venerdì 14 gennaio 2022

Liala: "Sottovoce o mia Niny". Recensione di Francesco Dario Rossi


Questo romanzo si distingue dagli altri per profondità di ispirazione e novità dei temi. E’ fondamentalmente dannunziano nell’accostamento di vita e arte. 

Deo Navara, grande attore di prosa ed interprete di drammi shakespeariani, vive intensamente i suoi ruoli di artista drammatico. Fonde spesso la passionalità dei personaggi interpretati (Otello – Amleto – Romeo) con la propria passionalità ed i propri sentimenti. Vive la gelosia di Otello come la sua latente gelosia verso l’attrice-amante Gilda; quando in scena uccide Desdemona scarica la sua vendetta e rancore contro Gilda, che lo ama in modo ossessivo; quando, dopo la riconciliazione, interpretano insieme Romeo e Giulietta, vive nell’amore romantico di Romeo il proprio amore per Isea.

La scrittrice coglie bene la situazione dell’attore che, quando si cala nel personaggio, diventa personaggio e per lui è difficile scindere la vita di questo dalla vita reale (una tematica tipicamente pirandelliana). Quando tra personaggio scenico e realtà vi è troppo distacco, ne soffre l’interpretazione e  l’efficacia artistica dell’opera teatrale.

Infatti, quando Navara è in crisi per essere stato abbandonato da Gilda e quando sfuma la sua illusione d’amore per Isea, non riesce ad essere convincente e “reale” sul palcoscenico. Tuttavia, la colpa è anche della nuova partner, la Paradisi, attrice non adatta a ruoli particolarmente drammatici, e del difetto di udito di Deo, costretto a muoversi sul palcoscenico in modo artificioso per poter udire le parole degli altri attori ed il suggeritore. 

Nel romanzo vi è quindi anche il dramma di un attore che si sente menomato ed inutile per l’handicap uditivo. Navara non reagisce di fronte all’insuccesso teatrale e personale, ma si rifugia nella sua casetta in montagna, vicino al Passo della  Cisa (fuga dalla realtà, esilio in un luogo di pace ed apparente serenità, scelta di non-vita, tipica della depressione).

Isea Benini, giovane sorella del suo amico Enzo, si innamora di Deo, vedendo in lui il grande artista, idealizzandolo per il suo fascino di grande attore teatrale, gli rivela il suo amore e, per restargli vicino, cerca caparbiamente di entrare nella sua Compagnia drammatica come attrice giovane; in effetti studia recitazione, raggiungendo buoni livelli, proprio perché sorretta dal suo amore-dedizione. Ma quando lui si ritira nella sua casetta in montagna, e lei lo vede sceso dal piedistallo, mal vestito, con la barba lunga, l’infatuazione di Isea svanisce.

Deo Navara ricambia l’amore di Isea, ma non glielo rivela. Vive passione e tormento dentro di sé, sapendo che non era realizzabile per differenza di età e di ceto sociale. 

Identifica la purezza, l’innocenza, lo splendore degli occhi di Isea con l’innocenza della piccola Niny, una bimba di tre anni che vive con la mamma nel paesino sulla Cisa.  Arriva a chiamare Niny Isea. Bella la frequente sovrapposizione Niny-Isea e dello sguardo della ragazza con la dolcezza e semplicità della bimba. Le due immagini spesso si accavallano, si confondono  nella mente di Navara: nelle grandi manifestazioni di affetto per la piccina, negli slanci ingenui di questa verso di lui si può leggere simbolicamente un’incarnazione  dell’amore tra Isea e Deo, rimasto in potenza, platonico, idealizzato.

Anche dopo che Isea si fidanza e sposa con il nobile e ricchissimo Massimo Ivrea, non finisce il loro amore, che conserva il fascino e l’incanto delle attrazioni inespresse e non compiute. Durante la prima di Romeo e Giulietta, alla fine del romanzo, Isea dal palco lo guarda ed ascolta, estasiata dalle sue dolci e sognanti parole, e Deo è particolarmente calato nel personaggio proprio perché non parla con Gilda- Giulietta, ma con Isea, l’Isea che rimane sempre sua, nel profondo del suo animo. 

