E’ un aprirsi in
natura di poemetti in prosa o, come nell’accezione meno da ossimoro, una serie
di brani in prosa poetica che esalta l’opportunità della ricezione dell’ascolto
contratto in un testimoniare la presenza quando si assesta grafia in piano. Scriviamo
di “Prima del sempre”, opera antologica di Mauro Germani, sviluppata su un
lungo arco temporale che va dal 1995 al 2022. Ombre e parole, sedimenti
filtrati nell’accorto condurre ad un passo dalla voce emersa da spalti in
fiamme dove si salva “la cera che è stata infanzia e perdono”, ponendosi nella
prospettiva che coglie “e sa il desiderio delle vette, dei nomi dispersi”. Il
poeta sviluppa elencazione in ciò che promette riparo ma non ostacola la presa
d’atto, tra parole inaudite, luci bagnate, cieli riconoscibili prima
dell’evento albale. Sembra di percepire sussurri di voci, rintocchi, alla luce
di rugiade invernali. Strade e macchie, veglie e partenze, sogni e rovine. Ma
l’elemento decisivo che forse Germani esprime o tenta di interpretare è quell’indicibile
che costituisce il mistero della nostra stessa condizione e che ci conduce alla
consapevolezza di una poesia che è domanda. Nell’autore il senso della
condivisione e compassione è integro, maturo, coerente con le tracce dei
riattati strumenti necessariamente riprodotti e temprati dalla determinazione
sintattica, calibrata su di un equilibrio contenuto. “Sono i poveri, le parole
saltate. Piangono la stessa agonia, il grido strappato agli ulivi”; un dire che
si veste d’intuizione civile, di prospettiva sensibile alle urgenze etiche.
Così è l’attenzione rivolta agli affetti più forti, alcuni perduti in senso
fisico ma trattenuti nella relazione spirituale che emerge oltre le cose, in
attimi vissuti nei loro mutamenti, in una vocalità di metafisica concreta,
pensando a Florenskij. “E una pace sembra scendere di lato, spiare dalle chiome
invisibili...”, attirare le possibili alternative che si vestono di nostalgie
ma anche di attese, scenari incisi là dove il pensiero rimanda alla consistenza
dei quesiti irrisolti, alla caratterizzazione dell’esteso tratto insorto dopo
riti e diluvi, nella espressiva capacità di rivederci “come saremo ancora
bambini nella luce alta di giugno, insieme per sempre, nell’attimo preciso del
vento”. Per Mauro Germani è determinante cogliere l’afflato spirituale in un
confronto serrato con le cadute, le depresse scomposizioni dei pulviscoli
attinenti alle maree, incalzati dalla brevità dell’asserto prosastico inciso
nella gravità della pagina, in un tendere quasi ad esito escatologico. Dalla
sezione “Livorno”, città d’origine della madre, la poesia assume l’impianto
proprio della versificazione attraverso uno spezzare i tempi su modalità
contratte, dicibile in una comparsa di lessico limato in sequenza...”ma
d’improvviso/ un vento si alza/ ed è sogno, terra/ appena di luce/ appena di
vita// prima dell’onda”. Scorrono poi, nella ricerca dell’autore, bellezze e
frantumi, lumi e volti, schegge quasi frequentatrici di mastabe (per citare
Sereni), lontananze e confini. Altra voce interrotta nelle dimenticanze urbane,
nella compostezza delle strofe brevi a riecheggiare umori d’infanzia, segnature
rivedibili alla luce della riflessione mite che allunga in verticale, ad un
certo punto, il passo; dilata le strofe stesse producendo una continuità di
richiami. “Dimmi cos’è la vita/ adesso che non c’è più/ Livorno e nemmeno/
Milano, solo/ una pianura di luci/ basse nella nebbia”. L’ultima parte del
testo si fa preghiera, sentimento del dolore e della pietà, nella vocazione al
riscatto in un dono che, davvero, si pone eucaristico “...quel suo/ pane
straziato,/ quel calice/ d’ogni ferita”.
Andrea Rompianesi