E’ René Char ad aprire il tracciato in epigrafe di un suono
che accosta amore e poesia. Nuova stagione è poi davvero quella che Massimo
Scrignòli inaugura con un volume di prose poetiche temperate dalla robustezza
dell’afflato metafisico, “Lupa a Gennaio”. Muove il testo, deflagra
l’improvviso; domina l’assenso un indicibile riemerso quasi fosse un libro
dell’inquietudine. Anche noi, così, scendiamo in apparente rilascio, là dove
frammenti di tuono aprono scenari di amori inattesi, perturbanti. Da subito
risuonano, nei testi di Scrignòli, i rimandi agli autori frequentati e
interpretati: Char e Pound, Celan e Kafka, ma anche Dante. Le tracce notturne
sono enucleate quasi a ridosso di una prosa in brevi quadri sospesa,
raffigurata in intagli di raffinatissima perizia. Che conforto, a fronte di una
miriade di proposte vacillanti e anoressiche catalogate come estri del
dicibile, scorrere una traccia letteraria fieramente capace di dirsi
concettuale, profonda ma mai oscura, filosofica, propriamente ontologica. Gli
elementi materici, le cose, gli enti accolgono il lettore in una purezza
d’intendimenti che non può però escludere la precisa consapevolezza che
l’essere dell’ente non è un altro ente. “L’eclissi ha qualche cosa che riguarda
il bosco: è l’ingresso docile degli occhi nella neve oscura”; riguarda il
nostro senso estremo per la sensualità degli elementi, la percettibilità delle
variazioni e degli indugi. Una fisicità astratta ricompone il divenire
interpretabile non contraddittorio ma problematico; così come problema è il
mutare all’interno di un’esattezza nominata in quanto colore che si fa nome. Un
infrascritto ereo, quasi contenitore arcaico sprigionante domande abissali e
ansiti costieri. E ancora la tonalità cromatica del blu si accosta ad ombre e
presenze “là dove il cielo non è più cielo”, e così la parola sa discernere nel
non morire. Il depistaggio è complice, l’erranza fattuale attraverso la
duplicità del testimone, sensibile scolta di uno svago adulto, di una
consistenza intellettuale. Massimo Scrignòli proviene da linee del fuoco e
libri d’acqua; osa la dicitura compatta del brano che nella visibilità breve
distende lo spazio adeguato della prosa d’arte, della nominale intenzione
diretta al nucleo fondante del reale. Le acque della Senna, nelle quali Paul
Celan si gettò in una notte d’aprile del 1970, assumono il senso sacrale del
sacrificio devastante; si fanno, appunto, “ammutolite” ma, nello stesso tempo,
ritornanti, le stesse “per concessione suprema di Eraclito”. Indicibile
l’afflato panico riemergente dai vessilli di ciò che non deturpa il ripetibile,
l’avamposto decifrato dal lessico ermeneutico. L’evento e il rimedio
significano le cose. Davvero ritroviamo nell’opera di Massimo Scrignòli ciò che
disse in passato lo stesso Char: “Possiamo vivere solo sul semiaperto,
esattamente sulla linea ermetica di spartizione tra l’ombra e la luce. Ma siamo
irresistibilmente proiettati in avanti”.
Andrea Rompianesi
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