Altro motivo di ispirazione nel romanzo è il contrasto, frequente in Liala, fra il mondo raffinato, lussuoso, colto, della “buona società” a cui Deo appartiene come artista, ed il piccolo mondo di paese, fatto di cose piccole e semplici ( il fumo della stufa a legna, il latte nel bricco, l’odore del caffè, l’umidità alle pareti, ecc.), di Deo quando si ritira nel suo paesino.

Liala è attratta dalla poesia del “piccolo mondo”, descrive con dovizia di particolari i gesti quotidiani delle persone semplici, come Costanza, la mamma della piccola Niny, che accudisce Deo in paese, porta il lettore a sentire gusti e profumi di infanzia, di passato. Però è attratta maggiormente dal lusso delle vesti, dallo splendore di luci, dalle architetture imponenti e addobbi sontuosi, che lei descrive con competenza, riecheggiando a volte D’Annunzio..

Interessante è inoltre la complessa personalità di Gilda. Innamorata di Deo, ne è tremendamente gelosa. Lo affianca come attrice, raggiungendo alti vertici di espressività recitativa ( vedi l’interpretazione del ruolo di Desdemona nell’Otello). Poi , credendosi soppiantata dalla freschezza e dal lusso di Isea, abbandona Deo per un anziano e ricco produttore cinematografico. Quando questi si allontana da lei e Gilda si accorge che Isea non è più infatuata di Deo, va da lui nel paesino, apprezza (o finge di apprezzare) le “piccole cose” di lassù e riesce a convincerlo a ritornare con lei al teatro. Grazie all’aiuto finanziario di un amico dei marchesi Ivrea, Deo può allestire una nuova Compagnia teatrale e mettere in scena Romeo e Giulietta. Gilda capisce che può farsi accettare da Deo solo come artista e amica, non come donna, perché non è più attratto fisicamente da lei.

Il romanzo termina con le parole che Deo – Romeo pronuncia, guardando Isea spettatrice, prima di uccidersi: “Offro questo al mio amore” (Realtà o finzione scenica?) Comunque la finzione scenica prevale sulla realtà: l’arte, ancora una volta, dannunzianamente, fagocita la vita.

In questo romanzo lo stile è nel complesso artistico, letterario. 

Molto efficace la descrizione di un delirio febbrile di Deo, a cui pare di vedere danzare le fiamme dal camino e di udire le note di una cullante melodia, nello stato crepuscolare della coscienza dovuto al febbrone. Tra delirio e coscienza, tra sogno e realtà gli pare di vedere la bacchetta di un direttore d’orchestra che dirige queste visioni del delirio. Suggestivi il senso di sordità totale e di onde che si infrangono nell’orecchio (acufeni propri di chi sta perdendo l’udito) e l’affondare l’orecchio sano nel cuscino per trepidare in tale sensazione ultraumana.

Il titolo è anch’esso molto efficace. Esso è tratto dalla frase che Deo sussurra ad Isea, quando ella gli rivela definitivamente di essersi innamorata di Massimo Ivrea e di aver deciso di sposarlo. 

Deo Navara le dice questa frase, in apparenza per evitarle l’imbarazzo nel rivelargli i suoi sentimenti e nello smentire quello che tempo addietro gli aveva confessato e promesso; in realtà perché lui, non udendo da un orecchio e voltandosi verso di lei proprio da questa parte, non vuole sentire quello che Isea gli dice, perché gli farebbe troppo male. Ancora una volta avvertiamo tale ambivalenza tra apparenza e realtà, tra credere e sapere, che si intersecano in questo romanzo, come accade nella vita dell’uomo.

Francesco Dario Rossi

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