Andrea Rompianesi
Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
venerdì 10 gennaio 2025
Adelio Fusé “Di chi sono queste insonnie” (Piero Manni, 2025)
venerdì 20 dicembre 2024
Enzo Campi “Fate attenzione a non calpestare il testo!” (Puntoacapo Editrice, 2024)
Dalle animalìe e
dai bestiari di una origine nietzscheana erompe o, meglio, trapela la voce
insistente e reiterante di una poesia che oppone la determinazione assertiva ad
una sottostante dolenza. Dire “e/ pure/ procede/ dilagandosi a raggera, non
rivendica piccoli padri/ né magnifiche madri...” equivale, forse,
all’appostarsi intorno all’esigente dicibile, attutito ma immite, quale
rimozione dell’ingiusto. Scriviamo del libro di poesie “Fate attenzione a non
calpestare il testo!” di Enzo Campi. Esito evocante uno spirito drammaturgico
sulle orme di Zarathustra, sui confini levigati dalla domanda che è ferita,
oltre le disamine di cori e corsi, di ciò che non basta a sfiancare il
riproporsi delle ingiurie e delle cadute. Il sacrificio è termine di una
proposta assidua che scolpisce sulla pagina dell’autore una impalcatura stabile
nella natura compiuta, in sé dialogica, tra il profilo del poeta e quello del
filosofo. Enzo Campi sembra tracciare un solco che equivale a trattare il testo
nella sua esigenza contenitiva, affiorante dalla presunta ipotesi di sollievo,
estinta poi nella perdurante complessità dei referti. Il segno è talvolta
potenziale, come quesito accolto e temprato nella chiave atemporale e
ossimorica dei suggeriti passi a misura di corpi vegetali, animali, umani. Il
verso interroga nella forma più contratta, in altre fasi si allunga alla
consistenza del frasario. Il fronte quasi leggendario comporta florilegio di
giudizi; azzarda la sosta nella proiezione teatrale che dimensiona uno
slittamento verso l’epicentro della chiamata. “Tutto scorre, certo/ tutto
fluisce e rifluisce docilmente/ nello stallo in cui si consegna il derma/
all’attacco del chiodo di turno”; come reagire al dramma diuturno che lambisce
la vicenda del giorno, nel fluttuare incostante dei destini e delle ombre, là
dove il sacrificio rinnova la sua peculiare natura fra traumi e dettati.
S’impone il bestiario in forma che inquieta e devasta nella percezione di un
riprodursi di perdite eviscerate nell’integrato consumo come algida
osservazione che l’autore impone in una ipotesi di sconfitta: “in questo falso
tripudio di vita/ che tanto somiglia alla morte”. Ci sarà dissoluzione in danza
tra i versi del poeta che ritrova l’occasione di un richiamo quasi profetico
verso constatazioni di avvenuta incomprensione o piuttosto isolata e appartata
mestizia. Il canto indecifrabile della sirena si stempera nei dettagli
inquisiti e posti alla luce fioca della comparazione esegetica. E allora il
profondo è “crogiolo di scaglie e di squame”, nella proliferazione di umidi
cunicoli impervi e retaggi di gabbie, ma anche simulazioni di stadi, di
avvenute metamorfosi, quelle scandite da Nietzsche verso l’oltreuomo da
cammello, leone, fanciullo. Dal troppo umano emerge il germe dell’ingiustizia
che cavalca la storia, in quel tono tendente al sapienziale per rendersi
prossimo alla forse illusoria portata inerente all’idea “che il pianto/ non venga versato a caso/ su
questo o quel rudere”. La prigione della libertà, allora, quasi ci preserva
dall’infido oltraggio del reiterato, dalla ciclicità simbolicamente espressa
dal serpente, ma solo nella sua forma relativa in quanto immanente. L’eterno
ritorno sostanziale drappeggia il fronte delle righe condotte da Enzo Campi
all’esito di un continuo interrogarsi: “e fu così che cominciai/ a comprendere
il suo idioma enigmatico” perché “ci sono tavole./ Alcune recano i segni e i
segnali/ del linguaggio/ che ha generato i nostri avi”.
