La giuria :Presidente/Rolando Perri – Dirigente scolastico, studioso donmilaniano, saggista e recensore letterario – Componenti/Antonella Daffinoti – Scrittrice e poetessa – Maria De Fazio –Operatrice sociale e divulgatrice culturale – Elvira Dodaro –Avvocato e poetessa – Tommaso Orsimarsi – Scrittore e saggista – Concetta Natoli – Poetessa e scrittrice –
il blog di Enea Biumi
Scrittura Nomade - Viaggio polidiomatico di Arte e Cultura - Variazioni sul tema scrittura
mercoledì 20 agosto 2025
La poesia di P. Cascini "A Micaela Maria nata in piena pandemia" la menzione d’onore al concorso internazionale di poesia creativa "una stanza tutta per sé"
mercoledì 30 luglio 2025
Un pomeriggio di poesia a Palazzo Verbania - Luino 27 luglio 2025
Cul magùn in gùra
vàrdi ul dì ca’l và
e ul cò ‘l sbrisìga
fra i ùnd dul mè andà
Poco a poco il sole / annega nel lago / Con l’affanno in gola / guardo il giorno che se ne va / e la testa scivola / fra le onde del mio andare
Pace è questo lago che culla un barcaiolo / sulle onde della notte
nei tuoi sogni di bambino. // Pace è questa falce di luna allo spuntar del
giorno / che nasconde meretrici di uomini ubriachi. // Pace è questo pezzo di
cielo come un paradiso perduto / per ingoiare stregonerie solo per te nascoste.
Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
dove il lago finisca:
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.
lunedì 28 luglio 2025
Successo per il secondo "Streaming internazionale di poesia"
Numerosi poeti, da tante parti del mondo al secondo streaming internazionale di Poesia "Anima e Core”.
Per l'Italia: Cesare
Castiglione, Rende; Prospero Antonio Cascini, Castelsaraceno, Potenza; Fausta
Centomani, Tolve, Potenza; Giuseppe Turiano, Messina; Rossella De Rango, Marano
Marchesato, Cosenza; Rita Scelfo, Palermo.
Per la Spagna: Ana Belén Fernández Garcia (Burgos).
Per il Messico: Rossy Chávez Distretto Federale) e Doris
Zoraida Telles Meneses (Toluca).
Per il Perù: Hernán Luis Anaya Arce (Chancay, Lima) e Clara Salas (Arequipa).
Per l'Uruguay: Josè Lissidini Sánchez (Minas, Lavalleja).
Per il Cile: Lilian Isabel del Rosario Pizarro Araya (Andacollo).
Prospero Antonio Cascini, poeta lucano con la sua poesia “le Orme” ha centrato il tema del reading internazionale di poesia: lui è nato e vive a Castelsaraceno, paese dell’entroterra lucano, a 1.000 metri sul livello del mare e d’inverno spesso è in compagnia della neve…. Che convive col la sua generazione dei pantaloncini corti! Là vive la sua anima. D’estate vive a Marina di Ginosa dal 1974 del secolo scorso: è il cuore…,
Si esprime tanto apprezzamento per l’iniziativa e quindi un
ringraziamento ad Andrea Fabiani , presidente dell’associazione culturale Amici
della poesia di Cosenza e del suo Omologo Argentino Hugo Marsico!
sabato 26 luglio 2025
I limoni, Annuario della Poesia in Italia nel 2024, a cura di Francesco De Nicola, GiammaRò Edizioni, 2025
Pier Vincenzo Mengaldo
scriveva che un’Antologia, com’è del resto questo annuario, è un peculiare
genere metaletterario. In effetti radunare in un unico testo tanti scritti
di diversi poeti e critici letterari è un atto che va “oltre” il
semplice intento letterario. È una specie di dichiarazione di poetica che
costringe il curatore ad uno sforzo di ricerca e di analisi nella valutazione
di quanto accade nel mondo della scrittura.
D’altra parte, solo a
scorrere le pagine di questo prezioso Annuario, ci si accorge di nomi che
rientrano tra i principali protagonisti della produzione letteraria italiana.
Certo, magari per qualcuno, ci sono nomi mancanti. Ma un’Antologia non pretende
di essere la consacrazione né tanto meno una lezione di verità. Si tratta
semplicemente di un riconoscimento, di una presa d’atto che per lo meno la
scrittura è ancora viva e tale pretende di rimanere. Del resto, come viene
esplicitato, nella presentazione, I limoni sono un “prezioso strumento di
aggiornamento e informazione per chi ama la poesia”.
