venerdì 10 gennaio 2025

Adelio Fusé “Di chi sono queste insonnie” (Piero Manni, 2025)


 “Conobbi Aldous Canti nel buio di una grande stanza. Il casolare verso cui eravamo diretti si serviva della campagna per fare il vuoto intorno o avveniva invece il contrario?” inizia così l’opera di narrativa “Di chi sono queste insonnie” di Adelio Fusé. Già emerge il quesito che l’autore pone alle coabitazioni delle differenze, delle incompiute alternative, salvezze e perdizioni, percorsi attraverso ammissibili opzioni. Fusé esprime la sua capacità letteraria, la sua potenzialità creativa verso il linguaggio qui domato in un rigore narrativo, nella costruzione di un passo rafforzato dalla persistente attenzione alle solidità evidenti, ai particolari da cogliere nella strategia in bilico tra luce e ombra, orma e assenza, profili che abitano le nostre più intime domande. Quella di Fusé è una partitura che ogni volta ci interroga, stimolando il nostro porci di fronte alle cose, la nostra inesauribile ansia di recupero di passioni per lo più perdute o mai compiute. “Ciò che è definitivo si lascia maneggiare facilmente ma nello stesso tempo si propaga come un’eco”; come la scrittura, quella che sospende, avverte, fluisce, avvolge, inquieta, lenisce attraverso un cammino che analizza il movimento, il realizzarsi in atto. L’approccio contempla una ossessione che si determina nella figura di Aldous Canti, scrittore dalla personalità potente, nello stesso tempo carismatico e assente, appartato e invasivo, quasi distrattamente impegnato nella realizzazione di un nuovo romanzo che possa, in qualche modo, ripetere il suo unico precedente successo. Una sorta forse di alter ego è poi Manlio Roveda, agente letterario che lo insegue nel suo vagare verso un approdo costituito dalle terre di Galizia a ridosso dell’Atlantico. “La strada, intanto, si allontana dall’oceano, si contorce, si raddrizza, ritorna sulla costa, sconfina di nuovo all’interno, sale, scende, risale, si avviluppa, si srotola, ora viziosa ora pigra”, proprio ancora come la scrittura stessa nel suo farsi. Così avviene, nella considerazione di Fusé, quella peculiare lotta con le parole nella specificità di osservazioni e distinzioni qui rappresentate da percorsi espressi in margine, quali assorti e planati su emissioni esprimibili, il saper distinguere le acque dell’oceano da quelle di un fiume o saper percepire il senso della dilatazione sull’orizzonte. La scommessa scritturale è ancora nel margine della pagina dove tutto compie l’esegesi del particolare che s’insinua tra i retaggi delle ancorate maniere in ragione di dubbio e domanda. Ricerca, allora, nel suono visivo e nell’immagine sonora, nelle insonnie, appunto, attribuibili all’io molteplice, quello voluto e quello subìto, attivo e passivo insieme, diacronico prospetto di una partitura interpretante, di una molteplicità di anime a confronto con il mistero degli eventi. Il fatto e la parola in un connubio autoriale opposto all’incuria della dimenticanza, auspicio invece del recupero di una specificità responsabile. I luoghi ospitano passaggi evolventi in riflessioni, attenzioni, negli spazi galiziani, con il percepire le vibrazioni, le sonorità che ricordano alcune atmosfere della baia di nessuno modulate da Handke, o certe messe a fuoco reinterpretanti gli elementi oggettivi che richiamano la visione del Palomar di Calvino. I vocaboli possono costituirsi in una vera e propria inondazione, interminabile e patologica, galleggiante, inoltre, tra le colorazioni ibride di albe decifrate da progetti che non escludono tutta la complessità delle interrogazioni civili. La combinazione di ciò che è vissuto e di ciò che è pensato comporta una formula che completa individualità e personalità tra ciò che è stanziale e ciò che è nomade. Fusé concentra sulla pagina uno statuto a monologo serrato dove, ad un certo punto, la figura di Aldous Canti si confronta con la malattia e con le sue implicazioni, attraverso una grata di successioni espressive che si trasformano in flusso linguistico in sé stesso riflessivo, così come evocante snodi esistenziali. Estenuato passo accumulante scorci di visuale introspettiva nominante il genere intimistico condotto alle soglie di una determinazione etica. Il testo stesso diviene, infine, quel romanzo auspicato che necessitava di una sintesi comunque parziale che raccogliesse però le interpretazioni; sapendo, ci dice Adelio Fusé, che “i sogni sono una forma d’insonnia. E alcuni sogni più di altri”. Così come il compatto senso della ricerca si distribuisce nei praticati sentieri della costruzione letteraria.

                                                                                   Andrea Rompianesi

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Adelio Fusé “Di chi sono queste insonnie” (Piero Manni, 2025)

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