Andrea Rompianesi
giovedì 28 novembre 2024
Paolo Ruffilli “Fuochi di Lisbona” (Passigli Editori, 2024)
“Al posteggio dei tassì c’era il blu di prima che
iniziasse il giorno. Dopo il blu velluto della notte e prima dell’azzurro del
mattino, quando alla fine il buio inciampa a un tratto nella luce”. E’ un brano
dell’opera narrativa di Paolo Ruffilli, “Fuochi di Lisbona”. L’impresa ardua
esprime tutta l’attenzione e il coinvolgimento dell’autore nel suo empatico
percorso, volendo rapportarsi alla scrittura del grande poeta portoghese
Fernando Pessoa e, in particolar modo, al carteggio che testimonia del suo amore
per la giovane Ophélia Soares Queiroz; relazione poi interrotta. Testi stessi
di Pessoa riprodotti in corsivo si alternano alla prosa di Ruffilli che pone
sulla pagina un contemporaneo io narrante, recatosi a Lisbona per un convegno,
e che vive una parallela storia di passione con una donna, Vita, che lo attrae
in un magma di sensualità e fascinazione. Il procedere testuale si pone in una
veste commisurata al sentire la complessità dei sentimenti, dei sensi, il
dialettico arpeggio delle domande, il dibattuto accogliere la seduzione, la
ricerca fondamentale di un significato sempre nascosto nei misteri del vissuto.
E’ una prosa, quella di Ruffilli, che qui sviluppa rimandi, nelle frasi, di
vere e proprie rime e assonanze, quasi a evocare la più autentica natura
poetica dell’autore. La tonalità efficace appare nella esposizione cromatica
delle sfumature che caratterizzano la città sulle rive del Tago, così le
sensuali infiltrazioni della fisicità, la potenza interiore del canto di Amalia
Rodrigues. Da sempre e più di tutto, i colori nella incandescenza
del riflesso sull’anima; “beige e sabbia, ormai, il cielo e il fiume. Ocra,
terra di Siena, ruggine, cacao, avana, prugna: le case e la città erano prese
in una gamma mescolata di marroni. Nella polvere d’oro della sera che moriva”.
Il senso arcano della vita e il continuo inseguimento di quella figura che nel
libro dell’inquietudine e nei tanti eteronimi ha interpretato l’approccio più
autentico a quelle giornate che sono filosofie. Paolo Ruffilli esprime qui una
visione peculiare di ciò che il sentimento d’amore, nelle sue diverse
connotazioni e sfumature, comporta come vicissitudine attraverso aneliti,
paure, delusioni, moti, contraddizioni che, comunque, giustificano il nostro
inesausto cercare. Accompagna il testo una nota di Antonio Tabucchi scritta nel
2012 sulla versione inedita dell’opera.
Andrea Rompianesi
giovedì 14 novembre 2024
L'ANIMA nella Poesia di Prospero Cascini fotografata attraverso la PROPRIA, a cura di Salvatore Monetti

La poesia, in molte delle sue forme, è molto più di un semplice esercizio linguistico o di un passatempo estetico. Essa è da meditazione. Un atto che induce la mente al silenzio, alla quiete, permettendo al lettore di abbandonarsi alla contemplazione. È attraverso il distacco dalla frenesia del pensiero razionale che la poesia apre le porte a un'esperienza più intima e profonda, fatta di percezioni, sensazioni e visioni che trascendono il quotidiano. In questo viaggio, l'opera poetica diventa una chiave per l'autoscoperta, una via che si apre alla coscienza del lettore come una meraviglia da esplorare. Prospero Cascini, con la sua maestria poetica, ci guida lungo questa via, dove il flusso di pensieri razionali cede il passo all'ascolto profondo di sé e dell'inconscio. Le sue sillogi poetiche non si limitano a raccontare storie o emozioni, ma ci invitano a un'esperienza meditativa, in cui la mente è libera di vagare oltre i confini del razionale e del conosciuto. I suoi versi, pur nella loro apparente semplicità, svelano l'intima complessità della vita umana e del suo continuo divenire.
La poesia di Cascini ha il potere
di trasportare il lettore in un regno di "non-senso", dove le
convenzioni logiche vengono messe in discussione. È in questo spazio che la
mente trova quiete, nel senso che l'interpretazione si ritira per lasciare
posto alla pura esperienza, quella che è più vicina all'essenza delle cose. Le
immagini evocate nei suoi versi non sono meri simboli da decodificare, ma
finestre aperte su mondi interiori inaccessibili alla logica e alla
razionalità. La poesia si fa strumento per scoprire quel "non-detto"
che è più vero di qualsiasi affermazione razionale. Leggere le poesie di
Prospero Cascini è un invito a percorrere una via che non segue la logica della
quotidianità, ma quella della memoria e del pensiero profondo. I suoi
componenti sono un viaggio nell'inconscio, dove le voci delle associazioni e
delle analogie ci accompagnano a scoprire noi stessi, a riflettere sulla nostra
esistenza in modo nuovo. Ogni poesia diventa una porta aperta verso luoghi
dell'anima che non avevamo ancora esplorato. Cascini ci invita ad abbracciare
l'indefinibile, a riconoscere l'impossibilità di definire tutto, ma anche la
bellezza di questo indefinito che ci circonda.

