Molto spesso ci si rivolge al passato nel ricordo di
una persona cara scomparsa. In questo caso l’autrice si affida ai momenti
vissuti con la sua Maya, un cane che era “l’altra parte” di lei, “quella
migliore”. L’affetto tra la poetessa e Maya diventa, dopo la scomparsa del
cane, un pretesto per rivedere la propria esistenza, per inoltrarsi nella
quotidianità delle azioni, per far risorgere ciò che si immagina perduto o che
realmente si è dissolto.
Eppure accade così / un giorno alla porta
/ il mai più si presenta / e porta via tutto il prima / lasciandoti qui / in
pantofole sulla soglia / con il corpo sconosciuto / che già s’aggira / per la
tua casa.
Come sottolinea Lello Voce nella preziosa prefazione,
la storia della letteratura presenta frequentemente l’uomo che si rapporta con
il suo cane: dal cane Argo di Ulisse, alla vergine cuccia di Parini, per citare
i più famosi. Se poi ci si addentra nella letteratura per ragazzi gli esempi
sembrano non esaurirsi. Ma in questo caso si va oltre. La presenza-assenza di
un cane non è semplicemente un rapporto di pura affettività. È un modo di
concepire la vita, una filosofia che scopre l’inevitabilità del destino, la potenza
e nello stesso tempo la fragilità dei sentimenti d’amore, il rammarico per la
debolezza umana.
Mi riguarda / il giro vuoto delle cose /
l’incapacità di dire e non dire / il travaso del deserto / nei calici alzati /
la landa desolata / tra una folla e l’altra / mi riguarda / la tua fame la sua
sete / il digiuno nostro / dalla parola che sa di qualcosa / come la frutta di
una volta / e la mano che la colse.
Si tratta di un viaggio che l’autrice percorre nella
consapevolezza che il suo vissuto possa divenire metafora della vita,
soprattutto là dove quotidianità e realtà sogliono scavalcare il visibile per
addentrarsi nel mistero di gesti e di parole. C’è una prossemica di fondo che
caratterizza il legame uomo-animale e che deve essere un confronto alla pari,
rivelatore di una assoluta libertà.
Scrivevi sul pavimento / camminando /
tutto il taciuto dell’uomo // da una stanza all’altra / le tue impronte erano /
parole sbocciate // portavi in casa / girando / la primavera dell’indicibile.
Il dolore per la perdita del suo cane si tramuta in
dolore per l’umanità, e nel silenzio c’è la riscoperta del canto della natura.
Il cielo ha l’occhio / bianco del cieco
(…) Ti cerco dopo la pioggia / in ogni livido della terra (…) Chiedo all’albero
il segreto / della sua verticale possente / del tronco che si eleva /
nonostante la foglia cada (…) Ho abitato la sabbia / inseguito le foglie /
dormito tra i sassi (…)
Così anche il vuoto che lascia una perdita, quella
assenza-presenza di Maya, richiama la memoria di giorni trascorsi
nell’abbraccio pur con linguaggi differenti che diventano suoni, gesti e si
traducono per la poetessa in versi.
Erano poche le ore / dell’abbraccio e del
divano / un residuo di giorno / dopo la cena di sempre (…)
Esce dalla custodia del tempo / questo
mare d’infanzia / e mi suona addosso / il vibrato delle onde / - stona sempre /
la cosa che non torna / solo tu resti / accordata al presente / come un’assenza
mai partita.
-a te devo la scoperta / di questo nulla
scrivente-
Insomma, Maya diviene l’attrice principale della
scrittura di Elena Mearini, che nello stesso tempo assume le vesti di chi
traduce in parole i segni di chi non ha parole ma solo affetto e comprensione,
di chi segue con amore l’amata, di chi conduce ed è condotto.
Sono meno / da quando non ci sei /
sottrazione che non so / cos’abbia sottratto / sono diminuita / scesa al meno
dove resto / al meno che mi resta / il più eri tu / somma aperta / all’alto e
al basso della vita.
“Eri neve e ti sei sciolta” rimane una silloge
intrigante, ricca di domande, ricca di trascorsi particolari, ricca di
un’umanità che sa dialogare, pur nel dolore di una perdita, pur nel tormento di
una vita di persistenti interrogativi e continui perché.
Enea Biumi

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