Tutto ciò è ribadito
anche dal saggio “Come (non) fare un’antologia della poesia” di
Francesco De Nicola, che prendendo lo spunto da una recente pubblicazione “Poeti
italiani nati negli anni 60. Letteratura come condizione” (Internopoesia,
2024) a cura di Francesco Napoli, afferma che “di tutti i libri che si
possono pubblicare questo (cioè l’Antologia) ha l’autore più discutibile”
perché spesso “riflette i gusti e le valutazioni” secondo “gli
orientamenti critici del tempo”. E a sostegno della sua tesi riporta vari
esempi, dalle antologie scolastiche a quelle per adepti, che qui è superfluo riferire.
Citerò solo un assunto che condivido in toto: “il compito di un’antologia è
quello di portare alla luce chi luce non ha”, sottolineando, come scrive l’autore,
che spesso le antologie, soprattutto quelle scolastiche, hanno limiti che
pregiudicano la comprensione della poesia, se non del poeta stesso.
L’annuario “I limoni” possiede
a mio avviso una qualità: quella di non presentarsi come il tutto, ma
come parte di un mondo letterario in evoluzione. E lo dimostra andando
direttamente a scegliere le recensioni del presente, in particolare del 2024, di
modo che si dà la possibilità al poeta di presentarsi in una veste critica
riguardante testi di recente pubblicazione, tralasciando invece di riportare,
come le antologie sic et simpliciter, vita e scritti di vari autori autorevoli
e non. Sarà poi il tempo a dar credito o meno ai poeti recensiti.
Va detto che, accanto
alle recensioni, il lettore trova pregevoli saggi che gli permettono una più
matura e completa comprensione della letteratura non solo contemporanea. Mi
limiterò, tuttavia, purtroppo alla sola citazione, sia dei saggi che delle
recensioni, non avendo a disposizione uno spazio necessario per parlare di tutto
e di tutti.
Ecco allora gli autori,
recensori e recensiti, e il contenuto dei vari contributi pubblicati.
I recensori sono: Fabio
Contu, Francesco De Nicola, Alessandro Fo, Alessandro Franci, Giuseppe
Grattacaso, Vincenzo Guarracino, Giuseppe Langella, Massimiliano Mandorlo,
Simona Mancini, Baldo Meo, Francesco Napoli, Lorenzo Pataro, Sara Vergari,
Marco Vitale.
I recensiti sono: Laura
Acerboni, Lorenzo Babini, Pier Luigi Bacchini, Elisa Biagini, Piero Buscioni,
Barbara Carle, Alessandra Corbetta, Maurizio Cucchi, Roberta Dapunt, Mauro De
Maria, Mary de Rachewltz, Massimiliano Luca Delfino, Cinzia Demi, Carlo di
Francescantonio, Alberto De Raco, Paolo Di Stefano, Umberto Fiori, Alessandro
Fo, Erika Formazaric, Alessandro Franci, Giovanna Frene, Andrea Giampietro,
Michele Graziosetto, Maurizio Gregorini, Paolo Lanaro, Giuseppe Lagella,
Manfredi Lanza, Isabella Leardini, Dante Maffia, Roberto Maggiani, Beppe
Mariano, Maurizio Marotta, Vincenzo Mascolo, Francesco Paolo Memmo, Daniele
Mencarelli, Claudia Mencaroni, Marco Pelliccioli, Daniela Pericone, Antonio
Prete, Davide Puccini, Valentino Ronchi, Mauro Sambi, Alberto Schettini, Ida
Travi, Rosella Valdré, Marco Vitale.
Non posso certo
tralasciare di riportare anche gli autori e i titoli dei saggi che ritengo
assai interessanti proprio per quelle peculiarità segnalate in antecedenza.
I saggi sono: “Debut du
siècle in Italia: Aldo Palazzeschi tra liberty, crepuscolarismo e Novecento” di
Francesco Napoli; “Palazzeschi e il futurismo: un rapporto unico” di Federico
Gobbetti; “Le ‘Cannonate’ di Tizzoni-Finzi di fronte al futurismo” di
Elvio Guagnini; “Guardare un’arancia sette volte” di Silvia Vecchini; “Come
(non) fare un’antologia della poesia” di Francesc De Nicola; “Note sulla
punteggiatura nera e bianca nei testi poetici contemporanei” di Elisa Tonani; “L’Orazio
italiano: Giosuè Carducci e l’innovazione metrica del Novecento” di Fabio
Contu; “La trasformazione del testo” di Pier Luigi Ferro; “Il viaggio che
dura di Tommaso Lisi” di Raffaele Pellecchia; “In ricordo di Lorenzo Pataro”
di Giuseppe Grattacaso.
