sabato 18 marzo 2023

Adelio Fusé “Mosaico del viandante” (Book Editore, 2023)


 

C’è molto di concreto a cui si può credere già nell’apertura: lo sgocciolio, la pendola, il cartello, i chiodi, dove i dettagli emergono esprimenti; impongono l’ammiccamento riconoscibile adatto a farsi viatico all’insorgere di un tempo quale unità estatica; inoltre “placido e verticale si soddisfa/ il vostro cielomare”. E’ “Mosaico del viandante”, esito testuale di Adelio Fusé, a giudizio di chi scrive, una delle voci più significative della poesia italiana contemporanea definibile “di ricerca”. Qui s’intende sviluppare un diario in seconda persona singolare, dove però l’io e il tu sono profondamente intrecciati in un connubio che esplora in atto il filo conduttore temporale attraverso osservazioni del presente e recuperi dal passato in una sequenza cronologica sovvertita che annulla le distanze e colma gli iati. Fusé riesce a costruire sulla pagina composizioni nelle quali la solidità e l’efficacia profonda delle strofe e dei versi offrono peculiari opzioni imprevedibili nella sapiente tenuta della tempistica stessa di versificazione, quasi una partitura complessa capace di avvistamenti evocativi e stratificazioni analitiche, “il rito di una sola volta/ la sua custode/ e nel segreto che ti rimane/ ti attardi”; quasi un’epoca di echi che si propaga, un effetto di variazioni che si distinguono in cromatiche ed acustiche, una determinazione che include il coinvolgimento di luoghi che dimensionano misurazioni emotive e pertinenze dialettiche, incisioni occasionali ed episodi reclusi, attinenze all’uscita dagli svaghi nel ripristino lucido di un sentire sempre ubiquo: “ti riacciuffi a vent’anni con chi tu sai/ in una specie di notte perno/ da Montmartre planando sopra le luci/ di un cielo capovolto:/ il futuro emanava bagliori/ di sicura veggenza”. L’attimo recuperato dall’autore è evento reinterpretato alla luce delle vivificazioni frammentate e conduce verso l’esprimibile continuo della curva, figura appagante lo sviluppo appartato della direzione. Nella traiettoria dei versi non si esclude il possibile avvistamento dell’archè dei presocratici, il principio che determina l’individuazione di un’origine qui non dichiaratamente ammessa ma incombente nella stessa vocazione insita nel rinnovo dei moti, nel tracciato disegnato dalle vibrazioni dei termini. Adelio Fusé accosta la sensibilità del quesito alla fragilità dell’apparenza, tenendo costante il movimento o mutamento all’indirizzo del punto di domanda, quando la persistente   preparazione del segno comunica, con straordinaria perizia, la porosità consonantica della tessitura: “eco di conchiglia che si propaga/ condotto che non tace e tracima”. C’è un varco accolto che periodizza l’esito possibile, nel portendere un itinerario conoscitivo tale da dirsi anabasi per le molte implicazioni che sanno però sempre, nella tecnica dell’autore, darsi efficaci episodi letterali di una qualità dinamica sul piano che costruisce il rapporto costante di significante/ significato. Il mosaico incide, nella vocazione culturale dell’autore, quasi potesse trasmettere una forte sensazione di anelito all’incontro, all’avvistamento che è bisogno, medicamento per le ferite del vagare. Si percepiscono spazi aperti e dimensioni fisiche tra i versi, tentativi adulti di condensare la risposta interpretativa all’insinuarsi ardente delle assuefazioni. Ma anche cantieri e luoghi urbani determinano una topografia del percepibile: “concentra vita arruffata il parcheggio h 24/ e il maratoneta delle ere lì s’infiltra”; la mossa del viandante diventa allora voce di narrazione, distribuzione di accenni che praticano storie, e storie di elementi che si fanno profili. Sostanza, qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, stare, avere, agire, patire...sembrano cogliersi tutte, le categorie aristoteliche, tra le vicissitudini dei versi, nell’afflato conoscitivo che li anima e che li rende via via più dicibili e narranti. Gli eventi collettivi drammatici si confrontano con i ricordi personali lieti in un intreccio temporale che si fa mite e catartico; sospende il giudizio intonando una tonalità piana, evocativa dove “là nel punto d’immissione otterrai/ il crocevia delle correnti”. Il viandante è tale in sintonia con un tempo interpretabile, e a tutto ciò alludono i riferimenti a Machado, Eliot, Saramago; nella costante attenzione che libera dalla morte, evolve verso la predisposizione all’ascolto mimetico, all’astrazione filtrante. Adelio Fusé rimuove le scorie del dettato statico, le rinnova e depura in un procedere interrogativo e pensoso che determina l’avvio del meccanismo linguistico, tessendo i collegamenti grafici di una scrittura che “aspiri alla meraviglia/ che sia nostalgia/ a incorrotte avvisaglie”.

 

                                                      Andrea Rompianesi                                   

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