“Conobbi Aldous
Canti nel buio di una grande stanza. Il casolare verso cui eravamo diretti si
serviva della campagna per fare il vuoto intorno o avveniva invece il
contrario?” inizia così l’opera di narrativa “Di chi sono queste insonnie” di
Adelio Fusé. Già emerge il quesito che l’autore pone alle coabitazioni delle
differenze, delle incompiute alternative, salvezze e perdizioni, percorsi
attraverso ammissibili opzioni. Fusé esprime la sua capacità letteraria, la sua
potenzialità creativa verso il linguaggio qui domato in un rigore narrativo,
nella costruzione di un passo rafforzato dalla persistente attenzione alle
solidità evidenti, ai particolari da cogliere nella strategia in bilico tra
luce e ombra, orma e assenza, profili che abitano le nostre più intime domande.
Quella di Fusé è una partitura che ogni volta ci interroga, stimolando il
nostro porci di fronte alle cose, la nostra inesauribile ansia di recupero di
passioni per lo più perdute o mai compiute. “Ciò che è definitivo si lascia
maneggiare facilmente ma nello stesso tempo si propaga come un’eco”; come la
scrittura, quella che sospende, avverte, fluisce, avvolge, inquieta, lenisce
attraverso un cammino che analizza il movimento, il realizzarsi in atto.
L’approccio contempla una ossessione che si determina nella figura di Aldous
Canti, scrittore dalla personalità potente, nello stesso tempo carismatico e
assente, appartato e invasivo, quasi distrattamente impegnato nella
realizzazione di un nuovo romanzo che possa, in qualche modo, ripetere il suo
unico precedente successo. Una sorta forse di alter ego è poi Manlio Roveda,
agente letterario che lo insegue nel suo vagare verso un approdo costituito
dalle terre di Galizia a ridosso dell’Atlantico. “La strada, intanto, si
allontana dall’oceano, si contorce, si raddrizza, ritorna sulla costa, sconfina
di nuovo all’interno, sale, scende, risale, si avviluppa, si srotola, ora
viziosa ora pigra”, proprio ancora come la scrittura stessa nel suo farsi. Così
avviene, nella considerazione di Fusé, quella peculiare lotta con le parole
nella specificità di osservazioni e distinzioni qui rappresentate da percorsi
espressi in margine, quali assorti e planati su emissioni esprimibili, il saper
distinguere le acque dell’oceano da quelle di un fiume o saper percepire il
senso della dilatazione sull’orizzonte. La scommessa scritturale è ancora nel
margine della pagina dove tutto compie l’esegesi del particolare che s’insinua
tra i retaggi delle ancorate maniere in ragione di dubbio e domanda. Ricerca,
allora, nel suono visivo e nell’immagine sonora, nelle insonnie, appunto,
attribuibili all’io molteplice, quello voluto e quello subìto, attivo e passivo
insieme, diacronico prospetto di una partitura interpretante, di una
molteplicità di anime a confronto con il mistero degli eventi. Il fatto e la
parola in un connubio autoriale opposto all’incuria della dimenticanza,
auspicio invece del recupero di una specificità responsabile. I luoghi ospitano
passaggi evolventi in riflessioni, attenzioni, negli spazi galiziani, con il
percepire le vibrazioni, le sonorità che ricordano alcune atmosfere della baia
di nessuno modulate da Handke, o certe messe a fuoco reinterpretanti gli
elementi oggettivi che richiamano la visione del Palomar di Calvino. I vocaboli
possono costituirsi in una vera e propria inondazione, interminabile e
patologica, galleggiante, inoltre, tra le colorazioni ibride di albe decifrate
da progetti che non escludono tutta la complessità delle interrogazioni civili.
La combinazione di ciò che è vissuto e di ciò che è pensato comporta una
formula che completa individualità e personalità tra ciò che è stanziale e ciò
che è nomade. Fusé concentra sulla pagina uno statuto a monologo serrato dove,
ad un certo punto, la figura di Aldous Canti si confronta con la malattia e con
le sue implicazioni, attraverso una grata di successioni espressive che si
trasformano in flusso linguistico in sé stesso riflessivo, così come evocante
snodi esistenziali. Estenuato passo accumulante scorci di visuale introspettiva
nominante il genere intimistico condotto alle soglie di una determinazione
etica. Il testo stesso diviene, infine, quel romanzo auspicato che necessitava
di una sintesi comunque parziale che raccogliesse però le interpretazioni;
sapendo, ci dice Adelio Fusé, che “i sogni sono una forma d’insonnia. E alcuni
sogni più di altri”. Così come il compatto senso della ricerca si distribuisce
nei praticati sentieri della costruzione letteraria.
Andrea Rompianesi
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