L’annuario termina con l’indicazione
di alcune pubblicazioni di saggistica, di alcune traduzioni, e di alcuni
concorsi.
Ripeto, per finire, l’opportunità
e direi quasi la necessità di libri come “I limoni” perché non se ne sa
mai abbastanza di quello che avviene nel mondo tanto variegato della letteratura
molto spesso legato a correnti, circoli, editori che raccontano solo di se stessi
e non di altri. Io stesso devo confessare che tra gli autori pubblicati posso
dire di conoscerne pochissimi. Ma sento e credo che allargare i propri
orizzonti sia necessario. Alla fine ognuno farà le sue scelte, ma almeno con
conoscenza di causa e senza pregiudizi di sorta.
Enea Biumi
mercoledì 23 luglio 2025
Sofia Fiorini, Il passero bianco, Vallecchi, Firenze
Non bisogna lasciarsi ingannare dalla
fluida leggerezza dei versi che accompagnano la silloge del “Passero bianco”
di Sofia Fiorini. Trovo, infatti, che la giovane poetessa – nata nel 1955 –
esibisce un’energia ostinatamente combattiva fra i meandri della vita e della
morte, tutta tesa a coglierne le infinite sfumature, a indagare e domandarne
spiegazioni.
Partendo da una situazione onirica del
ricordo dell’infanzia (la casa, il giardino, la nonna, il gatto) l’autrice riscopre
il furto colpevole degli inganni, lo sconforto di una trama non nostra ma
imposta, epigono forse di un male più esteso e assoluto che ci è dato da
sopportare. Da qui l’ossessione adiaforica da superare per non rimanere
travolti “perché i morti siano / morti e i vivi siano vivi / ognuno deve
godere del suo sole”. “Aspettavo che mi si seccassero / le ossa – aspettavo di
smettere / di soffrire per il freddo ed il calore”.
Attraverso un’atmosfera magica di un
racconto fiabesco in versi Sofia Fiorini immerge il lettore nell’ossimoro di
una realtà irreale, lo trascina e avvolge in un mondo fantastico costruito su
un duplice piano, lineare e verticale, che sogna e desidera, e vive e immagina,
e narra e sottace.
C’è un passo ne “La nascita della tragedia” di Nietzsche in cui si accenna a Re
Mida che insegue il satiro Sileno interrogandolo su quale sia la cosa più
desiderabile e migliore per l’uomo. La risposta è questa: “non essere mai nato, non essere, non esistere. Ma la seconda cosa
migliore per te è… morire al più presto.” Ecco: in tutto il percorso della raccolta
Il passero bianco rappresenta, da una parte, l’interrogativo di Re Mida
e, dall’altra, la risposta di Sileno. Un ininterrotto ripensare all’esistenza
entro i confini della realtà e del sogno, dove gli incontri si evolvono nella
consapevolezza di una vita tormentata e subìta. “Che sorpresa quel mattino /
umido sul fiume, credersi morta / e scoprirsi capace di dolore”.
Protagoniste, e antagoniste nel medesimo
tempo, di questa favola poetica sono le Genti beate, che appaiono come
fossero delle Erinni (“nel caso che le incontri, un uomo deve fuggire,
altrimenti lo sbranano e lo divorano”) ma che restano perenni
interlocutrici della poetessa. Anzi, in alcuni tratti e momenti specifici
assumono l’ufficio di mentori, come sacerdotesse atte a introdurre la neofita ai
misteri della vita. “E loro, ferme sul sentiero, / a me: «non hai altro
posto, / non hai davvero / altro posto all’infuori di questo»”.
In ogni verso della silloge si respira come un senso
di libertà, un desiderio di emancipazione da ogni struttura soffocante la
propria personalità, una voglia di resilienza ad ogni tipo di costrizione e sottomissione.