Tra i temi ricorrenti nelle sue
sillogi, l'amore occupa un posto centrale. Un amore che cresce e si sviluppa,
che passa dalle prime sensazioni di dolcezza e desiderio, fino alla bramosia di
identificazione. Le sue poesie d'amore sono un susseguirsi di emozioni
contrastanti, spesso enfatizzate da assonanze e antitesi che si intrecciano in
un gioco sonoro raffinato. La musicalità dei suoi versi, la scelta dei suoni e
delle immagini, ci immergono in un flusso che non solo racconta l'amore, ma ne
rivela la sua natura complessa e sfaccettata. In questo modo, l'amore diventa
un'esperienza sensoriale e riflessiva, che ci invita a riflettere sul nostro
stesso desiderio di amare.
Nelle sue poesie, Cascini esplora le sfumature di questo amore, che può essere dolce e tenero, ma anche complesso e difficile. È un amore che ha il volto della madre, del padre e che si intreccia con il ricordo e la memoria. In alcune delle sue sillogi, l'amore familiare diventa anche uno spazio di crescita interiore. Cascini sa bene che l'amore familiare non è solo ciò che viviamo nel presente, ma è anche la somma delle esperienze vissute dai nostri genitori, dai nostri nonni, da chi ci ha preceduto. Ogni generazione è il testimone di un amore che non finisce mai, ma si trasforma, si evolve e ci accompagna come un filo invisibile che ci unisce a chi amiamo e abbiamo amato. La poesia dedicata alla nipote affonda lo sguardo nelle delicate e potenti dinamiche dell'affetto che lega un nonno alla propria nipote. Questo legame, è descritto come un amore che porta con sé un senso di dolcezza protettiva e di trasmissione, assume nella poesia di Cascini una valenza ancora più profonda, come un incontro tra generazioni che si rinnovano e si rinforza. L'amore che un nonno nutre per la propria nipote è un amore che possiede una dimensione unica, un misto di dolcezza, saggezza e speranza.
Il
poeta non è solo un testimone del passato, ma diventa una guida, un punto di
riferimento silenzioso, ma costante. La relazione con la nipote è un atto di
generosità, di protezione, ma anche di educazione. Ogni momento passato insieme
è l'occasione per condividere un sapere, una saggezza che non si impone, ma si
dona con naturalezza. In ultima analisi, la poesia di Prospero Cascini non è
solo un piacere estetico, ma un cammino meditativo. È una forma di resistenza
alla velocità e al consumismo della nostra epoca, un richiamo alla lentezza e
all'ascolto, un invito a fermarsi ea guardare dentro di sé. In un mondo che
corre, la poesia diventa un rifugio per l'anima, uno spazio di libertà
interiore dove ogni lettore può incontrare la propria essenza e scoprire,
attraverso il "non-senso", il significato più profondo della propria
esistenza.
giovedì 10 ottobre 2024
UNICITÀ DELLA LUCANIA Recensione del Filosofo Vincenzo Capodiferro, 2 ottobre 2024
Contravvenendo all’estetica crociana per cui l’autore si dissolve nell’opera d’arte, noi vogliamo valorizzare le persone che stanno dietro l’arte. L’arte è fatta di mani e piedi non è qualcosa di disincantato e disincarnato.
PROSPERO ANTONIO CASCINI
Prospero Antonio
Cascini, dirigente scolastico in pensione da settembre 2016, dopo sessant’anni
dalla sua primina (1956), laureato in psicologia, inizia la sua carriera come
preside a Oppido Mamertina (RC), successivamente in Basilicata matura
esperienze di direzione in vari ordini di scuole. La primina del 1956, anno
della nevicata straordinaria. Tutto iniziò tra botole, scale, bauli zollette di
zucchero come viatico e tanto affetto. Si rammenta l’amore che tutto accoglie,
abbinato alla dolcezza dello zucchero e al sacramentum. Operatore ed animatore
culturale, ha organizzato varie iniziative, tra cui “La giornata del trekking”,
le “Saraceniadi”, “Il concerto di Natale”. Tra l’altro in collaborazione con la
Scuola Media “Ciro Fontana”, ha curato la mostra e l’annesso opuscolo su
“Giovanni Iacovino. Tra pittura e fotografia”, ed. della Cometa, Roma 1996. Ha
pubblicato con Monetti, di Battipaglia, “Il Girotondo. Tra primina e buona
scuola in Basilicata”; “Lucanità saracena tra poesia e fotografia” nel 2022. Ha
ricevuto vari riconoscimenti in Premi e Concorsi culturali.
