Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
giovedì 1 aprile 2021
"Vernice" anno XXVII N° 59, Genesi Editrice, Torino, 2021, € 20,00
E' uscito il numero 59 della rivista di letteratura "Vernice". La copertina è dedicata ad Aldo Sisto, che intervistato da Sandro Gros-Pietro racconta di alcuni episodi della sua infanzia, della sua passione teatrale, nonché della sua visione poetica. L'intervista è poi accompagnata da alcuni testi poetici di Sisto. A proseguire un omaggio a Lucia Macro e un'intervista a Eros Pessina, seguita da un omaggio a ad Antonio Vitolo. Interessante è anche l'articolo riguardante il poeta, .da poco scomparso, Franco Loi. Si tratta di un colloquio già pubblicato sulla stessa rivista anni fa, ma riproposto come sintesi della poetica di Loi che dà un'ampia panoramica della produzione dialettale, non solo propria., a cui si aggiungono delle liriche dello stesso. Seguono successivamente pagine dedicate ad Antonia Pozzi, allo statunitense Ferlinghetti, a Carlo Di Lieto, a Sergio Zavoli ed altri.
mercoledì 31 marzo 2021
Luciano Nota “Destinatario di assenze” (Arcipelago itaca Edizioni, 2020)
L’assenza scava, esprime un’arte del levare, una
essenzialità espressiva che determina l’accensione della necessità. Si fa
altra; compie l’ineludibile proposito di solidificare lo spazio della pagina da
abitare e cogliere visivamente nella tracciabilità versificata, nelle sue
assonanze. Il verso breve connota la peculiarità della poesia di Luciano
Nota,in questo suo “Destinatario di assenze”. Il bianco da cui emerge il tratto
concede l’attenta partecipazione all’esito d’equilibrio e sostanza. Gli
elementi naturali si fanno tessere eroganti l’accenno nominale, come destino
che protegge il succedersi emblematico delle giornate: “Il tramonto che ti cade
dalla bocca/ porta con sé una promessa d’aria”. I corsi d’acqua sono luogo
d’incontro, episodi epifanici di una danza silenziosa, riflessi di bellezza nei
dettagli. “L’acqua smuove il corpo./ Sale l’alba/ e il delta del tronco freme”
scrive Luciano Nota, incidendo puliture e tessiture alla luce dei rimandi
effusi poi sciolti in una partecipazione tersa che accoglie la liceità delle
domande che non sfuggono; la musica delle cose che riabilita il percorso, lo
libera dalle contaminazioni dei grovigli costretti. L’autore non insiste sulla
volontà di una determinazione impositiva ma domanda lieve l’accostamento, il possibile
avvicinarsi dei dati nelle densità del richiamo, di un suono articolato negli
squarci rinsaldati. Oltre i tremori fallaci, le pensose rivisitazioni, le
conduzioni sensitive; al di là di un corpo reinterpretabile da chi custodisce
il nucleo dell’intesa. Ed è moto di acque appunto, sangue e terre; elementi
dicibili nella limpida determinazione del verso a condursi quasi distillati
entro i rivoli di un’attenzione calibrata e rigorosa, di un sentire che denota
tratti di svelamento in tenore materno o nell’accenno alla terra lucana
d’origine. Accostamenti imprevisti rilasciano accessi a volubili passaggi che
ammettono svolte replicanti umori e accezioni direttamente assimilabili. C’è,
in alcuni testi, un senso di domanda che appare tra le righe di una volontà
atta quasi a provocare la fissità delle cose, a reclamare l’ipotesi del bivio.
D’altra parte molto concede la ricezione perché anche la strada si fa straccio
“ed è su quello straccio/ al dileguarsi dei lampioni/ che cavalco l’ombra”
scrive l’autore, componendo così un ascolto interrogante l’ignoto cosparso di
quei segni capaci di materiche rivelazioni quando “in ogni punto o nuvola/ il
sangue è grano”.
