza dei versi che accompagnano la silloge del “Passero bianco” di Sofia Fiorini. Trovo, infatti, che la giovane poetessa – nata nel 1955 – esibisce un’energia ostinatamente combattiva fra i meandri della vita e della morte, tutta tesa a coglierne le infinite sfumature, a indagare e domandarne spiegazioni.

Partendo da una situazione onirica del ricordo dell’infanzia (la casa, il giardino, la nonna, il gatto) l’autrice riscopre il furto colpevole degli inganni, lo sconforto di una trama non nostra ma imposta, epigono forse di un male più esteso e assoluto che ci è dato da sopportare. Da qui l’ossessione adiaforica da superare per non rimanere travolti “perché i morti siano / morti e i vivi siano vivi / ognuno deve godere del suo sole”. “Aspettavo che mi si seccassero / le ossa – aspettavo di smettere / di soffrire per il freddo ed il calore”.

Attraverso un’atmosfera magica di un racconto fiabesco in versi Sofia Fiorini immerge il lettore nell’ossimoro di una realtà irreale, lo trascina e avvolge in un mondo fantastico costruito su un duplice piano, lineare e verticale, che sogna e desidera, e vive e immagina, e narra e sottace.

C’è un passo ne “La nascita della tragedia” di Nietzsche in cui si accenna a Re Mida che insegue il satiro Sileno interrogandolo su quale sia la cosa più desiderabile e migliore per l’uomo. La risposta è questa: “non essere mai nato, non essere, non esistere. Ma la seconda cosa migliore per te è… morire al più presto.” Ecco: in tutto il percorso della raccolta Il passero bianco rappresenta, da una parte, l’interrogativo di Re Mida e, dall’altra, la risposta di Sileno. Un ininterrotto ripensare all’esistenza entro i confini della realtà e del sogno, dove gli incontri si evolvono nella consapevolezza di una vita tormentata e subìta. “Che sorpresa quel mattino / umido sul fiume, credersi morta / e scoprirsi capace di dolore”.

Protagoniste, e antagoniste nel medesimo tempo, di questa favola poetica sono le Genti beate, che appaiono come fossero delle Erinni (“nel caso che le incontri, un uomo deve fuggire, altrimenti lo sbranano e lo divorano”) ma che restano perenni interlocutrici della poetessa. Anzi, in alcuni tratti e momenti specifici assumono l’ufficio di mentori, come sacerdotesse atte a introdurre la neofita ai misteri della vita. “E loro, ferme sul sentiero, / a me: «non hai altro posto, / non hai davvero / altro posto all’infuori di questo»”.

In ogni verso della silloge si respira come un senso di libertà, un desiderio di emancipazione da ogni struttura soffocante la propria personalità, una voglia di resilienza ad ogni tipo di costrizione e sottomissione. Tutto sembra rimandare ad una illusione che ricorda l’uomo di Schopenhauer irretito dal velo di Maia, che come in un mare in tempesta siede in una piccioletta barca fiducioso di non affondare perché si affida al principium individuationis. In effetti gli spunti che le pagine del libro rivelano sono un cartiglio classificatore che la scrittrice si sente in dovere di attuare: tra sogno e realtà scorrono gli istanti di una vita, come fotogrammi e interrogativi che avanzano ad apta. E si svelano, poco a poco, i segreti, si coglie, quasi improvvisamente, il sentimento d’amore: “Era lì, come un grande cervo (…) Mi parlò (…) Mi piaceva la sua voce”. Tuttavia ciò che resiste, ciò che è più sincero e vero, è ancora il mondo dell’infanzia perché tutto sembra risolversi solo nella fanciullezza, dove anche la tranquillità dell’anima si fa esplicitamente sentire. “Si fecero spiegare / cos’erano i bambini / e la scuola elementare. // Dissi che era il posto / in cui si sentiva meglio il sole”.

Si può dedurre, allora, che i tanti fantasmi che l’immaginazione può offrire, hanno il nome di destino. Così Il passero bianco non rappresenta unicamente la fatalità che dalla vita conduce alla morte, ma diventa tout court un desiderio di trascendenza, una studiata e consapevole libertà di scelta. “Questa anche per noi sarà una festa / – mentre le fate traghettano / i morti all’altro mondo – la festa // in cui ognuno si riprende le sue ossa.”

I versi di Sofia Fiorini diventano pertanto anche una ricerca della verità, un discrimine tra illusione e realtà, tra fantasia e concretezza, ribadendo in maniera icastica che la salvezza – di se stessi e del mondo – è un’incessabile indagine, un controllo meticoloso del possibile e dell’impossibile. E tutto ha inizio e fine in una specie di dégorgement che svela cosa possa perdurare nella contrapposizione vita e morte. Così il tempo diventa l’enigma più seducente e simbolico. “Silenzio lunare. / Nessuno mi aspetta. / Tempo della mia segretezza”.

La parola assume, in questo contesto, un’importanza vitale per la sua autenticità e inalienabilità. Allo stesso modo, autentico e inalienabile è il mondo dei bambini in cui il dolore, tutto sommato, viene esorcizzato tramite il sogno che supera la cavità del tempo e fa riemergere sensazioni tattili e uditive. “Cercavo, cercavo / il lenzuolo sotto la corteccia / cercavo con le mani la mia faccia, mi chiedevo lui dove fosse / a quell’ora del sabato, / tra l’uno e l’altro / di quei timidi tocchi di campana.”

La parola in sé diventa non solo parte della favola ma pure parte della vita della poetessa. La accompagna. La imprigiona. La distrae. La umilia. La ridicolizza. L’aiuta. La salva, infine.  Nel coacervo di segni, apparentemente indecifrabili, nella molteplicità dei simboli, la fiaba-poesia svela il suo significato. Le sensazioni che la Gente beata aveva acceso nel cuore dell’autrice attraverso la sedimentazione di un costante dialogo, per altro a volte contrastato e in contrasto, recuperano quell’erlebnis forse scordato, forse rimosso, ma comunque riferito alla vita vera, sia pure narrato nel corso di una fiaba. “Ero pronta, ero pronta / non avevo fatto altro / tutto l’anno, sarebbe stato / come chiudere un cancello”.

È un poetare adulto, questo di Fiorini, che evoca una sorta di ontosofia che disvela come il contingente e il quotidiano possano essere ancorati a un linguaggio onirico e simbolico senza nulla smarrire dell’essenza stessa di un esistere in funzione dell’hic et nunc.

 Enea Biumi


Nessun commento:

Posta un commento

Successo per il secondo "Streaming internazionale di poesia"

  Numerosi poeti, da tante parti del mondo al secondo streaming internazionale di Poesia "Anima e Core”. Per l'Italia: Cesare Casti...