IL PRESIDE PIU’
GIOVANE D’ITALIA.
Oggi è Maria Luisa
D’Onofrio, campana, di trent’anni. Allora eri tu, ma io intendevo che sei
giovane nell’anima. Quant’è bella la giovinezza… Lorenzo. Ada Negri. Mia
giovinezza. Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo all’essere. Sei tu, ma
un’altra sei: senza fronda nè fior, senza il lucente riso che avevi al tempo
che non torna, senza quel canto. Un’altra sei, più bella.
VALERIO CASCINI
martedì 10 settembre 2024
Anna Maria Scocozza - Floriana Porta, SIAMO FATTE DI CARTA, (Arte, Poesia e rinascita al femminile), Ventura Edizioni
Davvero interessante e, oserei dire, originale questa raccolta che accomuna parole a oggetti fatti di carta, dando vita ad una ecfrasi che non ha necessità di ulteriori spiegazioni se non l’accompagnamento dell’occhio e della voce recitante. Spesso parola e figura si intrecciano dialogando spontaneamente e amalgamandosi in modo naturale e semplice. Attenzione: semplice, non semplicistico. Il richiamo iniziale all’arte giapponese del kintsugi suggerisce che le rotture si possono riparare con abilità e intelligenza. Ma dove sono le rotture? Sicuramente nella vita quotidiana fatta di successi e insuccessi, di promesse e delusioni, di sogni e di cocente realtà. Come ben sottolinea Floriana Porta nell’introduzione la sua ispirazione, che segue parallelamente quella iconografica di Anna Maria Scocozza, è dettata dal “tempo, dalla metamorfosi, dalla forza, dalla debolezza, dal kintsugi, dall’acqua, dalle radici e dalla luce. Se la missione di Anna Maria è dare forma e corpo alla carta, la mia è di darle voce e respiro.” Sotto questo aspetto allora si tratta di allontanare la superficialità delle cose per procedere alla ricerca dell’intensità dei rapporti umani. Il fiume eracliteo che passa e scorre sempre nuovo e fresco non dà tregua, ma se ci si ferma a riflettere riusciamo a scorgere in questo suo incessante andare gli aspetti più interessanti e “nostri”, tali da farcene una ragione consapevole di ciò che la vita comporta.
Cucio e riparo tutti
gli echi / che orbitano dentro me. //
Piaghe, ferite, / cicatrici e lacerazioni / nel loro concatenarsi, / si faranno
portatrici di luce / nell’orizzonte della poesia.
Come un elemento
apotropaico la poesia diventa di per sé vivificante, rigenerante e
tutto sommato anestetizzante. La
metamorfosi è appunto dettata dalla poesia e in essa si fa corpo e anima,
ispiratrice di gesta, nemesi del male, palingenesi finale.
Nella sinuosità del
verso / appari tu, donna // come un
roseto di gemme / ti frammenti e ti sveli
/ad ogni sua carezza / Infuocata d’amore // ma lui non si fa scrupoli /
ti deride, ti schiaffeggia / e poi ti uccide (…)
“Siamo fatte di carta”
diventa così un progetto ambizioso di riscatto e di denuncia. Tutto comunque
nel nome e per conto della poesia e dell’arte costruita su pezzi di carta che
parlano essi stessi di poesia.
Enea Biumi
mercoledì 31 luglio 2024
Raffaela Fazio “Gli spostamenti del desiderio” (Moretti & Vitali Editori, 2023)
L’attesa è
proposta all’ineludibile fonte che si abbevera di desiderio. Un desiderio
mutante, multiplo, estenuante, assiso alla richiesta riposta verso l’appartenenza
(qualcuno avrebbe detto) alla figura dell’angelo, della concessione altra che
già precede la domanda. Come muta allora la condizione che non è solo movimento
nello spazio ma anche, e in particolar modo, mutamento di stato, travaso di
forma contenente una materia solcata da interpretare. E’ l’edito di poesia “Gli
spostamenti del desiderio”. L’autrice, Raffaela Fazio, tenta forse di
avvicinare due punti lontani, due stati di coscienza, due vissuti, attraverso
la calibratura di ciò che diciamo forza desiderante che in quanto tale è
energia creativa, volontà progettuale. Già dai versi brevi, delicati, misurati
emerge una sensibilità vibrante di tipo spirituale, all’interno di una proposta
che spontaneamente collega impulsi sapienziali propri di una tendenza
multiculturale in dialogo mai sincretista ma più esposta alla comprensione
della realtà multiforme come mosaico policromo. E’ diretto e limpido lo sguardo
di Raffaela Fazio; la sua architettura testuale è volutamente lineare, votata
ad una espressività dicibile nella conduzione del sentire in natura e luce:
“luce che filtra/ come sogno ripetuto// pare si spezzi/ e invece si rivela”.