Andrea Rompianesi
sabato 20 febbraio 2021
Nicola Romano "Tra un niente e una menzogna" (Passigli editore, 2020)
C'è una consistenza nitida nelle parole esatte; quelle
che comportano l'esegesi di una traccia ma anche l'elemento caratteristico del
procedere poetico. La ricerca di quella parola che non può essere altra, poiché
l'equilibrio unico significante/significato si determina nel suo essere, nel
suo sapersi e dirsi. Al contrario di ciò che viene espresso da molto parlare
generico e da qualche critico gravato da carichi ideologici, sussiste un abisso
di distanza tra canzone e poesia. Due forme espressive totalmente diverse,
almeno nell'ottica di definizione tangibile, e in senso moderno, della
letteratura italiana. La canzone trova una modulazione affidata principalmente
all'effetto musicale proprio di un ascolto che si fa intrattenimento magari
piacevole ma spesso banale. La poesia è ricerca nel linguaggio di una scrittura
che abita lo spazio della pagina ed è unico contenitore di significato. Il
coinvolgimento quindi diviene propriamente concettuale ed esprime una vera e
propria esegesi che per sua stessa natura si fa ermeneutica. Tali
considerazioni appaiono evidenti ogni volta che ci si confronti con un
autentico e riuscito esito poetico. Come bene emerge dai versi dell'opera di
Nicola Romano "Tra un niente e una menzogna", dove l'attesa porta al
confronto con l'esattezza di quelle parole che sanno porsi nella grazia della
epifania linguistica. Accorre una semantica sostanziale nella quale l'evento
versificato è traccia sistematica di una reiterata attenzione alle
determinazioni quotidiane: "Con un sentore d'assurdo/ risalgono canali a
quel principio/ che fa nascere il corso d'ogni storia". Romano trafigge
quel niente che se veramente fosse, sarebbe quindi qualcosa e quella menzogna
che, come dice Calvino nella citazione, 'i non è nei discorsi, è
nelle cose". La poesia mette a nudo il dato e naviga verso l'acquisizione
di verità; si fa dunque filosofica, non sempre nella sua esecuzione formale ma
nella intenzione ulteriore. E' un riverbero dibattuto di sensi e di ciglia, di
risacche e ricordi, di profili smarriti e immagini che catturano ciò che fa
diga a protezione del nostro resistere. Il senso della perdita è
particolarmente accentuato nelle sonorità dei versi del poeta siciliano come
interpretazione filtrata dai rapporti con le manifestazioni di natura. Si respira,
per dirla con Pareyson, una "ontologia della libertà" che distanzia
l'esistenzialismo personalistico e dove tutto muove verso un acquisito senso
della determinazione. "Ristagna/ ai confini dell'ora/ un dubbio d'eclissi
perduta/ La sera ne sfoglia il disguido/ e indaga occasioni di cielo"; la
tenuta ritmica accompagna l'evidente concentrazione sillabica incalzata dallo
iato esplicito che pone la pausa meditativa e la proietta verso la ricezione
dei sensi. Certo il sottofondo concede molto spazio ad un tono dolente che
considera l'allontanarsi delle cose nel procedere del tempo, in un
irrimediabile avvenuto: "ma eravamo quel che siamo stati",
consapevoli di ciò che abbiamo mancato o perduto. "Mi tiene vivo/ la
magnificenza unica del mare" ...sembra riecheggiare l'atavico rapporto con
l'elemento che tanto ha animato la poesia di un autore come Giuseppe Conte, ma
qui non in una formula legata al mito bensì all'approccio più umile dei
"residui di comune penitenza". Nicola Romano accompagna il lettore
con passo ponderato, lento, coinvolto in un sussurro lieve e antico, "con
quella flemma/ propria dei tramonti"
Andrea Rompianesi
martedì 19 gennaio 2021
Carlo Marcello Conti “Attraversato da” (Campanotto Editore, 2019)
E’ invaso dal bianco che circonda ed esalta i versi, i
sintagmi, le singole parole; è un accenno al sentire più puro e immediato dei
poeti; è l’evidente emergere delle cose intime e autentiche nella materia
dell’anima; tutto questo è “Attraversato da”, esito poetico di Carlo Marcello
Conti, autore, artista multimediale, editore. L’intelaiatura dei versi brevi,
essenziali, tratteggia i moti impercettibili di una nuvola, di un torrente, di
sensazioni che ci attraversano nei modi più diretti o imprevisti. C’è un’attesa
subitanea oltre l’esperito che Conti accoglie nella pacata sensibilità
ricettiva: “Non lasciarmi/ in una giornata/ con un cielo qualunque”. Si
percepisce il senso della perdita, della mancanza; l’esegesi di una condizione
esistenziale capace di filtrare le possibili annessioni e le diramate attese
quando gli spazi accolgono dalle parole l’invito a farsi dimora, concentrazione
di appunti espressivi. Tutto l’evidente assorbire la rifrazione panica che
comporta la lettura di moti aurorali, delle naturali emissioni lente e
ataviche, testimoni delle solitudini. Quasi un paesaggio innevato dove
ritrovare l’angolo caldo di un interno che riabilita la personalità degli enti
quotidiani riproposti nelle corporeità delle pagine innestate nella natura
delle radici che costituiscono l’essenza di moti e passaggi. “Non aspetterò la
notte/ ma un momento che/ aspetta una cosa” scrive Conti, immerso in una
iterazione di esperienze che lo attraversano. E il tocco lieve annuncia la
tersa accortezza delle vibrazioni, i chiarori setacciati nella conoscenza che
trasforma “in/ un sinestetico senso dei sensi”. Le composizioni brevi abitano
lo spazio bianco della pagina in una riflessione che emerge dai particolari,
dai sentiti episodi delle ambientazioni che affiorano dalla pratica delle
coincidenze in viaggio. Il senso del dolore è assorbito dalla cura dei vocaboli
ed in particolare della parola poesia che “è rimasta qui/ da tempo/ Tantissimo
tempo e/ il poeta la trova/ attraversato da voci/ al di là della poesia”. In
questa sua opera Carlo Marcello Conti realizza un risultato letterario di
particolare finezza e nitore, dove l’evento si concretizza in parole luminose e
ponderate, lungo la capacità di filtrare ciò che accade a partire da
quell’inizio “molto presto di mattina”.
