La piazzetta che Varese ha dedicato a Liala
I romanzi di Liala, anche se hanno avuto un eccezionale successo di pubblico e lettori (oltre dieci milioni di copie vendute solo in Italia), sono sempre stati snobbati dalla critica ufficiale, come appartenenti al solo genere rosa, rivolto ad un pubblico solo femminile e non meritevoli di studio come espressione di vera letteratura. Ritengo che ben pochi uomini li abbiano letti, ma li hanno guardati sempre dall’alto in basso, e a priori considerati scadenti.
Soltanto nel 2013, dopo 18 anni dalla morte della scrittrice, si è organizzato un convegno sulla sua produzione letteraria e ne sono stati pubblicati gli atti nel libro Liala, una protagonista dell’editoria rosa.
Un altro pregiudizio che ha escluso i romanzi di Liala da una
seria valutazione critica sul loro valore letterario e narratologico è l’averla
considerata prima “militarista” poiché i suoi racconti fino al 1945 avevano
come protagonisti aviatori e il loro ambiente; poi aristocratico-conservatrice, poiché le classi
sociali dei protagonisti sono quasi sempre altolocate, mentre gli umili
(operai, camerieri, giardinieri), sono visti con paternalismo e distacco.
Frequenti le ragazze di famiglia umile di cui si innamorano nobili e
industriali, spesso sposandole. E’ evidente che la critica letteraria del
dopoguerra, fin quasi a fine Novecento, quasi tutta militante e engagée a
sinistra, abbia ignorato e snobbato questa scrittrice che, in tempi di
neorealismo, descriveva con toni a volte dannunziani sontuosi palazzi e interni
e industriali arricchitisi durante la seconda guerra mondiale.
Mia intenzione è esaminare una quindicina di romanzi scritti
da Liala, tenendo conto della data in cui sono stati scritti, dal punto di
vista della trama e narratologico e dei pregi stilistici.
Per la datazione degli anni in cui sono stati scritti (non di
edizione), sono grato alla figlia di Liala, Primavera Ippolita Cambiasi, che
nel 2001 mi ha gentilmente inviato una lettera con l’elenco dei romanzi di sua
madre, con accanto la data di composizione. E l’elenco è un’ottima fonte,
poiché la marchesa Primavera è stata tutta la vita accanto alla madre, come
segretaria e collaboratrice.
Dal punto di vista stilistico, molto efficace è l’espressione
del linguaggio non verbale, di viso, gesti e prossemica, che cala il lettore
nell’atmosfera e glielo fa percepire in modo sinestetico, e l’abilità di Liala
nel rendere spontanei e realistici i dialoghi. Splendide e pittoriche le
descrizioni paesistiche, di albe a tramonti, luci e ombre, azzurri di mare e di
cielo.
Acuta e profonda conoscitrice dell’animo umano, femminile e
maschile, arricchisce i suoi romanzi con tutta la gamma dei sentimenti, vizi e
passioni (invidia, gelosia, simulazione, seduzione, ira, vendetta), non
soltanto sentimentalismo e amore, e costruisce caratteri a tutto tondo, con
tic, fisime, intercalari tipici, pregi e difetti.
Naturalmente alcuni valori sono ormai sorpassati, ma il suo
narrare è sempre fresco e attuale. Lo era sessanta-settanta anni fa per le
nostre nonne e bisnonne, lo è per le madri e ragazze di oggi, che sentono il
bisogno di sfumature psicologiche, di essere immerse in atmosfere anche datate,
ma che le facciano meditare (e anche un po’ sognare) e vadano oltre il tutto e
subito, l’essere sempre connessi online e la saturazione/ubriacatura da video e
foto condivisi sui social.
IL LINGUAGGIO NON VERBALE DI LIALA
Liala ha un’abilità eccezionale nell’immergere i lettori nelle atmosfere e situazioni descritte. Non parliamo soltanto delle minuziose descrizioni di paesaggi, interni e abbigliamento dei personaggi.
Molti dialoghi sono vere sceneggiature: il lettore vede la
scena, vi è immerso e coinvolto. Con verbi opportuni ( sussurrò, bisbigliò, cinguettò,
mormorò, sibilò, sospirò, spifferò, ribatté,
balbettò, farfugliò, bofonchiò, singhiozzò, sbottò, sbraitò, tuonò, inveì, esclamò,
urlò, ciangottò, ecc) la scrittrice ci fa sentire il tono delle voci e
trasmette sentimenti e stati d’animo. L’aggrottare la fronte, l’inarcare le
ciglia, il socchiudere le palpebre, lo spalancare gli occhi, lo sbarrarli o
strizzarli, lo sbirciare o guardare di traverso, il chinare lo sguardo o il
volto, il fissare negli occhi, l’alzare con fierezza il mento, l’arricciare o
torcere il naso, lo schiudere o increspare le labbra, l’avvampare o sbiancarsi
delle gote ci comunicano emozioni più delle parole e le rendono più vive.
Così il chinare le spalle o alzarle o stringersi in esse, l’ergere
il busto, il sobbalzare, il fremere, il tremare, l’irrigidirsi sono soltanto
qualche esempio di comunicazione non verbale. Così il linguaggio delle mani e
delle dita che si intrecciano, si serrano a pugno, con le nocche che si
imbiancano, che supplicano, che accusano, che si aprono o si chiudono e
serrano.
E’ opportuno notare che la natura ha dotato molto di più le donne che gli uomini della capacità di percepire e interpretare il linguaggio degli sguardi e dei gesti, perché possano capire i neonati, che comunicano con il pianto, con strilli e posture. Dato che la platea di chi leggeva e legge i romanzi di Liala era ed è soprattutto femminile, ne comprendiamo il successo anche per queste sue doti espressive e comunicative.
Molto importante in Liala è anche la capacità di esprimere la
prossemica, ossia l’accostarsi o allontanarsi dei personaggi tra loro, la
posizione nello spazio della scena descritta. Il porsi di lato, di fronte, alle
spalle, il porgere o accendere una sigaretta, il modo di tenerla tra le dita,
di fumarla o di spegnere il mozzicone (
quasi tutti i personaggi dei romanzi di Liala fumano) dicono moltissimo al
lettore. La scrittrice è molto attenta alla prossemica, come un regista che
prepara gli attori e le scene. La grande differenza è che in teatro, nei film o
telefilm gli attori trasmettono direttamente agli spettatori linguaggio non
verbale e prossemica, mentre lo scrittore deve parlare alla fantasia dei
lettori che vedono le scene attraverso le parole lette. Per questo è
fondamentale che il linguaggio dello scrittore sia icastico.
Francesco Dario Rossi