Tutto
sembra rimandare ad una illusione che ricorda l’uomo di Schopenhauer irretito
dal velo di Maia, che come in un mare in tempesta siede in una piccioletta
barca fiducioso di non affondare perché si affida al principium
individuationis. In effetti gli spunti che le pagine del libro rivelano
sono un cartiglio classificatore che la scrittrice si sente in dovere di
attuare: tra sogno e realtà scorrono gli istanti di una vita, come fotogrammi e
interrogativi che avanzano ad apta. E si svelano, poco a poco, i segreti,
si coglie, quasi improvvisamente, il sentimento d’amore: “Era lì, come un
grande cervo (…) Mi parlò (…) Mi piaceva la sua voce”. Tuttavia ciò che
resiste, ciò che è più sincero e vero, è ancora il mondo dell’infanzia perché
tutto sembra risolversi solo nella fanciullezza, dove anche la tranquillità
dell’anima si fa esplicitamente sentire. “Si fecero spiegare / cos’erano i
bambini / e la scuola elementare. // Dissi che era il posto / in cui si sentiva
meglio il sole”.
Si può dedurre, allora, che i tanti
fantasmi che l’immaginazione può offrire, hanno il nome di destino. Così
Il passero bianco non rappresenta unicamente la fatalità che dalla vita
conduce alla morte, ma diventa tout court un desiderio di trascendenza,
una studiata e consapevole libertà di scelta. “Questa anche per noi sarà una
festa / – mentre le fate traghettano / i morti all’altro mondo – la festa // in
cui ognuno si riprende le sue ossa.”
I versi di Sofia Fiorini diventano pertanto
anche una ricerca della verità, un discrimine tra illusione e realtà, tra
fantasia e concretezza, ribadendo in maniera icastica che la salvezza – di se
stessi e del mondo – è un’incessabile indagine, un controllo meticoloso del
possibile e dell’impossibile. E tutto ha inizio e fine in una specie di dégorgement che svela cosa possa perdurare nella contrapposizione
vita e morte. Così il
tempo diventa l’enigma più seducente e simbolico. “Silenzio lunare. /
Nessuno mi aspetta. / Tempo della mia segretezza”.
La parola
assume, in questo contesto, un’importanza vitale per la sua autenticità e
inalienabilità. Allo stesso modo, autentico e inalienabile è il mondo dei
bambini in cui il dolore, tutto sommato, viene esorcizzato tramite il sogno che
supera la cavità del tempo e fa riemergere sensazioni tattili e uditive. “Cercavo,
cercavo / il lenzuolo sotto la corteccia / cercavo con le mani la mia faccia,
mi chiedevo lui dove fosse / a quell’ora del sabato, / tra l’uno e l’altro / di
quei timidi tocchi di campana.”
La parola in sé diventa non solo parte della favola ma
pure parte della vita della poetessa. La accompagna. La imprigiona. La distrae.
La umilia. La ridicolizza. L’aiuta. La salva, infine. Nel coacervo di segni, apparentemente indecifrabili,
nella molteplicità dei simboli, la fiaba-poesia svela il suo significato. Le
sensazioni che la Gente beata aveva acceso nel cuore dell’autrice
attraverso la sedimentazione di un costante dialogo, per altro a volte
contrastato e in contrasto, recuperano quell’erlebnis forse scordato,
forse rimosso, ma comunque riferito alla vita vera, sia pure narrato nel corso
di una fiaba. “Ero pronta, ero pronta / non avevo fatto altro / tutto
l’anno, sarebbe stato / come chiudere un cancello”.
È
un poetare adulto, questo di Fiorini, che evoca una sorta di ontosofia che
disvela come il contingente e il quotidiano possano essere ancorati a un
linguaggio onirico e simbolico senza nulla smarrire dell’essenza stessa di un
esistere in funzione dell’hic et nunc.
Enea Biumi
lunedì 21 luglio 2025
Oronzo Liuzzi “Nelle acque di Babel” (Edizioni Milella, 2025)
“di sangue di
fegato amaro si alimenta l’umano/ gelido è il mutamento muto nell’umido
sgocciola/ surrogati di corpi ammainati”; così apre il primo testo poetico dove
il tratto della presenza carnale converge verso il riconoscere la devastazione
dei conflitti, il riverbero che agghiaccia e paralizza i moti nella
deflagrazione di flussi e riflussi, di ostilità evidenti nel tessuto civile, di
consegna a strofe che vogliono allungare il verso in una volontaria e totale
assenza di punteggiatura. L’opera è “Nelle acque di Babel” del poeta e artista
Oronzo Liuzzi. C’è qualcosa che preoccupa nell’insorgere di un sentire intimo
che denuda e, poeticamente, denuncia l’esistenziale deriva ma, nello stesso
tempo, indica una opzione filtrante capace d’intercalare seduzioni possibili
tra risvolti di sentimenti per lo più ibridi. L’efficacia del verso di Liuzzi
accende e svicola, interrompe e accosta, insegue e distanzia nella propulsione
sintattica implicante l’effetto dicibile nel modulo ricomposto in una traccia
linguistica che apre mobilità prossemiche attenuanti il sentore di
determinazione semantica: “parlami del tramonto d’accordo al calar del sole/ a
picco cade nell’acqua di colpo mi rendo conto/ faccio un selfie resto motivato
e la quiete nella/ mia testa dopo la tempesta purtroppo il caos trionfa”.