Andrea Rompianesi
giovedì 24 dicembre 2020
Adelio Fusé ”Le direzioni dell’attesa” (Manni Editori, 2020)
Andrea Rompianesi
giovedì 3 dicembre 2020
Giacomo Giannone, Come un romanzo, Genesi Editrice, Torino, € 12.00
“Come un romanzo” è una silloge di poesie che offre la visione di un viaggio da percorrere, o ripercorrere, attraverso luoghi, persone, accadimenti. Un reisebilder a tutto tondo in cui traspare fin dall’inizio il senso della vita con i suoi misteri, intoppi, piacevolezze, felicità e tristezze; in cui le volontà di conoscenza e accoglienza di nuove esperienze rimuovono le difficoltà e le afflizioni che nel corso dell’esistenza possono intralciare il cammino. “Ancora un viaggio / ancora miraggi / tu vicina tu lontana / e il pensiero va / folle ossessivo, / mentre la mia voce / muta rimaneva”. Il segno del tempo e del viaggio viene dettato fin dalla lirica iniziale “Pula”, una specie di richiamo testamentale dove, affermando il valore del vivere quotidiano, con tutto ciò ovviamente che comporta, si passano in rassegna affetti, amori, incontri, problematiche e soddisfazioni. “Prima di morire/ barolo nebbiolo / barbera // E la terra mi accoglierà / fragrante / festante // (…) Scorre il Bisagno/ di sangue / irrorato (…)” Le liriche che seguono costituiscono un flashback attraversato a volte da desideri che si avverano, a volte da malinconiche considerazioni su ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, a volte da scontri con un destino che sembra accanirsi proprio quando divieni più arrendevole e consapevole. “Povero Vittorio, mio Capitano, / perché il tuo letto ora è vuoto?” “Un giorno di Maggio / scivolò e in deliquio cadde / sulle piante di lavanda / in Provenza / tanto sole / tanti odori / tanti colori // (…) Non sa non dice / Lada non è più / la mia Lada”. Significativi sono i ritratti delle persone. Ribadisco persone, non personaggi che come spesso accade sono semplicemente delle maschere teatrali. Le persone infatti mantengono intatta la loro identità reale perché appartenenti allo stesso mondo del poeta e alla sua storia. “Gli occhi ha mirabolanti / occhi lucidi, verdi, cangianti / occhi con gocce di rugiada / sulle ciglia e voce fantasma / a ripetere (…)” Le medesime persone assumono una propria dimensione attraverso lo scambio con il paesaggio o i paesaggi che Giannone ha affrontato e interiorizzato. In tal modo gli ambienti diventano un tutt’uno con la vita, la storia si esprime nel rapporto con i luoghi visitati, amati, desiderati. Dai luoghi di sofferenza per eccellenza come il sanatorio di Villa Trezza presso Domegliara (Verona), dove potersi abbandonare in toto per guarire immergendosi nel sapore sereno della natura e degli uomini, ai luoghi di lavoro, come Bologna, in cui si rammenta l’esperienza da presidente d’esame, “Loquaci i colleghi / simpatici i ragazzi / ti guardano curiosi / sorridono / mi dico, spero che siano / tutti promossi”; o ai luoghi di felicità matrimoniale dove prevalgono manifestazioni d’affetto “In un cinema di periferia / due mani si strinsero fortemente / come mai prima / e il timore di rompere l’incantesimo / mi vietò di sfiorarti con le labbra”. Insomma, il romanzo evocato dal titolo si traduce in una personale passerella che induce in profonde riflessioni sull’esistenza, propria ed altrui: momenti, infine, che non vanno sprecati ma affrontati con raziocinio e ardore, dove il sentimento fa da tramite ineludibile al film della vita stessa. “E’ stato un tempo lontano, sempre / in luoghi reconditi i ricordi scavano / per emergere furenti impietosi, / ritornano per rivedere un volto, / un ciocco di capelli carezzare, / per ascoltare una voce una parola, / ripercorrere una via un ponte, / un bacio implorare, non dimenticare”. Enea Biumi
giovedì 19 novembre 2020
Giorgio Bonacini “I segni e la polvere” (Arcipelago itaca Edizioni,2020)
Giorgio Bonacini, poeta di particolare qualità e consistenza
stilistica, propone questo esito “I segni e la polvere” nella definizione di un
sottotitolo che allude a percorsi ritmati in 52 poesie “distrattamente felici”.