C’è speranza anche nel dolore, nel lutto, tema della prima sezione, perché la
parola insorge, chiede un riscatto dall’abisso, dalla perdita terrena, propone
il racconto che accompagna quale fosse uno stato nomade (così come accenna per
certi aspetti la citazione da Proust). Ma il dono si concentra in una
musicalità rapita che sembra coinvolgere l’armonia di una voce in lettura o in
preghiera. La temporalità si fa metro di attenzione, quella prudente ma sincera
che percepisce la valenza ontologica dei dettagli, dei frammenti rivestiti di
una identità che li fa segnali nell’acutizzazione esperita dei travagli. La
misura docile è radicata nella ritmica prestanza di una metrica che, in punti
reiterati, si distingue per reazione in una visibilità di riscatto morale. Non
più lo storico aut-aut di kierkegaardiana memoria, ma una sintesi raggiunta di
estetico ed etico che apre al religioso nella sua più ampia accezione. La bontà
creaturale emerge in constatazione diretta: “Il corpo che si tende/ la nebbia
che trattiene/ la nebbia che nasconde/ il corpo che le appartiene/ hanno nel
sogno/ la stessa natura”; quale processo che l’autrice definisce in alcune
poesie anamorfico, la messa in evidenza del soggetto originale fa sì che lo sia
in modo tale da essere riconoscibile solo se osservato secondo certe
condizioni, da un preciso punto di vista. In fondo anche la complessità dell’esperienza
anagogica nella teologia dogmatica ci permette il punto di fuga, il guardare
come in uno specchio il nostro essere guardati da Dio. Molti poi sono i
riferimenti a nomi di particolare spessore a cui l’autrice guarda: Saramago,
Dostoevskij, Yourcenar, Carver, ma anche agganci al mondo antico, alla cultura
greco-latina; poi vari gli accenni all’arte cinematografica, al suo
rappresentare l’immaginario che si solidifica, diviene realtà. “Forse è così
che impara la misura/ chi ascolta/ dopo anni di clausura/ il rompersi inatteso
dei portali”, come le prospettive di discernimento acutizzano la capacità di
ricezione e la proiettano verso stadi di consapevolezza struggente, emozionale,
non passiva rispetto alla caducità apparente degli esiti: “Guarda bene./ In
ciascuno, erbe sane e veleni./ Ma è la dose/ che dà forma al tutto./ E’ il suo
impatto/ il suo costo...”. Si identifica anche un’attenzione successiva mossa
dal senso della vista, in una sorta di retina inversa che detiene, in ulteriore
sfumatura, quella composizione dei temi colti già dal significativo esordio che
fu di Valerio Magrelli “Ora serrata retinae”, percorso esemplare
nell’affrontare il tema della messa a fuoco, della difficoltà insita nel
tentativo di raggiungere una conoscenza nitida. Vibrano così pensieri e tempi,
intermittenze e distrazioni, respiri ed echi “della vita/ questa vita/ che
pretende una traccia/ e si scorda/ di lasciare la presa// fino a che/ sarà
infine l’attesa/ non risolta”. Nell’ultima sezione del libro, Raffaela Fazio si
concentra su figure che nella storia hanno espresso con il loro esempio la voce
che condanna ogni discriminazione, la necessità di trasformarsi in operatori di
pace, la vicinanza agli ultimi, la tenace speranza di poter alleviare anche
solo la più piccola sofferenza incontrata in chi ci è prossimo.
L’UNICITA’ DELLA LUCANIA FA INNAMORARE LA PUGLIA
A Ginosa Sabato 29,nella splendida Masseria STRADA, in una sala col camino acceso, alla presenza di un pubblico numeroso e qualificato, si...

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A POTENZA, presso il liceo musicale, il 30 Aprile la SILLOGE nel presentarsi ha aggiunto alla POESIA e alla Fotografia tanta MUSICA: DUO F...
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Il 10 maggio, a partire dalle ore 13,30, a seguire per il dì successivo, presso la Sala Basilicata, al Salone del libro di Torino è approdat...
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Parla di voci la citazione da Paul Celan che caratterizza l’esito poetico di Laura Caccia, “Le voci insorte”. Qui siamo posti di fronte, inn...