Turbolenze sì, ma abilmente corrisposte in una dicitura che non concede spazi
al prevedibile, integrando la figurazione stessa del lessico al procedere più
propriamente integro e contemporaneo. Evocazioni ed accenni felliniani
attendono processi di verifica nel confronto con un contesto che non risparmia
noia e malinconia, delusione e lacerazione, dubbio e solitudine ma anche amore:
“il vorrei l’amore d’amare fatale l’amo forse sì”; come condona la pressione
attraverso l’esperienza della iterazione quando identifica il termine capace di
farsi verbo d’inizio: “s’incomincia così incomincio in realtà comincia/ il
tempo dove l’invisibile esiste resiste e persiste”. Il dire di Liuzzi è un dire
che accosta durezza e pietà; è un dire maieutico che estingue i rischi del
cedimento retorico perché si fa riflessivo e mite nella formulazione del verso
condotto alla prossimità dei vocaboli che innestano, in punti alternati del
flusso sillabico, una rielaborazione normativa che spazializza il significante
e acquieta il significato: “senza fretta dentro questa stanza irregolare/ solo
un attimo mi basta forse anche meno”. Ancora si conducono su esperienze redatte
particolari emessi dalle osservazioni abilitate a tempistiche esplicite,
dialoganti e non prive d’incognite; emergenti condizioni quali appartate
attenzioni sfuggenti alla conclamata e “curiosa quiete” che comporta uno stato
favorevole al pensiero ma, nello stesso tempo, filtrante tutto il dolore
violento testimoniato dalla cronaca concitata e segnata da dissidi,
ingiustizie, conflitti. C’è un tentativo continuo, attraverso le pagine, di
bilanciare le insorgenti pulsioni controllate da una mediazione ritmica che
concretizza una sorta di passo prolungato nelle memorie affioranti, quasi possibile
poi un metodo esplicativo che ordina e spiega non eludendo i contrasti: “torna
tutto di colpo il passato/ all’improvviso sul divano brutto bello”, dove la
quotidianità colma quella distanza che sfugge alla regolazione prospettica e
intanto cerca di agganciarsi a sicurezze biografiche, a identificazioni: “il
chi sono insomma m’interrogo a lungo/ sulla identità la mia la nostra io sono/
nato al sud in via bruni di giovedì”. Oronzo Liuzzi si fa esplicito conduttore di
un sentire mobile verso presenze intime che si trasformano in afflati civili
dove il riferimento esplicito “è un mondo alla rovescia il nostro altrove non
so”, ultimo verso della prima poesia che già in sé contiene nelle tre strofe la
migliore concentrazione del dire nei tempi calibrati della dimensione
raffigurante e della capacità fonetica.
Andrea Rompianesi
domenica 20 luglio 2025
Reading internazionale di Poesia ”anima e core”
Inseguirò i tuoi sogni nel sentiero scavato nella neve (del paese lucano….. ) riconoscerò la stessa orma scavata nella spiaggia (di Marina di Ginosa) tra ombrelloni e aquiloni, a raccontare il non mai detto.
Hanno partecipato in orari diversi autori del Perù, Colombia, Cile, Messico, Repubblica Dominicana, Brasile, Uruguay e Stati Uniti.La manifestazione è stata promossa dall’associazione Culturale “Amici della Poesia” di Cosenza e da sade filiale la Plata Argentina.La poesia di P. Cascini "A Micaela Maria nata in piena pandemia" la menzione d’onore al concorso internazionale di poesia creativa "una stanza tutta per sé"
Al poeta lucano Prospero Cascini con la sua poesia “A Micaela Maria nata in piena Pandemia” è stata assegnata la Menzione D’onore al Concor...

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L’associazione socio-culturale “club della Poesia”di Cosenza che, da sempre, organizza il Concorso ha diffuso una nota stampa nella quale ...
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In un convegno dell’USPI, tenuto negli anni settanta a villa Ponti, la senatrice Susanna Agnelli, in un suo intervento molto seguito ed ...
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Parla di voci la citazione da Paul Celan che caratterizza l’esito poetico di Laura Caccia, “Le voci insorte”. Qui siamo posti di fronte, inn...