Qui, il verso breve, limpido, essenziale, nella connotazione visibile del
sintagma, nel verticalismo strutturale, nella lieve fonetica dell’assonanza
così come nell’osare della rima, imprime alla pagina una espressività icastica
che rimanda ad una conseguente attenzione riflessiva. L’immediata sensazione è
di trovarsi di fronte ad un intreccio di prospettive che sorprendono
nell’accostamento rapido e profondo, denso nella sostanza effusiva contemplata
nei particolari esigenti; ben sapendo che “non è la distanza/ né il muoversi/
troppo che assorbe/ nel ritmo/ un tamburo di guerra/ ma ninnoli e note/ nel
canto alla terra”. Sono attese di risposte nelle peculiarità delle piccole
incisioni, nelle ferite, nei prospetti cromatici accesi dagli accostamenti di
una sinestesia armonica: “i tuoi mille profumi/ li vedo giallissimi”. Un verso
breve che nella veloce successione scava ogni volta una profondità evocativa.
E’ trovare traccia di un assenso interpretante il valore della mitezza quando
essa sa osservare contemplando, interrogare esprimendo. L’elemento naturale si
ritrova lungo il percorso degli accostamenti in un sorvegliare liricamente le
genesi e le mutazioni, così come gli esiti, in una volontaria ermeneutica dei
dati materici accuditi e rivisitati. Giorgio Bonacini sa dosare la limatura del
verso con estrema perizia, lasciando volutamente un aere sospeso, dove lo
spazio della pagina sembra costituire ampiezze ulteriori, margini di accenni
non detti ma intuibili. E sono, a succedersi, segni di neve e chiarori, sabbie
e pietraie, venti e smanie, ma anche impreviste farfalle incuranti, tracce di
una gradazione di risorse a volte diafane, altre incise, che corrispondono a
passi rivelanti la tersa complessità del sentire oltre l’immediato. L’autore
coniuga l’attesa con l’intuizione accorta “in fumogeni d’arte/ o di lingua/ e
in fittizia clausura/ nei versi aggrottati...” quasi un esperire il senso
autentico di un’ estetica che si è sempre più rivelata una valutazione del
sensibile, in un suo definibile equilibrio. Gli accostamenti dicibili
avvicinano esperienze sensitive diverse e inattese che esortano a pensieri
capaci di riformulare le visibilità in considerazioni curanti una genesi
partecipativa, evolvente, scandita in atti che comportano processi analogici.
E’ quasi un contenersi sulla pagina per innestare propositi di accostamenti che
richiedono una esegesi al di là delle fratture e delle scomposizioni. Poi
diventa necessario porsi una domanda sull’oltre e sul senso, che sorge
spontanea, inalienabile, dopo la sintesi di un’osservazione durante la quale
“si mastica l’acqua/ per giorni e per notti/ si guarda all’insù/ con la mente/
racchiusa in un cielo”. La rievocazione è subitanea affiorando alle foci dei
calori avvertibili, nella impossibilità di determinare gli eventi, ove sono i
ritmi spesso chiusi che disperdono i segnali riproducibili e le contaminazioni
collocabili in aree altre rispetto alle nostre stesse percezioni. Le assonanze
evocano ritmi allusivi e pertinenti dissolvenze, attraverso le funzioni
caratterizzanti la dinamica della stessa attenzione. Emerge la possibilità di
cogliere il proprio limite nell’ancoraggio a segni devianti il mirare, dopo
collocazioni inagibili e restie a decifrare i tumulti del cuore, così come la
scansione riprodotta dalle sillabe nell’ora della vulnerabilità, della
riduzione dei passaggi. Giorgio Bonacini vede il nostro procedere “in
solitudine/ all’interno/ di un calvario minimale/ o di abitudine”. Vi sono
misteri quotidiani da decifrare, allusivi ritorni all’incedere franto; come, a
volte, è inevitabile accorgersi di percezioni fertili in mitezze d’aurore e
smarrimenti d’esilio.
Andrea Rompianesi
L'ANIMA nella Poesia di Prospero Cascini fotografata attraverso la PROPRIA, a cura di Salvatore Monetti
La poesia, in molte delle sue forme, è molto più di un semplice esercizio linguistico o di un passatempo estetico. Essa è da meditazione. ...
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A POTENZA, presso il liceo musicale, il 30 Aprile la SILLOGE nel presentarsi ha aggiunto alla POESIA e alla Fotografia tanta MUSICA: DUO F...